Psicologia del traffico e ostacoli all’uso della bicicletta

Qualche anno fa un gruppo di psicologi sociali dell’Università di Bologna ha analizzato e catalogato decine di studi dedicati alle collisioni tra veicoli motorizzati e biciclette in una rassegna sistematica della letteratura scientifica.

L’analisi del gruppo di ricerca Unibo – coordinato dal Dipartimento di Psicologia – evidenzia due cause principali per gli incidenti che coinvolgono i ciclisti: i comportamenti di chi si muove in strada e le caratteristiche delle infrastrutture stradali.

Un problema importante è quello della precedenza, che spesso non viene data correttamente; spesso però la causa è la mancata percezione della presenza di una bici in strada. Ci sono i “blind spot”, angoli ciechi nel campo visivo dell’automobilista che impediscono di inquadrare per tempo gli utenti deboli della strada, ma le collisioni si verificano anche quando il ciclista è ben visibile: un fenomeno noto come “looked but failed to see”, guardare senza riuscire a vedere. Spiega il ricercatore Unibo Gabriele Prati che il nostro cervello focalizza l’attenzione sugli stimoli attesi come possibili macchine in arrivo, ma ne tralascia altri meno attesi. “Così non si riescono a percepire alcuni elementi rilevanti per la propria e altrui sicurezza, ad esempio un utente vulnerabile della strada che sta sopraggiungendo”.

Ecco perché quando le bici sono invece molto presenti gli incidenti calano (‘safety in numbers’): all’aumentare del numero dei ciclisti, aumenta la sicurezza dei ciclisti stessi. I conducenti di automobili diventano più consapevoli della presenza dei ciclisti e migliorano la loro capacità di anticiparne la presenza nel traffico.

Per quel che riguarda le infrastrutture, i risultati sono in parte controintuitivi. Se da un lato, infatti, la presenza di piste ciclabili separate dal traffico motorizzato gioca un ruolo importante per la sicurezza dei ciclisti, dall’altro le corsie riservate ai ciclisti possono rivelarsi particolarmente pericolose in prossimità degli incroci. Quando le due ruote restano a lungo fuori dal campo visivo (perché c’è una separazione tra traffico motorizzato e traffico ciclabile) chi è in macchina si trova meno preparato a reagire alla loro presenza improvvisa.

“Per questo motivo – conclude Gabriele Prati – la raccomandazione è quella di un mix fra infrastrutture per i ciclisti, separate dal traffico motorizzato, e strade a velocità ridotta (come ad esempio le ‘Zone 30’), dove due e quattro ruote condividono la carreggiata”.

Corsie ciclabili di Via Panni. Polemiche ed alternative.

La recente realizzazione di due corsie ciclabili in via Panni ha sollevato diverse opinioni contrarie riportate dalla stampa locale.

Come FIAB ricorda sempre, queste corsie sono destinate prioritariamente alla circolazione delle biciclette ma, se non sono impegnate da ciclisti, possono essere utilizzate da altri veicoli. Sono di fatto la rappresentazione visiva di quanto viene stabilito fin dal 1992 dal Codice della Strada: i veicoli privi di motore devono stare “il più vicino possibile al margine destro della strada” e “il conducente di un autoveicolo che effettui il sorpasso di un velocipede è tenuto ad usare particolari cautele al fine di assicurare una maggiore distanza laterale di sicurezza (..).

Le corsie monodirezionali in carreggiata sono ampiamente utilizzate in ambito residenziale in tutta Europa e chi si oppone a prescindere a questa soluzione dovrebbe indicare delle alternative ragionevoli, purché vengano mantenute le caratteristiche di strada di interquartiere che deve connettere numerosi servizi e poli di attrazione come parchi, polisportive e scuole che devono poter essere raggiunti anche in bicicletta nel modo più diretto, confortevole e sicuro.

Durante un sopralluogo abbiamo potuto verificare le dimensioni della strada e dei marciapiedi esistenti che non consentono né piste ciclabili separate sulla carreggiata, né ciclopedonali sui marciapiedi. FIAB ritiene quindi che la soluzione scelta sia adeguata al contesto, vista anche la concomitante realizzazione di dossi rallentatori con l’istituzione di tratti a 30km/h.

