Il cielo non ci aiuta

Bicicletta incidentata

Bicicletta incidentata

Purtroppo non passa settimana senza che qualche ciclista venga investito con gravi conseguenze e subito si sviluppa sulla stampa e nei social network il solito e sterile dibattito sulle cause e sulle colpe dell’accaduto.
Come in molti dibattiti televisivi, alcuni si schierano per i ciclisti, visti come vittime sacrificali del traffico, altri invocano un maggiore rigore nel punire i loro comportamenti troppo disinvolti e irrispettosi del Codice della Strada. Poi tutto rimane come prima.
È un dibattito che da sempre si sviluppa sul tema degli incidenti stradali, che vede le case automobilistiche costruire e vendere auto sempre più veloci e finanziare contemporaneamente corsi di educazione stradale, per spostare l’attenzione e la responsabilità degli incidenti dalle caratteristiche dei mezzi e dalla gestione del traffico, ai comportamenti dei singoli guidatori.
È ciò che accade per gli incidenti sul lavoro, quando si afferma che la causa prima degli infortuni è l’eccesiva sicurezza dei comportamenti dei lavoratori.  Invece numerosi studi internazionali hanno dimostrato che la causa principale degli incidenti stradali è l’eccessiva velocità dei mezzi, come del resto è stato dimostrato, anche nel nostro paese, con i risultati ottenuti dall’introduzione degli autovelox, dei tutor e della patente a punti.
Il controllo e la repressione degli eccessi di velocità hanno infatti prodotto subito un calo dei morti e feriti su tutte le nostre strade. L’obbligo del casco per i motociclisti ha fatto il resto.
L’ abbassamento delle velocità in ambito urbano si ottiene con la costruzione di strade “improntate alla sicurezza della circolazione di tutti gli utenti della strada, alla riduzione dell’inquinamento acustico ed atmosferico per la salvaguardia degli occupanti gli edifici adiacenti le strade ed al rispetto dell’ambiente e di immobili di notevole pregio architettonico o storico.” (art. 13 del Regolamento di attuazione del Codice della Strada).
Se si vogliono meno morti e feriti nelle aree urbane le principali aree di intervento sono:

  • costruire infrastrutture e spazi pubblici improntati alla condivisione e alla riduzione delle velocità dei veicoli,
  • una gestione del traffico che privilegi i veicoli lenti, i pedoni ed i mezzi pubblici,
  • il controllo e la repressione degli eccessi di velocità.

Il 19 settembre, con i nostri soci, abbiamo effettuato il periodico rilevamento dei flussi di biciclette nei 14 punti principali di accesso al centro urbano. Anche in questa occasione abbiamo visto ciclisti che tentano di districarsi tra semafori a chiamata, transenne, fine di pista ciclabile, assenza di attraversamenti ciclabili, semafori che spezzano in tre tempi un centinaio di metri di pista. E purtroppo abbiamo visto comportamenti troppo disinvolti di alcuni ciclisti che vanno contrastati. Ma in mezzo agli incroci puzzolenti abbiamo anche visto un automobilista su dieci al cellulare, parcheggi sulle piste, accelerazioni e velocità da autodromo.
Il giorno prima, al pomeriggio, avevamo anche visto dei vigili in bicicletta fermare i ciclisti che attraversavano viale Italia all’incrocio con la via Emilia, per farli attraversare a piedi, visto che manca l’attraversamento ciclabile a norma di Codice. Una lezione sul campo di educazione stradale ai ciclisti mentre, davanti a tutti, sfrecciavano auto e furgoni ai settanta all’ora. Un assessore aveva promesso l’intero centro urbano ai 30 Km/h, ma evidentemente le priorità nei fatti sono altre.

Se l’auto diventa “presunta colpevole” negli incidenti stradali

Nel Regno Unito ferve il dibattito sulle politiche per la riduzione dell’inquinamento da traffico: modifiche del Codice della strada e iniziative sperimentali municipali stanno ribaltando lo strapotere degli autoveicoli a favore dei mezzi ecologici.

Novità interessanti nel dibattito politico del Regno Unito: il deputato liberaldemocratico Julian Huppert ha dichiarato di voler promuovere in Parlamento una legge che renda l’automobilista responsabile in caso d’incidente con un ciclista, a meno che non sia in grado di provare il contrario. Lo stesso varrà per i ciclisti nei confronti dei pedoni. In tal modo, l’utente della strada considerato più “debole” avrà condizioni di difesa più favorevoli.

L’iniziativa legislativa di Huppert segnala un trend d’interesse crescente delle autorità pubbliche verso la mobilità ecologica, indicata dagli osservatori come una risorsa strategica decisiva per il contenimento dell’inquinamento da traffico che assedia le città di tutto il mondo.

Lo strapotere delle auto nelle strade cittadine ha infatti finito col relegare ciclisti, pedoni e trasporto pubblico ai margini della mobilità urbana: a Modena, il 79% degli spostamenti avviene con l’uso dell’automobile (tre quarti di essi sono inferiori ai tre chilometri). Inoltre, ciclisti e pedoni pagano un pesante tributo di vite umane e di danni materiali a questo modello autocentrico: in Italia, ogni anno si registrano circa 800 morti, con migliaia di feriti.

Questa situazione, insieme a una cultura obsoleta che eleva l’auto a status symbol, provoca una sensibile “intimidazione” psicologica dei ciclisti-pedoni, impauriti dai pericoli quotidiani derivanti dalla presenza aggressiva delle automobili negli stessi spazi pubblici. Ne consegue che gli spostamenti in bici e a piedi (a Modena il 15% circa) sono assai inferiori a quanto potrebbero, considerando che la città estense dispone di un potenziale di oltre 200mila biciclette.

L’iniziativa inglese non è isolata: in Francia, Germania, Paesi scandinavi, Olanda gli stati e le città sperimentano modifiche del Codice stradale e politiche municipali finalizzate a promuovere un riequilibrio fra autoveicoli e mezzi ecologici, unico modo per migliorare la qualità urbana.