Le Zone 30: regole per un buon funzionamento

La “Città 30” è un approccio che va ben oltre l’installazione di cartelli di limitazione di velocità, ma che vede nella condivisione dello spazio urbano la chiave avere città più vivibili e sicure. Ma a Modena ad oggi siamo solo ancora nella situazione di “zone 30” diffuse a macchia di leopardo, a volte invisibili.

Ma a quali condizioni una zona 30 è funzionale e rispettata dalla più ampia maggioranza dei cittadini? In quelle meglio progettate, senza troppi segnali, gli elementi architettonici dovrebbero indurci ad un rallentamento, rendendo naturale adeguare i nostri comportamenti a quelli degli altri utenti della strada.

Ad esempio, in questi giorni abbiamo letto di un incidente a Modena in una zona 30 in vicinanza di una scuola, dove l’automobilista ha invaso un marciapiede, distrutto qualche cassonetto, fino a terminare la corsa contro un furgoncino. Oltre al segnale stradale, la strada era dritta, larga quasi 4 metri per senso di marcia, e non erano presenti altre forme di limitazione della velocità: solo il caso ha voluto che non ci siano state conseguenze più gravi.

Proprio perché una zona 30 è ancora una eccezione in città, l’automobilista deve avere subito netta la sensazione di entrare in casa altrui: è il benvenuto ma deve usare le buone maniere. Per farlo si usano elementi di traffic calming già dall’ingresso dove un “portale” fatto anche solo da fioriere o da grandi pannelli laterali ci avvisa del cambio di ambiente. E poi una diversa pavimentazione e rialzi negli incroci, dove i marciapiedi vanno allargati per rendere i pedoni più visibili e l’angolo di sterzo più marcato, e rettilinei spezzati con restringimenti, sensi unici alternati, chicane o parcheggi in linea sfalsati sui due lati della strada per creare un effetto ottico che induce a rallentare.

Poi in ogni “zona 30” che si rispetti, i marciapiedi diventano ad uso esclusivo dei pedoni, mentre biciclette e monopattini tornano ad essere mezzi che devono stare in strada dove tutti i mezzi devono rispettare la semplice regola di dare la precedenza a chiunque venga da destra.

Se andiamo a vedere le “zone 30” modenesi facciamo fatica a riconoscere tutti questi accorgimenti: passi per quelle anni ‘90 (alcune delle quali ben fatte tra l’altro), ma deludono anche quelle nuove come il Cialdini, Torrenova, o Vaciglio. Eppure, anche a Modena sono previsti, sia nel PUMS che nel programma elettorale premiato dai cittadini, i principi della “slow city”: se non avremo una “città 30” ci aspettiamo almeno che tutte le “zone 30” lo siano anche nei fatti.

Psicologia del traffico e ostacoli all’uso della bicicletta

Qualche anno fa un gruppo di psicologi sociali dell’Università di Bologna ha analizzato e catalogato decine di studi dedicati alle collisioni tra veicoli motorizzati e biciclette in una rassegna sistematica della letteratura scientifica.

L’analisi del gruppo di ricerca Unibo – coordinato dal Dipartimento di Psicologia – evidenzia due cause principali per gli incidenti che coinvolgono i ciclisti: i comportamenti di chi si muove in strada e le caratteristiche delle infrastrutture stradali.

Un problema importante è quello della precedenza, che spesso non viene data correttamente; spesso però la causa è la mancata percezione della presenza di una bici in strada. Ci sono i “blind spot”, angoli ciechi nel campo visivo dell’automobilista che impediscono di inquadrare per tempo gli utenti deboli della strada, ma le collisioni si verificano anche quando il ciclista è ben visibile: un fenomeno noto come “looked but failed to see”, guardare senza riuscire a vedere. Spiega il ricercatore Unibo Gabriele Prati che il nostro cervello focalizza l’attenzione sugli stimoli attesi come possibili macchine in arrivo, ma ne tralascia altri meno attesi. “Così non si riescono a percepire alcuni elementi rilevanti per la propria e altrui sicurezza, ad esempio un utente vulnerabile della strada che sta sopraggiungendo”.

