Gli olandesi non saranno simpatici, ma sono un popolo pragmatico che attrae gli utili delle case automobilistiche e lascia a noi i debiti per comprare le auto che poi intaseranno le nostre città. Per loro invece scelgono modelli di mobilità sostenibile ed attiva, ottenendo cittadini meno indebitati e più sani, vivibilità e commercio locale sempre vivo. Chiamateli stupidi.
Questo processo di demotorizzazione iniziato negli anni 70, è stato supportato anche da strategie comunicative come quella di avere due termini per distinguere i “fietser” (letteralmente “la persona in bicicletta” – cioè il cittadino che sceglie di muoversi quotidianamente in bicicletta per utilità), dal ciclista sportivo (“wielrenner”).
In Italia invece quando di parla di fare investimenti per i “ciclisti”, vengono subito in mente i grupponi a 40 all’ora della domenica che si infilano tutine aderenti in lycra ed inforcano costose bici in carbonio, ed allora via con la trafila dei soldi buttati per chi occupa spazio stradale a chi deve lavorare.
Bisognerebbe iniziare da qui, spiegando che ogni soldo speso, ogni metro di strada dedicato alla ciclabilità, è una risorsa dedicata allo studente, al pensionato da Piazza Grande, la badante con le sporte, il notaio del centro o l’operaio della Maserati. Cioè potenzialmente ognuno di noi.
Allora apparirà più sensato spendere maggiori quote delle nostre tasse a risolvere i problemi dei “fietser”, piuttosto di chi pretende di spostare 20 quintali ed occupare 20mq per fare spesso meno di 2 km.