In bici al lavoro: si rischia ancora troppo

Domenica scorsa è stata collocata una bici bianca nel punto della Via Emilia in cui un ragazzo di nemmeno 20 anni che si stava recando al lavoro è stato ucciso in uno scontro con due automobilisti, di cui uno non si è fermato a prestare soccorso.
FIAB promuove da anni il bike-to-work, il pendolarismo lavorativo in bicicletta, consapevole che se un numero maggiore di persone si recasse al lavoro pedalando, la forza dei numeri garantirebbe una maggiore sicurezza, ma è un dato di fatto che la percezione del rischio è un deterrente potentissimo, e a ragione.
Chi pedala verso il luogo di lavoro rischia ancora troppo: le infrastrutture per una mobilità ciclistica sicura sono ancora carenti o inesistenti; la distrazione, la velocità e la fretta di chi guida un veicolo possono risultare fatali per chi non ha la protezione di una scocca di acciaio. La sicurezza così diventa un privilegio di chi si sposta in auto e la libertà di usare un veicolo privato va a scapito della libertà di scegliere di muoversi diversamente senza rimetterci la vita.
Come tutti i privilegi, costa caro: a chi l’auto la guida (in  costo del veicolo e carburante), ma anche alla collettività, in inquinamento, sedentarietà, stress e inefficienza dei trasporti. Già, perché quella che sembra una scelta razionale (prendo l’auto così faccio prima), moltiplicata per le migliaia di persone che devono recarsi al lavoro giornalmente ci si ritorce contro: code chilometriche, ingorghi, impossibilità di parcheggiare. Mentre le alternative a due ruote non sono percorribili perché risultano troppo pericolose.
C’è chi si ricorda che nel dopoguerra dai Comuni dell’immediata periferia di Modena partivano gruppi di colleghi in bicicletta diretti ai luoghi di lavoro nel capoluogo: 6-7 chilometri, pedalati senza fretta, volevano dire una quarantina di minuti di tragitto. Ora da quegli stessi Comuni partono centinaia di auto, e quei 6-7 chilometri si traducono di nuovo in una quarantina di minuti di tragitto per via del traffico, e per fare movimento poi si va in palestra. Così ci si rimette tutti, in soldi, salute, serenità, qualità dell’aria e della vita. E’ questo il progresso? Una città progredita come minimo deve permettere ai suoi cittadini di esercitare una reale libertà di scelta: se continuare a usare l’auto privata oppure inforcare una due ruote, senza temere per la propria incolumità. Anzi, no: una città progredita dovrebbe facilitare la scelta più conveniente, per il singolo e per la collettività.

Un’altra occasione persa

Nei primi giorni di dicembre sono stati inaugurati contemporaneamente tre centri commerciali che si affacciano tutti su via Emilia Ovest.
In particolare si è trattato della riorganizzazione del grande ipermercato del centro commerciale Grandemilia, dell’insediamento di un altro supermercato sotto al cavalcavia della Madonnina e di un centro per il bricolage verso il ponte dell’autostrada.

Così, in barba ad una attenta pianificazione, si sono aggiunti altri carichi urbanistici commerciali sull’asse principale di Modena, perdendo l’occasione per riqualificare progressivamente uno degli accessi più importanti della città.

Per rendere accessibili questi insediamenti sono stati realizzati nuovi svincoli e rotatorie che hanno sottratto ai ciclisti ed ai pedoni il poco spazio disponibile ai margini della strada, faticosamente difesi nel passato con una attenta politica urbanistica. Come se non bastasse, questa nuova riorganizzazione non si è preoccupata di dare continuità agli spezzoni di ciclabili e di sottostrade che prefiguravano la progressiva realizzazione dei percorsi pedonali e ciclabili su ogni lato della strada, previsti negli strumenti urbanistici. Così si vieta l’accesso pedonale e ciclabile alle più importanti attività industriali e commerciali della città: altro che Mutina Splendidissima!

Tutto questo farebbe pensare ad un deciso cambio di rotta nella gestione del territorio e della mobilità, se non fosse che, contemporaneamente, si investono ingenti risorse comunali e statali in progetti di bike to work per spingere i cittadini all’uso della bicicletta per recarsi al lavoro.

Inoltre l’Agenzia per la Mobilità Amo con il progetto MOSSA cerca di premiare le aziende più virtuose nell’offrire servizi ed incentivi ai lavoratori che accedono al posto di lavoro con mezzi più rispettosi dell’ambiente. Il Comune ha inoltre iniziato le consultazioni per la stesura del Piano urbano di mobilità sostenibile (PUMS), che mette al primo posto l’uso della bicicletta e del trasporto pubblico per gli spostamenti di ambito urbano.

Se si trattasse di una persona fisica si potrebbe pensare alla schizofrenia o a disturbi dissociativi, ma in questo caso è molto probabile che si tratti della netta differenza tra ciò che si dichiara di perseguire e ciò che si realizza nella realtà.

La FIAB, pur con grande rammarico per tali scelte contraddittorie, non rinuncia a collaborare con tutti per affermare una mobilità più efficace e moderna rispettosa dell’ambiente.

Giorgio Castelli
www.modenainbici.it