Ecco perché quando le bici sono invece molto presenti gli incidenti calano (‘safety in numbers’): all’aumentare del numero dei ciclisti, aumenta la sicurezza dei ciclisti stessi. I conducenti di automobili diventano più consapevoli della presenza dei ciclisti e migliorano la loro capacità di anticiparne la presenza nel traffico.

Per quel che riguarda le infrastrutture, i risultati sono in parte controintuitivi. Se da un lato, infatti, la presenza di piste ciclabili separate dal traffico motorizzato gioca un ruolo importante per la sicurezza dei ciclisti, dall’altro le corsie riservate ai ciclisti possono rivelarsi particolarmente pericolose in prossimità degli incroci. Quando le due ruote restano a lungo fuori dal campo visivo (perché c’è una separazione tra traffico motorizzato e traffico ciclabile) chi è in macchina si trova meno preparato a reagire alla loro presenza improvvisa.

“Per questo motivo – conclude Gabriele Prati – la raccomandazione è quella di un mix fra infrastrutture per i ciclisti, separate dal traffico motorizzato, e strade a velocità ridotta (come ad esempio le ‘Zone 30’), dove due e quattro ruote condividono la carreggiata”.

Città 30 subito

A Modena una mamma di 52 anni che tornava sabato notte dal turno al ristorante: travolta da un SUV. A Carpi un operaio 45enne che usciva alla sera dalla fabbrica: travolto da un camion. Ancora a Modena un anziano di 89 anni in via Giardini: investito da un’utilitaria sul pedonale. Altri 3 pedoni uccisi a Modena e provincia (Vignola, Finale) nell’ultima settimana. Un vero bollettino di guerra.

Purtroppo la “città 30” per ora a Modena è solo nei convegni, o promessa “entro il 2030”: peccato che le amministrazioni decidono e rispondono solo delle cose che fanno durante la durata del loro mandato.

Almeno smettiamo da subito con le divisioni classiste “auto=lavoro” e “bici=divertimento”, per cui le infrastrutture ciclabili e la moderazione di velocità sono soldi buttati e favoriscono i fighetti in lycra che non hanno nulla di meglio da fare che rallentare chi va al lavoro in auto. È spesso tristemente il contrario: cuoche, operai, badanti, avvocati che rischiano la vita per andare al lavoro, per colpa di chi sfreccia in auto sui 2km che li separano dalla palestra o dallo spritz.

Le persone usano il mezzo che hanno, quello che ritengono più economico ed efficiente, o semplicemente l’unico che sanno guidare. In città non c’è nessun motivo per cui chi guida un’auto debba prevaricare su chi si muove in bici. Le strade sono di tutti, tutti pagano le tasse ed hanno il diritto di muoversi in sicurezza come preferiscono.

Anzi, dovrebbero essere proprio le amministrazioni a facilitare chi non inquina, non intasa le strade, non rovina l’asfalto, non assorda, non mette a repentaglio la vita altrui e pedalando si tiene in salute. Da ora, non dal 2030.

Strade per la vita

Si è appena conclusa e celebrata la settimana mondiale della sicurezza stradale voluta dalle Nazioni Unite, dal 17 al 22 maggio.

Tra le tante iniziative che hanno preso piede per sensibilizzare l’opinione pubblica su trasporti più green e su misura degli utenti attivi della strada, come ciclisti e pedoni, segnaliamo la presa di posizione dell’Unione Italiana Autoscuole e Studi di Consulenza Automobilistica a favore del limite di velocità a 30 km/h: “Le strade a bassa velocità salvano vite e sono il cuore di ogni comunità. Limiti di velocità di 30 km/h in cui le persone e il traffico misto creano strade sane, verdi e vivibili, in altre parole strade per la vita”.

Una ricetta vincente, come Spagna insegna. Da qualche settimana, lo stato spagnolo ha introdotto un nuovo limite di velocità nella maggior parte delle strade urbane, (si parla del 90%): dai 50 km/h si è scesi a massimo 30 all’ora e in alcuni contesti il limite da 30 km/h è sceso a 20 km/h nei casi in cui si circoli con permesso in una zona pedonale. Come si legge sulla stampa sono previste sanzioni per i trasgressori: multe fino a 100 euro per chi supera i 30 all’ora (ma possono spingersi anche a 600 euro per chi va oltre i 70 km/h).

