Dai laboratori partecipati una richiesta chiara di mobilità

Un’ ampia partecipazione ha contraddistinto i laboratori “Sei la mia città”, un percorso che l’Amministrazione modenese ha avviato per raccogliere contributi per migliorare la qualità delle aree urbane pubbliche.

È stato molto istruttivo ascoltare i bisogni dei singoli cittadini: tante proposte per il verde, dotazioni sportive all’aperto, nuovi spazi di aggregazione, strade scolastiche e tutto incardinato in una sistematica richiesta di collegare le funzioni pubbliche della città con una infrastruttura moderna di mobilità pedonale e ciclabile, finalmente alla portata delle esigenze dei cittadini di tutte le fasce di età, condizione fisica e sociale.

Per FIAB, che da sempre ha posto il tema della scarsa qualità degli spazi per chi si muove senza motore, è rincuorante sapere che esiste una ampia fascia di cittadini che avverte la necessità di un cambio di destinazione d’uso dello spazio stradale. Perché a sentire solo le lamentele sui giornali o sui social, sembra sempre che marciapiedi e ciclabili siano una spesa inutile o peggio dannosa per la fluidità della mobilità automobilistica.

Queste consultazioni segnalano che già da tempo c’è una prateria di bisogni urbani di almeno due generazioni di cittadini insoddisfatti. Cittadini che vogliono una città diversa, che non si trasformi in un semplice “omile”, termine con il quale Danilo Dolci indicava la degenerazione della città che si verifica quando le persone non stanno davvero insieme ma semplicemente si ammassano in un uno stesso luogo, e si perde lo spazio pubblico, la democrazia, la gentilezza, la civiltà, la bellezza, la forza dei legami interpersonali.

A questo scopo, riequilibrare gli spazi e le modalità di spostamento non è sufficiente, ma è una svolta necessaria che passa dal coinvolgimento delle persone sulle scelte in attuazione di piani come il PUMS ed il PUG, nonché del programma di governo che ha vinto ampiamente le recenti elezioni: per questo ci aspettiamo coerenza, urgenza e soprattutto investimenti e progettualità adeguate ai bisogni espressi.

Purtroppo, anche l’ultima finanziaria prevede una serie di tagli al capitolo «mobilità sostenibile e sicurezza stradale», tra i quali spiccano 47 milioni in meno per le ciclabili urbane: in questo quadro bisognerà fare delle scelte su dove indirizzare le risorse disponibili per la mobilità, e non c’è dubbio che in queste giornate i modenesi abbiano chiesto un’azione urgente e decisa in favore di ciclabili e marciapiedi.

Ancora numeri in calo per i ciclisti a Modena

Lo scorso 24 settembre i volontari di FIAB Modena hanno rilevato 3127 cittadini transitare in bicicletta in 14 punti nevralgici della viabilità cittadina. La rilevazione avviene da oltre un decennio sempre negli stessi punti, nella stessa ora (7.30-8.45) del terzo martedì di settembre per avere una serie di dati confrontabili.

I nostri numeri ci raccontano che rispetto a settembre 2023 abbiamo avuto un calo complessivo di oltre 400 passaggi (-12,4%), simile a quello già registrato tra il 2022 e 2023, un trend che ci porta a rilevare meno passaggi anche del biennio Covid e che sembra certificare una sensibile disaffezione a questo mezzo di spostamento.

E se negli anni precedenti al Covid eravamo in una fase di crescita che ha portato al massimo di 4270 transiti nel 2019, il risultato odierno è il peggiore degli ultimi 8 anni ed inferiore del 15,6% anche rispetto al lontano 2017. Questi numeri sono tanto più preoccupanti dopo quasi cinque anni di vigenza del PUMS, nel quale sono previste una serie di misure per incrementare l’uso della bicicletta da un iniziale 12% fino ad arrivare ad un 20% a fine piano nel 2030.

