Riprendiamoci gli spazi della socialità

città assediata

città assediata

Riprendiamoci gli spazi della socialità
(*) Giorgio Castelli

Le nostre città appaiono segnate da due problemi: la microcriminalità che mina la sicurezza urbana e lo stillicidio degli incidenti stradali. Le ricette sono sempre le stesse: più agenti nelle strade e maggiori controlli, magari con l’ausilio di gruppi di volontari, ma il senso di insicurezza permane. Intanto i cittadini dormono in quartieri deserti durante il giorno, mangiano vicino al luogo di lavoro, comprano nei centri commerciali e si svagano in auto o nei “divertimentifici”.

La nostra vita si svolge all’interno della brown cloud, la nuvola di smog sulla Pianura Padana che, secondo gli esperti è generata per più del 70% dall’inquinamento da traffico. Per respirare meglio alcuni ristrutturano case in campagna o in collina in cerca di natura, così intasano due volte al giorno le strade di accesso alle città e sprecano ogni giorno due ore della propria vita in auto.

Le Amministrazioni investono le scarse risorse disponibili nella costruzione di nuove strade e autostrade, motivandole con previsioni di traffico vecchie e gonfiate. Anzi, non avendo risorse disponibili, utilizzano concessioni e convenzioni coi costruttori, impegnando anche i soldi dei nostri figli. I cittadini, privi di speranze, chiedono nuove strade veloci, ma lontane dalle proprie abitazioni. Il traffico è odiato e temuto da tutti, ma viene considerato un effetto collaterale e inevitabile della vita in città.

In campagna elettorale tutti promettono città smart, con tanto di nuvola informatica per internet (cloud), ma intanto respiriamo tutti i giorni la “brown cloud” di smog.

Sembra che non vi sia la capacità di immaginare una mobilità più equilibrata e meno autocentrica, mentre altre città italiane ed europee, grandi e medie, investono idee e risorse per spostare quote di mobilità dalle automobili private ai mezzi pubblici, alle biciclette e alla pedonalità.

Queste città moderne (cioè “attuali” nel significato originale del termine) agiscono su cinque filoni di intervento: incremento delle strade pedonali nei centri urbani e nelle zone residenziali, allargamento dei marciapiedi, diffusione delle zone a 30 km/h nei quartieri residenziali, dotazione di servizi per i ciclisti (depositi, parcheggi, trasporto delle biciclette sui mezzi pubblici extraurbani), miglioramento dell’efficienza del trasporto pubblico con aumento del confort dei mezzi e delle fermate, riduzione degli spazi pubblici occupati dalle auto in transito e in sosta.

Sul piano urbanistico le stesse città accompagnano la riqualificazione dello spazio pubblico con la realizzazione di fabbricati con piani terra ricchi di attività commerciali di qualità, abbandonando la cultura dei centri commerciali ormai obsoleti.

Le strade e gli spazi pubblici ritornano così ad essere il luogo sicuro dell’incontro, della socialità e della bellezza che tutto il mondo ci ha sempre invidiato, perché il “compito della politica pare essere soprattutto il creare amicizia tra i cittadini, cioè legame sociale” (Aristotele).

Bikenomics: un altro sviluppo è possibile

rossella_donna_invernoGli accordi internazionali intervenuti dal 1992 hanno orientato lo sviluppo economico al rispetto dell’ambiente, inducendo i paesi più ricchi ad adottare processi produttivi e stili di vita compatibili con l’ecosistema.

Molte iniziative concrete hanno seguito questo indirizzo, anche nel settore della mobilità urbana. Complici la crisi economica e la diffusione della sensibilità ecologista, sono emerse alcune tendenze che annunciano tempi nuovi: la più eclatante riguarda la vendita delle biciclette che, nel 2011 e nel 2012, ha superato in Italia quella delle automobili.

Come si riflette la diffusione della bicicletta sulle dinamiche di sviluppo cittadino? Una città in cui ci si muove in bici è migliore di una città in cui ci si muove in automobile? La nuova disciplina della bikenomics, nata sulla scia di questo fenomeno, ha evidenziato dati convincenti a favore della mobilità ciclistica.

È ormai assodato che l’uso della bicicletta induce molti benefici: chi usa la bici dispone di risparmi per comprare beni e servizi o da spendere in bar e ristoranti, è più in salute e impatta di meno sul sistema sanitario, contribuisce a ridurre il traffico e l’inquinamento, aiuta lo sviluppo del commercio locale (i negozi situati in prossimità di reti ciclabili registrano aumenti nelle vendite pari al 49%),  favorisce la riduzione la manutenzione stradale e lavora meglio.

Mentre in Europa si diffondono gli interventi a favore della mobilità (e dell’economia) sostenibile, l’Amministrazione comunale di Modena si attesta malinconicamente sul paradigma auto-centrico: blocca le zone a 30 km/h, realizza un megaparcheggio in struttura, tentenna a pedonalizzare Piazza Roma, inventa una ciclabile spezzata in Via Giardini, dissemina di ostacoli le ciclabili esistenti, impone una segnaletica penalizzante sulle ciclabili e sostiene i mezzi su gomma al posto dei treni sulla Modena – Sassuolo. Risultato: quasi l’80% degli spostamenti urbani sono effettuati in automobile. C’è da sorprendersi?