Sul sito ufficiale con cui il Governo ha scelto di motivare la scelta ambiziosa di estendere la zona 30 nella maggior parte delle città spagnole si legge che questo nuovo limite di velocità non soltanto contribuirà a migliorare la sicurezza stradale (abbassando il numero di incidenti e di vittime), ma andrà a beneficio anche della vivibilità dei quartieri.

Rovesciare la piramide

In questi giorni in città si è tornato a vivacizzare il confronto sul modello di mobilità che vorremmo, alimentato dal fatto che le cugine Reggio e Bologna hanno candidato al Recovery Plan ambiziosi progetti per il trasporto pubblico. Modena invece sembra ferma ancora alle dichiarazioni di principio di un PUMS poco coraggioso, con risorse incerte e tempi biblici.

Non sappiamo se per Modena sia meglio una metrotranvia o un BRT: quello che ci sembra di poter dire è che queste opere devono essere a completamento ed integrazione di un sistema di mobilità più sostenibile che inverta la piramide “prima auto poi il TPL, la bici ed infine pedoni”.

Si potrebbe intanto da subito iniziare nei quartieri con investimenti sostanziali sulla riqualificazione dello spazio pubblico, ricavando spazi per la pedonalità e la ciclabilità con un rapido processo di eliminazione dei parcheggi a bordo strada, con la riduzione delle ampie carreggiate stradali e l’imposizione del limite generalizzato a 30km/h nelle zone residenziali, per disincentivare il traffico di attraversamento.

Una volta messe le basi per una mobilità di vicinato sicura per tutte le persone da 8 a 80 anni, potrà arrivare come naturale completamento l’innesto di un modello di trasporto pubblico moderno ed attraente, fatto di corsie prioritarie, orari frequenti ed estesi su tutta la giornata, mezzi facilmente accessibili con monopattini e bici, ampie pensiline accoglienti e con servizi informativi puntuali sui tempi di percorrenza e biglietti.

Visto che colpevolmente ci siamo presentati al momento cruciale avendo rimandato tutte le scelte, e che, se tutto va bene, un nuovo TPL moderno lo vedremo solo tra diversi anni, nel frattempo possiamo prepararci iniziando a rendere accoglienti e sicuri almeno i quartieri in cui viviamo.

Bisogna fare come in Svizzera

Quante volte in Italia a fronte di comportamenti scorretti o cervellotiche leggi, ci siamo sentiti rispondere che “bisogna fare come in Svizzera”, alludendo alle semplici e pragmatiche leggi che regolano quel paese, e della conseguente facilità di rispettarle? Abbiamo paura che molti italiani non sappiano cosa rischiano chiedendo di emulare la Confederazione.

Ad esempio, domenica a Zurigo ha vinto il referendum che instaura le “bicistrade”: assi stradali che verranno vietati alle auto e riservati alle bici per permettere spostamenti più veloci rispetto a piste e corsie ciclabili. Invece Neuchatel (35.000 abitanti) ha approvato il passaggio generalizzato al limite di 30km/h in città per favorire le bici. Il limite di 50 km/h diventa l’eccezione in qualche strada.

Invece da quando a Carpi l’Amministrazione Comunale ha deciso di applicare per prima le nuove norme del CdS che prevedono, come in Svizzera, strade a priorità ciclabile a 30 all’ora, doppi sensi ciclabili e case avanzate ai semafori per i ciclisti, i post del Sindaco sono stati inondati da critiche ingenerose di cittadini che paventano blocco del traffico, incidenti e disordine.

Non sanno che queste regole, al contrario, in tutti i paesi dove sono state imposte (ed ora confermate a gran voce dai cittadini) hanno ordinato il traffico, ridotto l’uso dell’auto privata, reso più semplici i rapporti tra le diverse utenze e creato spazi più gentili in cui è diminuita l’incidentalità.

Il traffic calming e l’inversione di priorità in città (prima le bici) hanno ormai dimostrato senza dubbio i loro effetti benefici sulla qualità della vita cittadina, sul piccolo commercio di vicinato, sulla coesione sociale, sulla riduzione della pericolosità e conseguente rigenerazione degli spazi urbani.