Abbiamo tuttavia alcune osservazioni da avanzare al Comune. La prima riguarda l’imbocco della corsia sulla pista del sottopasso in direzione di via Rosselli, che per dare la priorità all’innesto di via Beato Angelico e a un accesso privato, ha sacrificato la linearità del percorso. È sufficiente un sopralluogo per verificare l’inadeguatezza della soluzione adottata che induce i pedoni e i ciclisti ad uscire dalla pista.

La seconda riguarda l’abituale assenza di una adeguata comunicazione ai cittadini per spiegare e motivare queste trasformazioni della viabilità. È quanto è avvenuto anche nel 2020 quando sono stati realizzati in città altri tre tratti di corsie senza il supporto di una solida campagna informativa che spiegasse a tutti, ciclisti e no, l’uso corretto di questi nuovi strumenti e senza prevedere una efficace attività di controllo.

Il fatto stesso che l’inaugurazione del sottopasso abbia anticipato la realizzazione delle corsie ciclabili, induce a pensare ad una mancanza di sostegno convinto di queste iniziative, e ad una timidezza verso le modifiche allo spazio pubblico che salvaguardino prioritariamente gli utenti della strada più vulnerabili. Su queste scelte bisogna essere innanzitutto convinti per essere convincenti.

FIAB ritiene necessaria l’infrastrutturazione di ciclabili in sede separata sulle dorsali ove le condizioni del traffico lo richiedano, ma altrettanto un cambio di paradigma che negli ambiti residenziali preveda un rallentamento della velocità ed una condivisione dello spazio consapevole e rispettosa da parte di tutte le utenze, a partire da quelle che ne occupano di più.

Ripensare lo spazio urbano: separazione o condivisione?

Da qualche anno ormai in Europa si parla convintamente di “Città 30” o “Città dei 15 minuti” ed addirittura qualche amministrazione si pone l’obiettivo di una “città car free”. Alla base di tutte queste formule urbanistiche c’è un concetto: gli spazi pubblici sono una risorsa troppo importante e devono essere condivisi tra tutti gli utenti e non utilizzati in gran parte per far transitare e parcheggiare le auto. Altrimenti tutte le altre funzioni pubbliche non possono essere realizzate in sicurezza e comodità.

Le città attuali sono il risultato di una repentina trasformazione di pochi decenni, laddove per secoli era stata dominante (e vincente) una lunga tradizione di vicinati, strade, e quartieri che inglobavano tutte le funzioni sociali, come il gioco, il lavoro, il commercio, il divertimento e la socialità: nel corso del ‘900 queste funzioni sono state allontanate dalle zone residenziali principalmente per assecondare i nuovi stili di mobilità motorizzata.

Gli effetti di queste scelte, che in tempi di tumultuosa crescita apparivano logiche, non hanno tardato a farsi sentire e sin dagli anni ‘80 le ZTL e le aree pedonalizzate hanno rappresentato un tentativo per correggere alcune di queste storture. Questi tentativi, tuttavia, non sono stati sufficienti ad invertire la rotta perché hanno riguardato solo il centro storico e quasi mai le periferie.

L’inversione di tendenza invece è stata netta in altri contesti europei dove condivisione e prossimità sono le nuove parole d’ordine per le strade e gli spazi pubblici e nei quali la bicicletta torna ad essere un mezzo di mobilità quotidiana. Da questa prospettiva, ha senso continuare a progettare spazi ciclabili separati dal resto?

La domanda è oggi all’ordine del giorno perché finalmente anche in Italia sono state introdotte nel Codice della Strada (nel settembre 2020) alcune importanti novità, frutto delle migliori esperienze europee, che istituiscono le “corsie ciclabili”, “le strade ciclabili”, le “corsie bici-bus”, le “case avanzate”, le “strade scolastiche” ed il “doppio senso ciclabile”. Tutte queste novità vanno nella direzione di riequilibrare i ruoli in strada e dare maggiore importanza a persone a piedi ed in bicicletta.