Purtroppo, non si può dire che in questi anni sia cambiato molto nelle abitudini dei modenesi, visto che le percentuali di spostamento con auto privata rimangono sostanzialmente invariate intorno al 70%. Secondo FIAB è il segnale che le politiche attuate per la mobilità ciclistica non sono ancora incisive e convincenti: d’altronde il tema della qualità e delle manutenzioni degli spazi dedicati alla pedonalità e ciclabilità, è stato tra i punti più critici emersi anche nei recenti incontri del percorso partecipativo “Sei la mia città”.

FIAB continuerà a ripetere il rilevamento semestrale con le sue possibilità, ma attende di avere dati più organici dalla preannunciata introduzione di più moderne e sistematiche tecnologie di conteggio, strumenti che non debbono mancare in una moderna smart-city che intende raggiungere entro il 2030 gli obiettivi che ha stabilito con il Piano della Mobilità Sostenibile.

Infatti, più che i metri di piste ciclabili realizzate, l’unico modo di valutare se il piano stia funzionando è quello di capire se sono aumentati i cittadini che si sono convinti a cambiare abitudini grazie all’efficacia delle azioni e delle politiche messe in atto.

Avere questi numeri è importante per confermare la bontà delle scelte fatte o, al contrario, indurre a riflessioni per apportare le necessarie correzioni. Per questo, in una annunciata volontà politica di maggior partecipazione delle persone alle scelte urbanistiche, FIAB auspica anche una più aperta condivisione e pubblica consultazione dei dati a disposizione dell’Amministrazione.

Corsie ciclabili di Via Panni. Polemiche ed alternative.

La recente realizzazione di due corsie ciclabili in via Panni ha sollevato diverse opinioni contrarie riportate dalla stampa locale.

Come FIAB ricorda sempre, queste corsie sono destinate prioritariamente alla circolazione delle biciclette ma, se non sono impegnate da ciclisti, possono essere utilizzate da altri veicoli. Sono di fatto la rappresentazione visiva di quanto viene stabilito fin dal 1992 dal Codice della Strada: i veicoli privi di motore devono stare “il più vicino possibile al margine destro della strada” e “il conducente di un autoveicolo che effettui il sorpasso di un velocipede è tenuto ad usare particolari cautele al fine di assicurare una maggiore distanza laterale di sicurezza (..).

Le corsie monodirezionali in carreggiata sono ampiamente utilizzate in ambito residenziale in tutta Europa e chi si oppone a prescindere a questa soluzione dovrebbe indicare delle alternative ragionevoli, purché vengano mantenute le caratteristiche di strada di interquartiere che deve connettere numerosi servizi e poli di attrazione come parchi, polisportive e scuole che devono poter essere raggiunti anche in bicicletta nel modo più diretto, confortevole e sicuro.

Durante un sopralluogo abbiamo potuto verificare le dimensioni della strada e dei marciapiedi esistenti che non consentono né piste ciclabili separate sulla carreggiata, né ciclopedonali sui marciapiedi. FIAB ritiene quindi che la soluzione scelta sia adeguata al contesto, vista anche la concomitante realizzazione di dossi rallentatori con l’istituzione di tratti a 30km/h.

Abbiamo tuttavia alcune osservazioni da avanzare al Comune. La prima riguarda l’imbocco della corsia sulla pista del sottopasso in direzione di via Rosselli, che per dare la priorità all’innesto di via Beato Angelico e a un accesso privato, ha sacrificato la linearità del percorso. È sufficiente un sopralluogo per verificare l’inadeguatezza della soluzione adottata che induce i pedoni e i ciclisti ad uscire dalla pista.

La seconda riguarda l’abituale assenza di una adeguata comunicazione ai cittadini per spiegare e motivare queste trasformazioni della viabilità. È quanto è avvenuto anche nel 2020 quando sono stati realizzati in città altri tre tratti di corsie senza il supporto di una solida campagna informativa che spiegasse a tutti, ciclisti e no, l’uso corretto di questi nuovi strumenti e senza prevedere una efficace attività di controllo.