Tardivamente ma bene ha fatto il Sindaco Bellelli e la sua giunta a chiarire che sono scelte squisitamente politiche: era sbagliato ridurre tutto ad un semplice problema di inquinamento legato a vincoli regionali, e senza ambiguità rivendicare una scelta di cui andare orgogliosi, e di cui, nel tempo, i cittadini saranno riconoscenti.

Carpi tra le città leader della mobilità sostenibile

Ad aprile abbiamo inoltrato a tutti i sindaci dei 47 comuni modenesi un “Piano di azione per la mobilità urbana post Covid” elaborato da BIKEITALIA che contiene suggerimenti tecnici utili per impostare da subito una “Rete di Mobilità di Emergenza”, ed in più alle città di Modena e Carpi abbiamo inviato una proposta con un piano di azioni specifiche. Tali linee guida sono in già in adozione da altri comuni in Italia (anche vicini come Reggio, Bologna, Brescia) così come in Europa e nel mondo intero, poiché tutti sono preoccupati dai rischi impliciti ad un ritorno di una mobilità delle persone e delle merci che non potrà (e non dovrà!) essere come quella pre Covid19.

Pari sollecitazioni sono arrivate pubblicamente su Modena anche da numerose Associazioni, dall’Agenzia per la Mobilità, da studiosi, ingeneri e singoli cittadini. Passati due mesi, non avendo avuto alcun riscontro ci stavamo interrogando su questo insolito silenzio, quando da Carpi il Sindaco e il suo Assessore ai Lavori Pubblici molto preparato sulla mobilità sostenibile, ci hanno sorpreso con misure fortemente ispirate alle nostre proposte. Siamo rimasti, lo ammettiamo, positivamente e fortemente impressionati: mai in oltre 15 anni di presenza ed attività costante sul territorio provinciale nessuna amministrazione era mai andata al di là di una sottoscrizione pre-elettorale delle nostre proposte, rimaste sempre ovviamente nei cassetti.

Invece quello che è stato proposto alla cittadinanza di Carpi non è un semplice piano di ciclabili, che da sole non risolvono nulla, ma un cambio di impostazione, di paradigma che il Sindaco Bellelli ha voluto mettere in chiaro nella prefazione: “le biciclette sono un tassello fondamentale della mobilità moderna e non possono più coesistere con i pedoni sui marciapiedi ciclo pedonali, ma devono tornare al centro della strada con gli stessi diritti (e noi aggiungiamo doveri) delle auto” . Di più: ha preannunciato la costruzione di “case avanzate” per le bici negli incroci principali, la predisposizione di strade a 30Km/h dove non sarà necessario fare corsie ciclabili, poiché le biciclette avranno la precedenza sulle auto. “Gli automobilisti devono sapere che sono i benvenuti nella nostra città, ma quando ci entrano devono rallentare per rispettare gli utenti più vulnerabili”.

Per noi la presentazione poteva anche chiudersi qui, perché se è chiaro che l’obiettivo è quello di avere una città più sicura, accogliente e vivibile, non interessa più (solo) quanti saranno i km ciclabili, quali i loro percorsi, quale tecnica infrastrutturale sarà usata. Avere individuato le giuste priorità rende di per sé corretto il percorso intrapreso.

In realtà tutti questi aspetti ci sono nel piano della Mobilità: si è partiti da individuare i poli attrattori (lavoro, scuola, centri commerciali), si è analizzata la mappa della incidentalità, sono state scelte come preferenziali le corsie monodirezionali da entrambi i lati della strada, e dove la larghezza della carreggiata non lo può consentire si introducono strade a 30 km/h. Si sono dati tempi brevi (entro settembre) per concludere tutto: il che fa ben sperare che a mesi i carpigiani potranno avere una opzione in più per la loro mobilità che sarà sicura e confortevole, finalmente in reale competizione qualitativa con l’automobile privata per i tragitti quotidiani tipici.