In particolare tramite semplici pittogrammi e righe di vernice, le “corsie ciclabili” stabiliscono una zona di priorità dei ciclisti alla destra della carreggiata, mentre le “strade ciclabili” attribuiscono la priorità ai ciclisti su tutta la carreggiata. Le prime possono essere disegnate in ambito urbano in tutte le strade fino a 50kmh (quindi praticamente dappertutto a parte le tangenziali), mentre le seconde prevedono la limitazione a 30kmh. Si va così incontro alle esigenze di tutti gli utenti della strada: senza vietare il transito in auto (… abbiamo tutti un’auto 😊), si prevede però una convivenza nella quale sono gli utenti più “forti” a doversi adattare alle esigenze degli utenti “deboli”.

Purtroppo, dopo un anno la loro applicazione è molto timida in molte città, tra cui Modena, e quindi non abbiamo ancora nessuna strada ciclabile da valutare, e solo tre casi di corsie senza separazione fisica (Tagliazucchi, Morane e Via Emilia Ovest): come tutte le novità per ora molti cittadini ne danno un giudizio negativo, ma solo con la loro diffusione ed il miglioramento delle realizzazioni potremo imparare a riconoscere ed apprezzare i meccanismi che le regolano. Chi, ad esempio, non ha criticato le prime rotonde negli anni ’90 per poi ricredersi in seguito?

Allo stato attuale sono quindi comprensibili i dubbi e di chi non usa la bici come mezzo di trasporto quotidiano perché ha paura del traffico. Paure confermate, tra l’altro, da ciclo attivisti in tutto il mondo che si rifiutano di considerare una striscia di vernice o un simbolo di bicicletta come una “infrastruttura ciclabile”.

Insomma, non è una discussione solo italiana e naturalmente non esiste una risposta unica, ma si deve ragionare strada per strada: a nessuno verrebbe in mente di chiedere una corsia condivisa in Viale Italia, su Montecuccoli, su Jacopo Barozzi o sulla Contrada. Ma in generale l’impostazione che si sta affermando in tutta Europa è che sono preferibili gli spazi condivisi in ambito cittadino ovunque ci siano quartieri densamente abitati o forti poli attrattori di pedonalità (negozi, scuole, biblioteche, centri civici, aree sportive, etc.).

Semplificando potremmo formulare una condizione ideale: è necessaria una “dorsale” di ciclabili separate in alcune arterie ad alto traffico di scorrimento con velocità a 50kmh, e spazi condivisi in tutte le altre strade urbane, con limiti abbassati a 30kmh. In questo modo ci potremo godere una ciclabilità e pedonalità diffusa per bambini da 8 ad 80 anni (😊) in ogni strada cittadina.

Quali sono le ragioni a supporto di questa tesi?

Per il nostro codice le piste ciclabili in sede propria devono essere larghe minimo 1,5mt se monodirezionali, oppure 2,5mt se bidirezionali: a questo vanno aggiunti in entrambi i casi almeno 50cm di cordolo invalicabile, fatto che limita tra l’altro la possibilità di mettere parcheggi auto alla destra di una ciclabile separata. Sono tutte condizioni che nel tempo hanno ingessato amministrazioni e progettisti, soprattutto nelle aree più densamente abitate e frequentate, e che hanno visto spesso come brutta soluzione un proliferare di ciclabili promiscue con i pedoni sui marciapiedi.

Invece le regole per le nuove corsie sono molto più elastiche (per dimensioni, vincoli, valicabilità) e quindi si possono applicare in molti più casi: per l’Italia che è un paese con infrastrutture ciclabili insufficienti, può essere una soluzione più rapida per crescere. Anche perché i tempi ed i costi di realizzazione di una pista ciclabile separata sono molto superiori a quelli di uno spazio in carreggiata. Da una parte, gli alti costi danno spesso un alibi alle amministrazioni per non fare nulla, dall’altra parte i tempi lunghi stizziscono commercianti e frontisti per i disagi. E noi ciclisti scalpitiamo insofferenti perché non vediamo mai crescere una vera rete ciclabile, ma sempre solo singoli spezzoni, “dove è possibile”.