Il fatto stesso che l’inaugurazione del sottopasso abbia anticipato la realizzazione delle corsie ciclabili, induce a pensare ad una mancanza di sostegno convinto di queste iniziative, e ad una timidezza verso le modifiche allo spazio pubblico che salvaguardino prioritariamente gli utenti della strada più vulnerabili. Su queste scelte bisogna essere innanzitutto convinti per essere convincenti.

FIAB ritiene necessaria l’infrastrutturazione di ciclabili in sede separata sulle dorsali ove le condizioni del traffico lo richiedano, ma altrettanto un cambio di paradigma che negli ambiti residenziali preveda un rallentamento della velocità ed una condivisione dello spazio consapevole e rispettosa da parte di tutte le utenze, a partire da quelle che ne occupano di più.

I punti deboli delle reti ciclabili

Quando viene chiesto a Fiab Modena un parere sulla situazione della ciclabilità modenese, nel rispondere partiamo sempre da due constatazioni: non manca la realizzazione dei chilometri ciclabili, eppure tra i cittadini che pedalano è diffusa l’insoddisfazione. Un giudizio probabilmente ancora più pesante da parte di tutte quelle persone che nemmeno ci provano, a pedalare, neanche per gli spostamenti di prossimità, tanto che in città circa il 70% dei tragitti avviene in auto, ed il 45% dei tragitti in auto sono inferiori a 2,5 km.

Eppure, in una piccola città di pianura dovrebbe essere naturale muoversi in bici per una fascia ben più ampia di residenti: perché allora tutta questa diffidenza?

Le cause sono molteplici e hanno a che vedere sia con condizioni infrastrutturali che culturali, ma secondo noi il maggior ostacolo è la paura di avere un grave incidente con un automobilista.

Nei paesi che nei decenni scorsi avevano gli stessi nostri problemi di oggi, i pianificatori della mobilità hanno capito che la sicurezza percepita di un tragitto viene stabilita dai cittadini in base al punto più debole di tutto il percorso: in sostanza puoi percorrere anche 5km di ciclabili protette, ma poi se vieni lasciato in balia del traffico anche soltanto in un incrocio, allora la sensazione di sicurezza di tutto il tragitto si abbassa notevolmente.

Facciamo un esempio nostrano: alla fine della ciclabile protetta di Viale Montecuccoli, il ciclista si ritrova senza indicazioni all’interno della rotonda con Viale Monte Kosica, una delle più congestionate di tutto il centro urbano. Quale mamma si sentirebbe tranquilla a lasciare andare a scuola un adolescente dovendo passare in quel tratto? Purtroppo, in Italia la sistemazione dei punti deboli, quelli critici in cui la soluzione di sicurezza passa necessariamente da una redistribuzione degli spazi stradali, viene spesso procrastinata per gli elevati costi o perché ha risvolti rilevanti sulla circolazione automobilistica.

È un circolo vizioso: se non si affrontano questi snodi puoi avere anche una estensione di chilometri ciclabili importante come quella modenese (ai primi posti tra le città italiane) ma è una situazione che funziona solo per chi ha già una certa solidità di ciclismo urbano, e che quindi non configura una vera e propria rete attraente per il cittadino che vorrebbe provare a cambiare abitudini.

Città30, la città che si cura degli altri.

Venerdì 8 dicembre il limite di velocità sulla maggior parte delle strade di Amsterdam diventerà a 30 km/h e le autorità stanno adeguando la segnaletica con 4.400 segnali.