Probabilmente non mancheranno le critiche e le criticità perché non è facile realizzare tutto alla perfezione: forse le persone che a parole vogliono il cambiamento alla fine non avranno voglia di cambiare le loro abitudini, pronte ad alzare la voce alla prima intersezione sbagliata, al primo incidente tra monopattino e pedone, scordandosi poi ovviamente le ore perse nel traffico, il rumore, l’inquinamento, i morti e feriti provocati dal precedente modello di mobilità auto-centrico.

Per questo, oltre ai complimenti ed al sostegno che avranno dal direttivo FIAB Modena e dai nostri soci presenti su tutta la Provincia di Modena, al Sindaco Alberto Bellelli, all’ Assessore Marco Truzzi, oltre agli assessori Riccardo Righi e Mariella Lugli che stanno condividendo i progetti di mobilità sostenibile, ci sentiamo di dare due suggerimenti:

Il primo: è necessario pensare ed attuare un piano di comunicazione anche con cartellonistica stradale pubblicitaria (creando magari un marchio, un brand, uno slogan della mobilità sostenibile a Carpi) e spiegare meglio ai cittadini come comportarsi in una città a Km30, i diritti e doveri di tutti gli attori del traffico ( dagli automobilisti privati, agli studenti in monopattino, ai furgoncini per le consegne, all’anziano che vuole andare in piazza Martiri per passare la mattinata in compagnia).

Il secondo: trovare risorse per installare un paio di totem conta-ciclisti. Può sembrare ininfluente, ma le prime critiche saranno improntate all’inutilità delle realizzazioni (non ci va nessuno in bicicletta!), ma a fronte del conteggio dei passaggi non ci sono argomenti da bar o social che tengano. Noi sappiamo che inforcare una bici invece che l’auto è un piccolo gesto (a volte per qualcuno anche un sacrificio) che però spesso non viene riconosciuto: vedere invece che per l’amministrazione quei cittadini quei pedoni e ciclisti “contano” come tutti gli altri utenti motorizzati è un grande segno di gratitudine, appunto un cambio di paradigma.

Carpi quindi come Parigi, Berlino, Bruxelles, Bogotà, Londra, Vienna, ma anche Roma, Milano, Torino, Firenze, e Bologna prova a ripartire con una nuova normalità: finalmente una amministrazione che anche alle nostre latitudini prova a riempire di contenuti ed azioni concrete l’auspicio di un mondo migliore rispetto a quello messo a nudo dalla pandemia.

Zona 30: un rischio calcolato

Il governo ha deciso che sotto il tasso di contagiosità del coronavirus di 1 si potranno riaprire altre attività come i teatri od i cinema. Si accetta quindi un rischio calcolato, visto che il rischio zero comunque non esiste in nessuna attività umana.

Traslando il concetto nell’ ambito della incidentalità stradale sappiamo che in Italia muoiono 3300 persone all’anno in strada, mentre l’obiettivo concordato con l’Europa era di arrivare a “soli” 2000 quest’anno. Questo è il limite calcolato come inevitabile, mentre i rimanenti decessi sono quelli su cui possiamo incidere, come hanno fatto i paesi che ci sono riusciti lavorando soprattutto sulla velocità degli autoveicoli in ambito urbano, che è causa principale sia della incidentalità che della mortalità. Tutti gli studi al mondo concordano che un pedone o ciclista se colpito da un’auto a 50 km/h ha il 90% della probabilità di morire, mentre se colpito a 30 km/h ha solo il 10% di subire le massime conseguenze. Ed è per questo che tutti i paesi stanno adottando sempre più in ambito urbano il limite dei 30 km/h.

In queste strade non c’è più bisogno di separare il traffico motorizzato da quello ciclistico, perché la sicurezza è insita nei comportamenti, e quindi la ciclabilità e la pedonalità aumentano naturalmente e, in un circolo virtuoso, maggiori pedoni e ciclisti per strada obbligano le auto a rispettare davvero i limiti, molto più di dossi e restringimenti (che comunque vengono adottati).

E’ più sicuro anche per gli automobilisti che sono ancora i 2/3 dei morti della strada: International Transport Forum calcola che un impatto ad 80 km/h è causa di morte molto probabile per l’autista, mentre la percentuale cala esponenzialmente al calare della velocità (solo il 10% a 50km/h, 20% a 60 km/h). Se ne deduce che un incidente tra due auto a 50 km/h produce effetti molto, ma molto più devastanti che ed uno a 30 km/h.