In realtà anche una buona progettazione di spazi condivisi non può ridursi solo a disegnare una riga a terra, ma deve essere l’occasione per rivedere complessivamente lo spazio urbano, inserendo elementi di moderazione del traffico (ossia di rallentamento delle velocità), assegnando prioritariamente metri quadrati alla pedonalità, al verde, alle panchine. Tutte cose che hanno un costo, ma che innescano una reale trasformazione urbana, soddisfano il bisogno dei residenti (e dei commercianti, che ormai se ne sono accorti) di avere spazi vivibili e non configurano una mera operazione di sostituzione di parcheggi con ciclabili. Se ci fate caso in ogni intervista ai cittadini vi sentirete rispondere che il traffico, il rumore e l’eccessiva velocità nel loro quartiere sono i tra i problemi maggiormente sentiti che causano una sensazione generale di insicurezza. È plausibile quindi che una revisione complessiva degli spazi urbani sia vista positivamente dai residenti, perché a vantaggio di tutti gli abitanti e non solo di chi usa la bicicletta.

Le strutture separate hanno poi maggiori costi di manutenzione, che raramente viene eseguita con regolarità: una volta inaugurata, la pista ciclabile viene spesso invasa da radici ed erbacce, usata per la posa di cavi, tubi ed altre tecnologie (e lasciata in condizioni che la rendono quasi impraticabile), i cordoli e paletti vengono rovinati da auto in manovra. Invece la manutenzione della carreggiata stradale, e di conseguenza anche dell’ipotetica corsia o strada ciclabile, segue una programmazione che pur non essendo ottimale è abbastanza regolare.

Si potrebbe anche evidenziare che se vogliamo usare la bici per le necessità quotidiane non c’è dubbio che le piste debbano essere illuminate. Se sono separate dalle strade bisogna prevedere un impianto dedicato, mentre in carreggiata l’illuminazione stradale è garantita dall’impianto della strada stessa.

E ricordiamo cosa succede in autunno ed in caso di neve: ancora in gennaio uno strato di foglie bagnate e scivolose ricopre le ciclabili rendendole pericolose, mentre dopo una nevicata le strade vengono pulite subito ma le ciclabili (e purtroppo anche i marciapiedi) rimangono ghiacciate ed impraticabili per giorni e settimane. Gli spazi ciclabili condivisi in carreggiata verrebbero puliti da neve e foglie insieme al resto della strada.
Sono comunque tutti aspetti marginali, perché alla fine il vero discrimine tra le due soluzioni lo fa il livello di sicurezza. Le piste ciclabili separate hanno indubbi vantaggi nei lunghi tratti, permettono una esperienza di viaggio più rilassante, ed invogliano maggiormente i neofiti e le famiglie ad inforcare la bici. Ma anche le corsie ciclabili condivise e le strade ciclabili, a condizione che siano tracciate su strade a traffico realmente moderato, hanno buon grado di sicurezza, in particolare negli incroci.

Infatti, in presenza di pista ciclabile separata su un percorso con molte strade laterali, tra un incrocio e l’altro non è necessario che ciclista e automobilista tengano in considerazione la presenza altrui, ma poi sono obbligati frequentemente a mescolarsi quando le strade si intersecano ed improvvisamente il ciclista “appare” all’automobilista (ed il contrario) quando ormai la manovra è già iniziata.

Non è solo un problema di percezione del pericolo (volto perché non c’è nessuno – sono in ciclabile al sicuro), ma le stesse strutture di separazione come aiuole, parcheggi, siepi, pubblicità, cabine elettriche, bidoni dell’immondizia, nascondono fino all’ultimo la reciproca visuale. Il problema è diventato di stretta attualità a Modena con incidenti occorsi proprio a causa di queste condizioni.

Studi in materia confortano questa sensazione: gli incidenti agli incroci, che sono la maggioranza di quelli tra auto e bici in città, sono più probabili se invece di una corsia in carreggiata c’è una pista ciclabile separata. Ed è anche una constatazione di buon senso: sarà ben più visibile un ciclista immediatamente alla nostra destra che uno al di là di un parcheggio?