Nel comunicato l’amministrazione afferma che “naturalmente ci vuole un po’ di tempo per abituarsi, soprattutto per chi guida ogni giorno. Ma nella nostra città ci piace tener conto l’uno dell’altro. Guidando un po’ più lentamente contribuisci a garantire che tutti possano muoversi in sicurezza e senza preoccupazioni nella nostra città. Ad una velocità di 30 km/h ci aspettiamo dal 20 al 30% in meno di incidenti gravi, perché la probabilità che un pedone sopravviva a un incidente è del 95%. Inoltre, il rumore del traffico sarà dimezzato e la città diventa più tranquilla e stare in fuori strada sarà più piacevole”.

Non ci sarebbe poi bisogno di tante altre spiegazioni di perché una “città 30” è una giusta prospettiva da perseguire. Un luogo in cui ogni cittadino ha cura dell’altro, si prende la responsabilità della sicurezza di chi incrocia, e perdendo solo un po’ di tempo di viaggio garantisce che le persone possano stare in sicurezza in strada, o che sia possibile gustarsi un aperitivo senza il rumore assordante a coprire la voce.

Voi penserete che per le città del nord sia facile questo passaggio, in fondo hanno una lunga tradizione di strade tranquille come nei woonerf, i quartieri in cui i pedoni hanno sempre la precedenza, le auto devono procedere a passo d’uomo e i bambini possono giocare per strada.

Eppure questa tradizione non è poi così lunga, e ce lo ricorda Jan Gehl, uno dei più influenti architetti danesi, uno dei massimi ispiratori di queste trasformazioni: “a fine anni ‘60 in tutta Europa le vecchie città venivano modernizzate con grattacieli, strade larghe, immensi parcheggi e la vita cittadina scacciata dalle strade e dalle piazze. Per reagire a questo modo di procedere sono venuto in Italia, a Lucca, Siena, Ascoli, per studiare un approccio umano nei confronti della città. È naturale che sia così dal momento che nessun altro paese al mondo potrebbe offrire una tale ricchezza di spazi urbani e una cultura più profonda dell’uso delle strade e delle piazze”.

Insomma, in 60 anni ci siamo scambiati le consuetudini. Al nord Europa hanno imparato a vivere alla mediterranea e noi invece abbiamo perseverato nel trasformare secolari luoghi di vita in corsie di transito veloce per auto. Allora in fondo, a ben vedere, la “città 30” è solo un primo passo per riprendere le nostre tradizioni e tornare a prenderci cura degli altri.

Pedalando per la città 30: manifestazione per “M’illumino di meno”

In occasione dell’evento nazionale “M’illumino di meno” che ha da sempre al centro la promozione di stili di vita sostenibili, FIAB Modena insieme alle associazioni in rete per l’inclusione e l’ambiente ARIA, organizzano una pedalata il 16 Febbraio dalle ore 18.30. Pedalando dalla Ciclofficina “Rimessa in Movimento” presso il Novi Sad, per chiedere una “Città 30” subito e per sensibilizzare sul problema dell’insicurezza stradale, transiteremo sul cavalcavia Mazzoni per raggiungere la Sacca, quartiere che sconta uno storico isolamento dal resto della città dovuto alla ferrovia.

Torniamo quindi a proporre una soluzione a basso costo, che risolva da subito il problema: riservare il ponte Mazzoni (almeno una corsia) a trasporto pubblico, pedoni e biciclette, chiudendolo alle automobili private. Si realizzerebbe così un collegamento diretto e sicuro, che in poche centinaia di metri collegherebbe la nuova zona riqualificata del Canaletto a Piazza Roma.

A Modena serve una visione di insieme: non bastano interventi puntuali e scollegati, non bastano “zone 30” sporadiche, occorre trasformare l’intera città in “città 30” e farlo in tempi rapidi. Dopo Olbia e Cesena, anche Bergamo, Torino, Bologna e solo ultima Milano, stanno avviando percorsi per diventare Città 30, nella consapevolezza che occorre trovare risorse per pianificare interventi soprattutto strutturali e non solo di segnaletica, oltre che monitorare i risultati.