Insomma, il nostro numero magico 30 non è un vezzo, ma è il rischio calcolato che azzera (quasi) le morti evitabili solo perché l’auto stava andando ad una velocità non compatibile con la presenza diffusa e prevedibile di pedoni, ciclisti e di altre auto. L’attuale limite generalizzato in città a 50 km/h invece induce i guidatori a ritenere che questa velocità sia sicura per sé e per gli altri.

Risultato: Helsinki ed Oslo (600.000 abitanti) da quest’anno hanno tutte le strade cittadine a 30 all’ora (a parte qualche dorsale a 50 km/h) ed ZERO morti nel 2019. Roma (2.800.000 abitanti) ha contato anche l’anno scorso 143 morti (di cui 57 pedoni). E’ ancora un rischio accettabile?

Subito una Modena a 30 km orari

Prima di Natale a Roma due studentesse sono state travolte mentre attraversavano una strada. Media e opinione pubblica, come al solito sono stati “distratti” da fattori scarsamente rilevanti come la notorietà dell’investitore, o l’orario in cui le ragazze 16enni giravano in città. Il fatto che il guidatore avesse bevuto, che le ragazze probabilmente non fossero sulle strisce e la scarsa illuminazione della strada hanno purtroppo indirizzato le cause dell’incidente verso motivazioni accettabili per l’opinione pubblica.

Da quel giorno, ogni giorno, in Italia sono morte 10 persone sulle strade, senza che ci fosse più alcuna reazione da parte dei media e dei social, anestetizzati ormai a trattare ogni singolo caso come un incidente di percorso, una cosa che può capitare. Che, in parte, è anche vero.

Solo che molti paesi hanno avviato da anni politiche di contenimento di questo rischio, che hanno portato ad esempio Oslo (750.000 abitanti) ad avere 1 solo morto l’anno scorso, mentre Roma con 3.200.000 abitanti deve contare 134 morti. Per tornare a città più simili a Modena, ad esempio Pontevedra (Spagna 80.000 abitanti) da 10 anni non ha nemmeno un morto. Modena chiude il 2019 con 12 morti, e il 2020 purtroppo si è aperto con la tragica fine di un 17enne sulle strisce pedonali mentre andava a scuola.

In questo caso non eravamo a Roma, non c’era nessuno famoso, nessun SUV, il ragazzo era sulle strisce, l’investitore sobrio e pare non distratto dal cellulare. Quindi un caso, una semplice ma fatale distrazione o possiamo trovare fattori comuni con l’evento romano? Agli attenti conoscitori delle dinamiche stradali non possono sfuggire le comuni conformazioni delle carreggiate (entrambi due larghe strade dritte in zone residenziali) e la conseguente alta velocità tenuta dai conducenti (in entrambi i casi i corpi sono stati sbalzati a decine di metri), nonché la presenza di passaggi pedonali non protetti, e la scarsa visibilità (pioggia e buio a Roma, nebbia mattutina a Modena).

In realtà in entrambi i casi, questa scarsa visibilità dai media è stata incredibilmente portata come una attenuante, quando dovrebbe essere considerata una aggravante perché lo stesso Codice della Strada dice che chi guida deve adeguare la velocità alle condizioni meteo e dei potenziali ostacoli, anche imprevisti. In entrambi i casi la velocità massima era di 50 km/h ma dagli effetti degli scontri e dai primi accertamenti, possiamo affermare che non solo i conducenti non avevano attenuato la velocità, ma probabilmente stavano superando il limite. Vale la pena sottolineare che a 50 all’ora ci si arresta in 28 metri e che 9 pedoni su 10 muoiono nell’impatto, mentre a 30 km/h ci si ferma in 13 metri e perisce solo 1 pedone su 10. Una bella differenza, che per questi ragazzi si sarebbe trasformata probabilmente in danni, anche gravi ma non definitivi.

