Qualche anno fa un gruppo di psicologi sociali dell’Università di Bologna ha analizzato e catalogato decine di studi dedicati alle collisioni tra veicoli motorizzati e biciclette in una rassegna sistematica della letteratura scientifica.
L’analisi del gruppo di ricerca Unibo – coordinato dal Dipartimento di Psicologia – evidenzia due cause principali per gli incidenti che coinvolgono i ciclisti: i comportamenti di chi si muove in strada e le caratteristiche delle infrastrutture stradali.
Un problema importante è quello della precedenza, che spesso non viene data correttamente; spesso però la causa è la mancata percezione della presenza di una bici in strada. Ci sono i “blind spot”, angoli ciechi nel campo visivo dell’automobilista che impediscono di inquadrare per tempo gli utenti deboli della strada, ma le collisioni si verificano anche quando il ciclista è ben visibile: un fenomeno noto come “looked but failed to see”, guardare senza riuscire a vedere. Spiega il ricercatore Unibo Gabriele Prati che il nostro cervello focalizza l’attenzione sugli stimoli attesi come possibili macchine in arrivo, ma ne tralascia altri meno attesi. “Così non si riescono a percepire alcuni elementi rilevanti per la propria e altrui sicurezza, ad esempio un utente vulnerabile della strada che sta sopraggiungendo”.
Ecco perché quando le bici sono invece molto presenti gli incidenti calano (‘safety in numbers’): all’aumentare del numero dei ciclisti, aumenta la sicurezza dei ciclisti stessi. I conducenti di automobili diventano più consapevoli della presenza dei ciclisti e migliorano la loro capacità di anticiparne la presenza nel traffico.
Per quel che riguarda le infrastrutture, i risultati sono in parte controintuitivi. Se da un lato, infatti, la presenza di piste ciclabili separate dal traffico motorizzato gioca un ruolo importante per la sicurezza dei ciclisti, dall’altro le corsie riservate ai ciclisti possono rivelarsi particolarmente pericolose in prossimità degli incroci. Quando le due ruote restano a lungo fuori dal campo visivo (perché c’è una separazione tra traffico motorizzato e traffico ciclabile) chi è in macchina si trova meno preparato a reagire alla loro presenza improvvisa.
“Per questo motivo – conclude Gabriele Prati – la raccomandazione è quella di un mix fra infrastrutture per i ciclisti, separate dal traffico motorizzato, e strade a velocità ridotta (come ad esempio le ‘Zone 30’), dove due e quattro ruote condividono la carreggiata”.