Giuseppe Marano

Il cielo non ci aiuta

Bicicletta incidentata

Bicicletta incidentata

Purtroppo non passa settimana senza che qualche ciclista venga investito con gravi conseguenze e subito si sviluppa sulla stampa e nei social network il solito e sterile dibattito sulle cause e sulle colpe dell’accaduto.
Come in molti dibattiti televisivi, alcuni si schierano per i ciclisti, visti come vittime sacrificali del traffico, altri invocano un maggiore rigore nel punire i loro comportamenti troppo disinvolti e irrispettosi del Codice della Strada. Poi tutto rimane come prima.
È un dibattito che da sempre si sviluppa sul tema degli incidenti stradali, che vede le case automobilistiche costruire e vendere auto sempre più veloci e finanziare contemporaneamente corsi di educazione stradale, per spostare l’attenzione e la responsabilità degli incidenti dalle caratteristiche dei mezzi e dalla gestione del traffico, ai comportamenti dei singoli guidatori.
È ciò che accade per gli incidenti sul lavoro, quando si afferma che la causa prima degli infortuni è l’eccesiva sicurezza dei comportamenti dei lavoratori.  Invece numerosi studi internazionali hanno dimostrato che la causa principale degli incidenti stradali è l’eccessiva velocità dei mezzi, come del resto è stato dimostrato, anche nel nostro paese, con i risultati ottenuti dall’introduzione degli autovelox, dei tutor e della patente a punti.
Il controllo e la repressione degli eccessi di velocità hanno infatti prodotto subito un calo dei morti e feriti su tutte le nostre strade. L’obbligo del casco per i motociclisti ha fatto il resto.
L’ abbassamento delle velocità in ambito urbano si ottiene con la costruzione di strade “improntate alla sicurezza della circolazione di tutti gli utenti della strada, alla riduzione dell’inquinamento acustico ed atmosferico per la salvaguardia degli occupanti gli edifici adiacenti le strade ed al rispetto dell’ambiente e di immobili di notevole pregio architettonico o storico.” (art. 13 del Regolamento di attuazione del Codice della Strada).
Se si vogliono meno morti e feriti nelle aree urbane le principali aree di intervento sono:

  • costruire infrastrutture e spazi pubblici improntati alla condivisione e alla riduzione delle velocità dei veicoli,
  • una gestione del traffico che privilegi i veicoli lenti, i pedoni ed i mezzi pubblici,
  • il controllo e la repressione degli eccessi di velocità.

Il 19 settembre, con i nostri soci, abbiamo effettuato il periodico rilevamento dei flussi di biciclette nei 14 punti principali di accesso al centro urbano. Anche in questa occasione abbiamo visto ciclisti che tentano di districarsi tra semafori a chiamata, transenne, fine di pista ciclabile, assenza di attraversamenti ciclabili, semafori che spezzano in tre tempi un centinaio di metri di pista. E purtroppo abbiamo visto comportamenti troppo disinvolti di alcuni ciclisti che vanno contrastati. Ma in mezzo agli incroci puzzolenti abbiamo anche visto un automobilista su dieci al cellulare, parcheggi sulle piste, accelerazioni e velocità da autodromo.
Il giorno prima, al pomeriggio, avevamo anche visto dei vigili in bicicletta fermare i ciclisti che attraversavano viale Italia all’incrocio con la via Emilia, per farli attraversare a piedi, visto che manca l’attraversamento ciclabile a norma di Codice. Una lezione sul campo di educazione stradale ai ciclisti mentre, davanti a tutti, sfrecciavano auto e furgoni ai settanta all’ora. Un assessore aveva promesso l’intero centro urbano ai 30 Km/h, ma evidentemente le priorità nei fatti sono altre.

Se l’auto diventa “presunta colpevole” negli incidenti stradali

Nel Regno Unito ferve il dibattito sulle politiche per la riduzione dell’inquinamento da traffico: modifiche del Codice della strada e iniziative sperimentali municipali stanno ribaltando lo strapotere degli autoveicoli a favore dei mezzi ecologici.

Novità interessanti nel dibattito politico del Regno Unito: il deputato liberaldemocratico Julian Huppert ha dichiarato di voler promuovere in Parlamento una legge che renda l’automobilista responsabile in caso d’incidente con un ciclista, a meno che non sia in grado di provare il contrario. Lo stesso varrà per i ciclisti nei confronti dei pedoni. In tal modo, l’utente della strada considerato più “debole” avrà condizioni di difesa più favorevoli.

L’iniziativa legislativa di Huppert segnala un trend d’interesse crescente delle autorità pubbliche verso la mobilità ecologica, indicata dagli osservatori come una risorsa strategica decisiva per il contenimento dell’inquinamento da traffico che assedia le città di tutto il mondo.

Lo strapotere delle auto nelle strade cittadine ha infatti finito col relegare ciclisti, pedoni e trasporto pubblico ai margini della mobilità urbana: a Modena, il 79% degli spostamenti avviene con l’uso dell’automobile (tre quarti di essi sono inferiori ai tre chilometri). Inoltre, ciclisti e pedoni pagano un pesante tributo di vite umane e di danni materiali a questo modello autocentrico: in Italia, ogni anno si registrano circa 800 morti, con migliaia di feriti.

Questa situazione, insieme a una cultura obsoleta che eleva l’auto a status symbol, provoca una sensibile “intimidazione” psicologica dei ciclisti-pedoni, impauriti dai pericoli quotidiani derivanti dalla presenza aggressiva delle automobili negli stessi spazi pubblici. Ne consegue che gli spostamenti in bici e a piedi (a Modena il 15% circa) sono assai inferiori a quanto potrebbero, considerando che la città estense dispone di un potenziale di oltre 200mila biciclette.

L’iniziativa inglese non è isolata: in Francia, Germania, Paesi scandinavi, Olanda gli stati e le città sperimentano modifiche del Codice stradale e politiche municipali finalizzate a promuovere un riequilibrio fra autoveicoli e mezzi ecologici, unico modo per migliorare la qualità urbana.