Si deve sapere che in Italia metà dei pedoni viene investito sulle strisce, che le vittime sono in gran parte over 65, che il 75% degli incidenti mortali avviene in città, e sono causati in stragrande maggioranza da automobilisti perfettamente sobri, ma pericolosamente veloci. Ecco perché da sempre chiediamo alla politica di agire alla radice del problema, con le stesse ricette di Oslo e Pontevedra: prima di tutto con la riduzione generalizzata in città della velocità massima a 30 km/h (a parte le principali arterie di scorrimento cittadine) e poi strade più strette, spartitraffico, corsie riservate a mezzi pubblici, corsie ciclabili in strada, strade a priorità ciclabile, forte riduzione dei parcheggi a bordo strada.

E poi un’azione informativa e punitiva di contrasto quotidiano (non campagne eccezionali) alla velocità eccessiva, all’uso del telefono in auto, al parcheggio selvaggio nelle intersezioni e passaggi pedonali, alla mancata precedenza ai pedoni sulle strisce. Tutte azioni che si possono fare con le attuali normative, senza attendere nuovi codici della strada. E che, tra l’altro, sono state sollecitate anche recentemente da Andrea Burzacchini, l’amministratore di AMO nominato dall’attuale Sindaco, che è indubbiamente una voce autorevole ed esperta in materia.

Sappiamo che tutti in città, a partire dagli amministratori, sono stati molto colpiti da questo ultimo evento. Ora chiediamo che le nostre richieste non cadano ancora nel vuoto, e per non scordare abbiamo piazzato in via Morane una bici bianca, simbolo dei ciclisti morti in strada. Perché pensiamo che arrivare 5 minuti prima a destinazione non sia un valido motivo per mettere a rischio la vita dei nostri cari, e che le priorità dei cittadini vadano rimesse nel giusto ordine: prima sicurezza, tranquillità, un ambiente urbano meno inquinato e più silenzioso, più accogliente, inclusivo per giovani ed anziani e poi solo alla fine fluidità del traffico e facilità di parcheggio. In questo senso l’attuale formulazione del PUMS non è adeguata a perseguire questi scopi.

Se avremo il coraggio di cambiare le nostre abitudini, fornire alternative credibili, e convincere i modenesi (a partire dagli stessi amministratori) che questa è la giusta direzione, non abbiamo dubbio che nel medio periodo si potranno ottenere sensibili miglioramenti non solo nella fluidità del traffico, ma anche per il commercio, l’economia di vicinato, la sicurezza dei quartieri, la coesione sociale. E che avremo un po’ tutti meno paura a far andare i nostri anziani al circolo, o i figli a scuola.

Città slow, il futuro è lento

Le chiamano le città del “buon vivere”, che significa disporre di soluzioni e servizi che permettano ai cittadini di fruire in modo facile, semplice e godibile della propria città. L’immagine che le rappresenta è una lumaca alla cui sommità sono distribuite le case di un centro abitato, come fossero i petali di una rosa. L’idea nasce da una iniziativa dei sindaci di Greve in Chianti, Orvieto, Positano e Bra, che hanno voluto porre le basi di un nuovo umanesimo dell’essere e dell’abitare, dove la vita non va fagocitata ma assaporata, dove il rispetto per l’ambiente pone le basi di una responsabilità condivisa.

L’insieme dei requisiti indispensabili per diventare Città Slow si inseriscono all’interno di alcune macro-categorie che riguardano le Politiche Energetiche Ambientali, le Politiche Infrastrutturali, le Politiche per la Qualità Urbana e Politiche Agricole Turistiche Artigianali. Dal 1999 ad oggi tanti piccoli e grandi comuni si sono uniti a questa idea di futuro. Attualmente sono 252 e sono sparsi in 30 paesi nel mondo. Progettano nuovi stili di vita, impegnandosi in un futuro resiliente, applicando la lentezza positiva, non ultima quella legata alla mobilità.

Così il concetto di città slow si sposa con quello della riduzione della velocità. Le zone con il limite dei 30 km/h, ma anche quelle cosiddette “di incontro” a bassissima velocità (20 km/h), portano con sé come naturale conseguenza un aumento del verde e degli spazi pubblici, diventano più belle, più sane e, aumentando il valore degli immobili ed il reddito dei commercianti, più ricche.