Le parole contano

Un codice di condotta per i giornalisti che si occupano di collisioni sulle strade: l’idea è dell’Università di Westminster e nasce dalla convinzione che una copertura giornalistica inadeguata può creare preoccupazioni ingiustificate, sviare l’attenzione dalle cause reali del problema, oscurare le soluzioni e persino generare aggressività.

La prima indicazione riguarda la massima accuratezza nel riportare quello che si sa della dinamica dei fatti. Si suggerisce poi di non usare il termine “incidente”, termine legato al caso, ma “collisione” o “scontro”; si chiede di menzionare le persone e non i veicoli (“un automobilista” e non “un auto”), per non nascondere dietro oggetti inanimati le responsabilità individuali. Così pian piano si costruisce una sensibilità che permette di evitare certi messaggi impliciti e pericolosi che possono inavvertitamente insinuarsi nel modo di riportare una notizia.

Un esempio dalla cronaca recente. “Cade in bici, un’auto lo travolge”: se leggiamo un titolo di questo tipo pensiamo ad un ciclista distratto, o inesperto, che avrebbe dovuto stare più attento. Nell’occhiello però si chiarisce “la portiera si apre all’improvviso, il rider su una bicicletta elettrica non riesce ad evitarla e cade a terra: in quel momento passa un’auto che lo travolge.” Come può una portiera “aprirsi” da sola? Ci deve essere stato qualcuno che l’ha aperta “all’improvviso”: nascondere la responsabilità dell’automobilista incauto lo assolve, invece prima di aprirla avrebbe dovuto controllare che nessuno stesse sopraggiungendo. Il rider è su una “bicicletta elettrica”, si legge, e “non riesce ad evitarla”: siamo così portati a pensare che, data la bici elettrica, il rider andasse probabilmente troppo forte, tanto che non è “riuscito” ad evitare quella portiera spalancata (lasciando intendere che invece avrebbe potuto “riuscirci”). Così, magari senza volerlo, chi scrive finisce per suggerire che il ciclista abbia avuto un buon grado di colpa. Infine, a sopraggiungere e travolgerlo è “un’auto”: di nuovo si parla del veicolo e non dell’attore umano, cioè un automobilista che non manteneva una adeguata distanza di sorpasso del ciclista (perché se fosse stata adeguata non l’avrebbe travolto anche in caso di caduta). Di nuovo il conducente del veicolo non viene menzionato e scompare agli occhi del lettore insieme alla sua responsabilità nell’accaduto.

Le parole contano: condizionano la psicologia del lettore e di conseguenza il comportamento, e vanno usate con estrema consapevolezza.

Vita da Riders

Nel confronto tra riders e piattaforme per la consegna a domicilio, si è inserito a Modena un protocollo per migliori condizioni di lavoro, lotta al caporalato, intermediazione illecita e sfruttamento, e per mettere a disposizione tre luoghi coperti e sicuri, dove potersi riposare, riparare le bici e ricaricare gli smartphone. Inizia finalmente un percorso per riconoscere diritti minimi a questi lavoratori in merito a retribuzioni, tempi e modalità di lavoro che non sono tollerabili nel ventunesimo secolo.

I dati di Deliveroo mostrano come nell’ ultimo anno siano aumentati del 65% i ristoranti modenesi che hanno avuto bisogno di iniziare le consegne a domicilio, quasi tutti indipendenti e di piccole dimensioni. Pandemia, invecchiamento della popolazione e vendite online spingeranno sempre di più questi stili di acquisto.

Bisognerà quindi iniziare anche a domandarsi se la strada, l’ambiente di lavoro dei riders, abbia le condizioni di sicurezza necessarie: le attuali infrastrutture ciclabili sono spesso interrotte, spezzate su lati diversi della strada, strette, bidirezionali, in condivisione con i pedoni, mal segnalate negli incroci, dissestate, scarsamente illuminate e piene di ostacoli. Come possiamo pretendere che questi ragazzi possano consegnare ogni giorno decine di hamburger caldi, senza incorrere in ogni tipo di pericolo o di essere costretti alle infrazioni, come attraversare con il rosso, pur di arrivare in tempo? Avete mai provato certi incroci con due o tre passaggi semaforici non sincronizzati che obbligano a stare fermi diversi minuti? Andate dalle parti di Largo Aldo Moro, per esempio.

I ciclo-fattorini con i loro mezzi a basso costo ed a basso impatto volumetrico ed ambientale sono la chiave che rende sostenibile il modello di consegna a domicilio, che sarà sempre di più basato su bici e cargo elettriche che già oggi possono spostare fino a 200-300kg. È quindi sempre più urgente ripensare ad una rete viaria che sia diretta, universale, prioritaria ed ampia, per la mobilità quotidiana e sostenibile di tutti i cittadini. E di chi trasporta la loro pizza.