Moderare la velocità come previsto dalle Città 30 non rappresenta un limite alla libera e celere circolazione di persone e merci, in quanto attualmente la velocità media all’interno di Modena è di circa 29 km/h (dati PUMS MO). L’automobile privata non è il mezzo più veloce e affidabile nei centri urbani: solo con l’intermodalità tra i vari mezzi di trasporto, quali trasporto pubblico urbano, sharing e mobilità attiva, si potrà ottenere una riduzione del tasso di motorizzazione con relativa diminuzione del traffico, della difficoltà negli spostamenti e degli agenti inquinanti, i cui livelli sono spesso oggetto di procedure di infrazione da parte della UE.

Modena ha numeri di incidentalità ed inquinamento tra i più alti in Italia: Città30 è una soluzione già attuabile, che non necessita di tecnologie ancora da sviluppare.

La violenza stradale è un enorme problema di convivenza civile perché le città auto-centriche sono luoghi in cui vale la legge del più forte, mentre noi pensiamo che si debba tornare a condividere pacificamente gli spazi pubblici. Vi aspettiamo giovedì!

Mobilità provinciale: improvvisazioni sul tema

Settimane sconfortanti per la mobilità nella nostra provincia.

Da giugno Gigetto sarà sospeso per un anno tra Formigine e Sassuolo per la costruzione del sovrappasso sulla pedemontana: sarà sostituito da autobus ma è stato confermato che non ci sarà la possibilità di portarsi dietro la bici (come si poteva fare in ferrovia). Un servizio più lento, con cambi di mezzo e con buona pace dell’ intermodalità, che facilmente indurrà parte dei passeggeri a passare all’auto privata. I disagi sono inevitabili, perché non rendere gratuito l’abbonamento nel periodo dei lavori?

A Nonantola è prevista la chiusura per qualche settimana del sottopasso scatolare della SP255 su via Maestra di Bagazzano (strada secondaria che la mattina è intasata di traffico perché viene usata dagli automobilisti come bypass della Nonantolana), e allo stesso tempo ANAS ha annunciato lavori sul Ponte di Sant’Ambrogio che sembravano prospettarne la chiusura per 6 mesi dal 1 luglio, con un conseguente, devastante aggravamento di traffico su Vignolese e Nonantolana.

Pare ora che il ponte non chiuderà: almeno non tutto, almeno non subito, ma lascia sgomenti la mancanza di coordinamento, di qualsiasi analisi sugli impatti sul traffico e di pianificazione di soluzioni alternative. FIAB ha invitato le parti in causa a considerare seriamente l’opzione di un ponte Bailey che nell’immediato permetterebbe di non interrompere il transito, e un domani diventerebbe il tassello mancante della pista ciclabile Castelfranco-Modena lungo la via Emilia. Al contempo si potrebbe dare un incentivo forte all’utilizzo del treno, con abbonamenti gratuiti sulla tratta, per alleggerire il traffico automobilistico (al momento un abbonamento mensile costa 39 euro, 5 euro invece per una corsa andata-ritorno per un adulto). Finora nessun riscontro ufficiale.

Improvvisazione? “Altre priorità” che rendono la mobilità un tema di “serie b”? E non diteci che non ci sono soldi. In Germania per contrastare il caro-carburanti e l’inquinamento è stato inaugurato un abbonamento mensile che copre tutto il trasporto pubblico locale su tutto il territorio nazionale a 9 euro, per i 3 mesi d’estate: treni locali, bus, tram, traghetti, metro. Meno di due viaggi andata ritorno Modena-Castelfranco o Modena-Carpi: qui da noi sembra fantascienza. Investimento del governo tedesco: 2 miliardi di euro. Gli stessi 2 miliardi di euro di “ecobonus” che il nostro governo ha destinato a finanziare l’acquisto di automobili. I soldi ci sono, ma vengono spesi malissimo. Qui è la visione che manca.