La separazione sistematica delle modalità di trasporto a scopo di sicurezza ha infatti alcuni effetti controproducenti: gli automobilisti sono meno abituati agli altri utenti della strada e riservano loro minore attenzione e la separazione induce livelli di velocità più elevati, che sono la principale causa degli incidenti, e soprattutto dei loro effetti.

Inoltre, va sottolineato che per fare nuovi spazi ciclabili si deve incidere sulle larghezze di corsie urbane che sono ben più di 2,75m minimi necessari (3,50 se è previsto il TPL): limitando l’esagerato spazio a disposizione delle auto si induce anche un effetto di limitazione della velocità e dell’odioso parcheggio abusivo a bordo strada, uno dei comportamenti più pericolosi per tutti gli utenti della strada, a partire dai pedoni.
Potremmo fermarci qui, ai vantaggi obiettivi e misurabili: integrare una rete continua di piste ciclabili separate con spazi ciclabili condivisi può giocare un ruolo importantissimo in un contesto italiano in cui il livello di ciclabilità stenta a crescere, ed in cui la trama di molti nostri centri abitati non aiuta a ridisegnare e ricavare spazi per le piste in sede propria.

Ma il vero vantaggio del condividere le stesse corsie, oltre ad utilizzarle in maniera più efficiente, è che obbliga tutti gli attori della strada a rispettare e riconoscere i diritti degli altri, indipendentemente che stiano guidando un SUV da 2,5 tonnellate o un monopattino.

Significa per l’automobilista regolare la velocità come se davanti al suo cruscotto possa sempre capitare un anziano incerto. Significa per un ciclista tenere sempre la propria corsia e la propria mano, ben illuminato di notte. Significa per un ragazzo in monopattino, non pensare di essere al parco giochi ma in una strada con regole precise.

In questo modo in ambito urbano vengono privilegiati gli spostamenti di chi, abitando quei quartieri, deve fare piccoli spostamenti e potrà quindi farli in tranquillità ed in sicurezza a piedi o in bici, a scapito di chi, passando da quei luoghi solo per transito, sarà costretto a rallentare. Insomma, l’essenza della “città dei 15 minuti”.

In più, togliendo le bici dai marciapiedi e dalle loro adiacenze, si salvaguarda lo spazio pedonale, vera infrastruttura primaria di mobilità, che deve anzi essere allargato e reso davvero fruibile ai pedoni, carrozzelle, passeggini ed alle nuove esigenze di spazio all’aperto per attività di servizio e commercio.

In questo periodo storico oggettivamente individualista in cui siamo tentati di riconoscere i nostri diritti prima che i nostri doveri, separare ed erigere ostacoli tra i cittadini in base al loro mezzo ci appare come una resa alla convivenza civile che invece dovremmo coltivare nei confronti di chiunque incrociamo per strada. E le strade, le piazze, i portici sono sempre stati gli spazi pubblici per antonomasia in cui le persone si incontrano, si riconoscono, litigano ma anche commerciano e stabiliscono nuove relazioni. Invece prioritizzando il traffico automobilistico e progettando tutto lo spazio per fluidificarlo, siamo riusciti a trasformare luoghi di incontro tra vicini di casa in corsie di transito per sconosciuti.

Ritenere che solo separandoci si possa ottenere il rispetto del proprio diritto a muoversi in sicurezza, non aiuta a riconoscere i bisogni altrui esacerbando di più gli animi delle due fazioni (automobilisti VS ciclisti).

Andiamo incontro a periodi in cui mantenere la coesione sociale sarà sempre più difficile, soprattutto se ci affidiamo solo a leggi, telecamere, tecnologia, e non alla reciproca comprensione. Separare o condividere gli spazi comuni va oltre le corsie o le piste ciclabili e non è una questione di poco conto: può fare la differenza tra una convivenza civile ed una perennemente in tensione.

Penserete sicuramente che questi siano ragionamenti da buonisti od inveterati utopisti, basati solo sulla previsione che gli altrui comportamenti possano essere più gentili. Non è così perché si basano invece su una nuova organizzazione degli spazi che, se ben progettati, obbligherà ad un maggior rispetto delle regole ed invoglierà molti a cambiare le proprie scelte di mobilità. Sia chiaro, non sarà un percorso breve e semplice, ma noi siamo ottimisti e non vediamo alternative perché come ha affermato Renzo Piano “un quartiere ben costruito è un gesto civico, una città ben costruita è un gesto di pace. Le periferie sono la città dove si pratica la convivenza, lo scambio, la crescita”.