FIAB sull’apertura della ZTL al “take away”

Comprendiamo benissimo la finalità dell’iniziativa che punta a aprire la ZTL per l’asporto, e siamo certi che sia stata pensata per dare una risposta immediata in un momento difficile, ma pensiamo che sia una risposta sbagliata ad un problema reale.

Per prima cosa è il messaggio ai cittadini ad essere sbagliato: soprattutto in tempi di COVID i piccoli spostamenti devono essere incentivati a piedi o in bici, non in auto. E l’esperienza comune ci dice che l’asporto di una pizza, due lasagne o un kebab nella grande parte dei casi viene fatto a poche centinaia di metri da casa, con un peso da spostare che non giustifica l’uso di un’auto.

Poi pensiamo che sia una misura in gran parte inutile, perché ci sono già centinaia di riders disponibili a consegnare in bicicletta dal centro storico verso ogni quartiere di Modena.

Ma soprattutto è controproducente per gli stessi operatori economici del centro storico, perché non è vero che l’accesso delle auto favorisca gli affari in centro storico. Si è dimostrato esattamente il contrario in tutto il mondo, perché non dovrebbe valere per Modena?

Ne è la riprova il fatto che proprio in questi giorni i commercianti di via Canalino accolgono con piacere la riqualificazione della via e pensano di chiederne la pedonalizzazione, perché ritengono in questo modo di poter anche raddoppiare le vendite.

Infatti per ogni cittadino modenese in più in centro in auto, avremo centinaia di modenesi a cui sarà negato il piacere di godersi sotto Natale gli acquisti in tutta tranquillità e senza l’assillo del traffico.

Per non parlare poi di quando ci ritroveremo a commentare gli inevitabili parcheggi fantasiosi di cittadini che, in situazione di centro affollato, non troveranno posto vicino al loro locale.

Per cui chiediamo all’ Amministrazione di valutare con attenzione tutti i pro ed i contro di questa scelta, perché ci sembra che comporti più svantaggi che utilità.

E non chiamiamolo più “lavoretto”

Gli impieghi sorti come risultato di quella che all’inizio si chiamava “sharing economy” (economia collaborativa) sono degenerati in una nuova classe di lavoratori senza diritto di reclamare nulla alla loro azienda, semplicemente perché questa non li considera dipendenti.

Sono i ciclo-fattorini di Deliveroo , Foodora, Just Eat, Glovo, Sgnam e sono chiamati «rider».

Sono organizzati tramite una app, non si conoscono anche se talvolta si incrociano in strada tra una consegna e una pausa.

Poche settimane fa a Bologna, i riders hanno interrotto il servizio il di consegna, per rivendicare diritti e condizioni lavorative e contrattuali degne. In città i riders sono circa duecento, un gruppo eterogeneo fatto di studenti , stranieri, ma anche persone di 40-50 anni rimaste fuori dal mercato del lavoro che hanno trovato un’ancora nella cosiddetta “economia dei lavoretti”, ma che per molti è tutt’altro che un lavoretto. Per ogni turno, che dura in media tre ore, i ciclo-fattorini arrivano a macinare fino a cinquanta chilometri sui pedali. Per ogni consegna hanno circa mezz’ora di tempo da quando il cliente fa partire l’ordine, per una paga oraria che non supera i sette euro e che non contempla indennità in caso di maltempo o lavoro festivo. Non sono previste ferie, malattia, né tariffe differenziate tra consegne notturne e diurne. Dopo mesi di iniziative e pressioni collettive, per il miglioramento delle condizioni di lavoro e sicurezza, la situazione peggiora, per alcuni le retribuzioni passano da 6,40 a 4,40 euro netti; il cottimo, come nell’Ottocento, sembra l’unica forma di retribuzione e il ritmo di lavoro è sempre più intenso.

I riders scioperando si rivolgono anche ai clienti: “Vogliamo far comprendere a tutta la cittadinanza che la nostra battaglia è una battaglia di tutti e per tutti, per un modello di città dove i servizi “on demand” non minino i diritti ad un lavoro degno e sicuro e alla salute. Per questo, a chiunque voglia solidarizzare con noi, chiediamo di far sentire la propria voce: potete telefonare al numero clienti delle piattaforme, dichiarando di sostenere le nostre rivendicazioni”.

Ricordiamocelo tutti, quando li vediamo sfrecciare in strada con una pizza, una birra o un pacco: le nostre consegne.

Marina Beneventi
www.modenainbici.it