Via Vignolese: o bici o auto? 

Dopo il secondo incidente grave in poche settimane, un lettore ha scritto ad un giornale locale: “in via Vignolese c’è un grosso problema di convivenza con le due ruote. Questa strada non ha ciclabili, quindi i casi sono due: o si creano le ciclabili o si vietano le bici.”

Analisi perfetta, ma è stata esclusa una soluzione: si tolgono le auto. È una provocazione, anche se in tanti paesi europei sarebbe presa in seria considerazione.

Per prevenire molti incidenti basterebbe circolare più piano, non sorpassare i ciclisti così vicino da colpirli con il retrovisore, o non parcheggiare un furgoncino a mezza carreggiata, ma è vero che in quella strada la convivenza è problematica.

Come diverse arterie storiche che dal centro portano in periferia, anche via Vignolese è diventata nel tempo una strada densamente abitata e con un diffuso commercio locale, il che mal si concilia con la funzione di strada di scorrimento che ha assunto nella seconda metà del ‘900. Viste le dimensioni che in diversi punti non permettono la costruzione di ciclabili separate e marciapiedi a norma, sarebbe ora di prendere atto che gli attuali flussi di traffico degradano e rendono invivibili tali direttrici ormai diventate strade di quartiere: bisogna restituire loro una conformazione che senza vietare il traffico automobilistico lo renda secondario rispetto a pedonalità e ciclabilità.

Si possono usare metodi consolidati (restringimenti, riordino delle soste, sensi unici) o sperimentare le strade urbane a priorità ciclabile E-bis introdotte nel Codice della Strada nel 2020. Così si renderebbe la convivenza non solo possibile, ma vantaggiosa per tutti i cittadini.

 

Corsie ciclabili: uno strumento innovativo spiegato poco e male

Come era prevedibile, l’introduzione di tre corsie ciclabili in città è diventata la causa di tutti i mali della mobilità modenese. Ovviamente non è così.

Il Codice della strada da due indicazioni ai ciclisti e agli automobilisti:
•  i veicoli sprovvisti di motore devono stare “il più vicino possibile al margine destro della strada”
• “il conducente di un autoveicolo che effettui il sorpasso di un velocipede è tenuto ad usare particolari cautele al fine di assicurare una maggiore distanza laterale di sicurezza, in considerazione della minore stabilità e della probabilità di ondeggiamenti e deviazioni da parte del velocipede stesso”.

Per facilitare questi ragionevoli comportamenti, le recenti modifiche al Codice hanno introdotto le “corsie ciclabili”, da realizzare con semplici linee tratteggiate, con la finalità di segnalare lo spazio per i ciclisti e indurre gli automobilisti ad usare nel sorpasso le cautele necessarie ad assicurare “una maggiore distanza laterale di sicurezza”.

Alla FIAB, appare pertanto del tutto fuori luogo parlare di provvedimenti temporanei o di emergenza e meno ancora di “ciclabilità spinta” o addirittura di “sindrome da ciclabile”. La vera emergenza a Modena è il livello della mobilità automobilistica privata, non sicuramente quella della presenza di spazi ciclabili. Rimane purtroppo sullo sfondo l’evidente disinteresse politico per il benessere ambientale dei modenesi, che subiscono quotidianamente il traffico parassitario di attraversamento della città, essendo ancora più conveniente passare per i viali o per il cavalcavia Mazzoni che praticare soluzioni più esterne.

A Modena, nonostante le insistenti richieste della FIAB, le corsie ciclabili sono state realizzate senza una preventiva comunicazione ai cittadini e senza azioni di accompagnamento e di controllo da parte della Polizia Locale. Si sono così diffuse perplessità derivanti dalla cattiva informazione e hanno avuto gioco facile pretestuose critiche di chi considera i pedoni e i ciclisti “utenti incongrui” della strada e gli automobilisti che si devono “immolare” sulla carreggiata opposta.