Corsie ciclabili: uno strumento innovativo spiegato poco e male

Come era prevedibile, l’introduzione di tre corsie ciclabili in città è diventata la causa di tutti i mali della mobilità modenese. Ovviamente non è così.

Il Codice della strada da due indicazioni ai ciclisti e agli automobilisti:
•  i veicoli sprovvisti di motore devono stare “il più vicino possibile al margine destro della strada”
• “il conducente di un autoveicolo che effettui il sorpasso di un velocipede è tenuto ad usare particolari cautele al fine di assicurare una maggiore distanza laterale di sicurezza, in considerazione della minore stabilità e della probabilità di ondeggiamenti e deviazioni da parte del velocipede stesso”.

Per facilitare questi ragionevoli comportamenti, le recenti modifiche al Codice hanno introdotto le “corsie ciclabili”, da realizzare con semplici linee tratteggiate, con la finalità di segnalare lo spazio per i ciclisti e indurre gli automobilisti ad usare nel sorpasso le cautele necessarie ad assicurare “una maggiore distanza laterale di sicurezza”.

Alla FIAB, appare pertanto del tutto fuori luogo parlare di provvedimenti temporanei o di emergenza e meno ancora di “ciclabilità spinta” o addirittura di “sindrome da ciclabile”. La vera emergenza a Modena è il livello della mobilità automobilistica privata, non sicuramente quella della presenza di spazi ciclabili. Rimane purtroppo sullo sfondo l’evidente disinteresse politico per il benessere ambientale dei modenesi, che subiscono quotidianamente il traffico parassitario di attraversamento della città, essendo ancora più conveniente passare per i viali o per il cavalcavia Mazzoni che praticare soluzioni più esterne.

A Modena, nonostante le insistenti richieste della FIAB, le corsie ciclabili sono state realizzate senza una preventiva comunicazione ai cittadini e senza azioni di accompagnamento e di controllo da parte della Polizia Locale. Si sono così diffuse perplessità derivanti dalla cattiva informazione e hanno avuto gioco facile pretestuose critiche di chi considera i pedoni e i ciclisti “utenti incongrui” della strada e gli automobilisti che si devono “immolare” sulla carreggiata opposta.

Vi sono stati anche alcune sottovalutazioni nella progettazione, perlopiù derivanti dalla mancata riorganizzazione della sosta e degli incroci.

È il caso di via Emilia Ovest, dove è stata realizzata una corsia ciclabile verso la Madonnina per regolarizzare la storica pista ciclabile che, da Codice, poteva essere percorsa solo in direzione centro. In alternativa poteva essere adeguata la ciclabile bidirezionale da un solo lato della strada alle dimensioni minime di legge 2,5mt + 0,50 di cordolo: ma sempre 3 metri di carreggiata erano necessari.

In via Tagliazucchi, dove da anni la FIAB registra centinaia di studenti e lavoratori in bici che la percorrono nelle ore di punta, le nuove corsie hanno delimitato lo spazio alla destra da sempre usato dai ciclisti ed hanno riaffermato la loro precedenza: in quel breve tratto di strada le auto devono accodarsi ed attendere di avere spazio per il sorpasso. Da codice era così anche prima, a meno che i sorpassi non fossero effettuati contravvenendo alla norma.

E’ molto simile anche il tratto più stretto di via Morane, quello tra Via Sigonio e il passaggio a livello, dove si è persa l’occasione per ridisegnare complessivamente gli spazi assegnati ai pedoni e ai ciclisti e rendere maggiormente vivibile e sicura questa arteria che ha visto, già diversi incidenti mortali, di pedoni e i ciclisti.

In alternativa, il nuovo Codice prevede sempre la possibilità di realizzare una strada urbana ad unica carreggiata a 30Km/h con priorità ciclabile.