Vi sono stati anche alcune sottovalutazioni nella progettazione, perlopiù derivanti dalla mancata riorganizzazione della sosta e degli incroci.

È il caso di via Emilia Ovest, dove è stata realizzata una corsia ciclabile verso la Madonnina per regolarizzare la storica pista ciclabile che, da Codice, poteva essere percorsa solo in direzione centro. In alternativa poteva essere adeguata la ciclabile bidirezionale da un solo lato della strada alle dimensioni minime di legge 2,5mt + 0,50 di cordolo: ma sempre 3 metri di carreggiata erano necessari.

In via Tagliazucchi, dove da anni la FIAB registra centinaia di studenti e lavoratori in bici che la percorrono nelle ore di punta, le nuove corsie hanno delimitato lo spazio alla destra da sempre usato dai ciclisti ed hanno riaffermato la loro precedenza: in quel breve tratto di strada le auto devono accodarsi ed attendere di avere spazio per il sorpasso. Da codice era così anche prima, a meno che i sorpassi non fossero effettuati contravvenendo alla norma.

E’ molto simile anche il tratto più stretto di via Morane, quello tra Via Sigonio e il passaggio a livello, dove si è persa l’occasione per ridisegnare complessivamente gli spazi assegnati ai pedoni e ai ciclisti e rendere maggiormente vivibile e sicura questa arteria che ha visto, già diversi incidenti mortali, di pedoni e i ciclisti.

In alternativa, il nuovo Codice prevede sempre la possibilità di realizzare una strada urbana ad unica carreggiata a 30Km/h con priorità ciclabile.

Le situazioni sono come al solito complesse e toccano esigenze contrastanti: ma è dovere degli amministratori coinvolgere preventivamente tutti gli attori, motivare apertamente le scelte, accompagnarle con la comunicazione, avendo il coraggio anche di correggere eventuali errori.

La FIAB, come al solito, è a disposizione di tutta la comunità per dare il proprio costruttivo contributo, per passare da quella che è una città a misura di auto ad una a misura di persone.

Attraverso la ferrovia

Una decina di giorni fa un automobilista ha investito e ucciso un uomo che pedalava sul cavalcavia Cialdini; se l’è cavata invece il ciclista investito a maggio sul cavalcavia Mazzoni. Perchè ci si ostina a pedalare su questi cavalcavia se sono tanto pericolosi?

La linea della ferrovia divide Modena in due: per oltrepassarla, ci sono il sottopasso del cimitero di San Cataldo, il cavalcavia Cialdini, il cavalcavia Mazzoni e il cavalcavia di viale Ciro Menotti, ma solo il primo e l’ultimo danno a chi pedala la possibilità di attraversarli in sicurezza con percorsi protetti: quindi per quasi 3 km non esistono connessioni ciclabili adeguate e sicure attraverso la ferrovia tra Modena Nord e Modena Sud.

Le soluzioni ci sarebbero. Il cavalcavia Cialdini ospita ben 4 ampie corsie, quasi un’autostrada, e così invita gli automobilisti a velocità “autostradali” e manovre azzardate di attraversamento delle corsie per risparmiare qualche minuto. Il posto per una ciclabile ci sarebbe, di gran lunga preferibile al sottopasso esistente che per le bici è inadeguato.

Per il cavalcavia Mazzoni, creare un sottopasso sarebbe complesso per via della rete di canali, e l’ancoraggio di una ciclabile a sbalzo non è possibile data la struttura storica. Però la stragrande maggioranza delle auto che scendono in piazza Natale Bruni vanno verso viale Crispi o viale Caduti in Guerra; in pratica viene usato al posto di quelli di Via Cialdini e di Ciro Menotti. Se fosse riservato a mezzi pubblici, pedoni e ciclisti, alleggerirebbe il traffico e l’inquinamento del centro densamente abitato: soluzione efficace ed economica che metterebbe al centro le persone.