Le situazioni sono come al solito complesse e toccano esigenze contrastanti: ma è dovere degli amministratori coinvolgere preventivamente tutti gli attori, motivare apertamente le scelte, accompagnarle con la comunicazione, avendo il coraggio anche di correggere eventuali errori.

La FIAB, come al solito, è a disposizione di tutta la comunità per dare il proprio costruttivo contributo, per passare da quella che è una città a misura di auto ad una a misura di persone.

Via Tagliazucchi anche ai ciclisti

Il Comune di Modena ha finalmente migliorato l’accesso dei ciclisti al centro storico da via Tagliazucchi, che serve il popoloso quartiere dei Musicisti.

Era una delle numerose proposte di FIAB per facilitare l’approdo al centro dei cittadini in bicicletta, senza intasarlo di auto, presentato già nel 2015 all’allora assessore Giacobazzi. Ma allora, forse “fraintendendo” la nostra richiesta, il Comune aveva riaperto al traffico automobilistico il percorso esterno alla ZTL fino a viale Fontanelli e aveva tolto i portabiciclette davanti alla biblioteca Delfini per aggiungere parcheggio delle auto.

Questa volta il nuovo assessore ci ha ascoltato ed ha realizzato una corsia ciclabile sul lato nord, mentre a sud ha consentito il transito delle biciclette nella corsia preferenziale degli autobus. Sono stati così messi in sicurezza i ciclisti che da sempre fanno questo percorso per andare a scuola e al lavoro che, secondo il nostro rilevamento semestrale, variano da 100 e a 150 nell’ora di punta del mattino.

Tutto bene? Magari!

“Prima o poi ci scappa l’incidente” commenta un sindacalista degli autisti, “un ciclista che si immette da una laterale in contromano rischia un incidente frontale” aggiunge un esercente della zona, quasi che, se la stessa manovra la facesse un’auto, fosse differente.

La corsia preferenziale è interrotta da due semafori ravvicinati, ha una sola fermata ed è percorsa da una sola linea urbana con una frequenza massima di 10’ nelle ore di punta. Quale velocità può fare un autobus e di quale pericolosa promiscuità si può parlare visto che anche i taxi hanno a disposizione una così ampia corsia?

Nei fatti nulla è cambiato rispetto al passato, salvo che ora i ciclisti non sono più “abusivi”, ma possono fare lo stesso percorso di sempre in piena regola. E’ ciò che purtroppo non avviene in molte altre strade del centro storico che i ciclisti sono costretti a percorrere al contrario per non compiere inutili giri viziosi.

Non siamo psicologi ma abbiamo l’impressione che si continui pensare ai ciclisti non come normali cittadini in bicicletta, ma come “irregolari della strada” e che come tali, non conoscano le regole, vadano appena tollerati senza avere pari diritti sulla strada.

Corsie ciclabili, benvenute!

Il Decreto Rilancio definisce la “Corsia Ciclabile” come “parte della ordinaria corsia veicolare posta a destra, delimitata mediante striscia bianca discontinua, valicabile e ad uso promiscuo, che permette la circolazione sulle strade urbane dei velocipedi nello stesso senso di marcia degli altri veicoli e contraddistinta dal simbolo del velocipede.”

Insomma, una sezione di carreggiata destinata al transito ciclistico, ma valicabile occasionalmente dalle auto, per parcheggiare ad esempio. Essendo su sede stradale e delimitate solo da due strisce bianche discontinue possono essere realizzate in tempi rapidi, e servono a ricordare agli automobilisti che sulla carreggiata non sono da soli ma ci sono anche le biciclette, ed ai ciclisti di stare sulla destra e di andare nello stesso senso di marcia delle automobili.

Hanno dato ottima prova nei paesi europei in cui sono state adottate da tempo, ed in condizioni di limitazione della velocità veicolare sono considerate ancora più sicure delle piste ciclabili perché rendono i ciclisti sempre visibili a chi guida.

A chi obietta che uscendo dai parcheggi si rischia di “imballare” un ciclista, ricordiamo che anche adesso i ciclisti dovrebbero comunque occupare la stessa posizione a destra e che, corsia o no, per il CdS gli automobilisti in manovra devono comunque dare la precedenza a chiunque sopraggiunga. A maggior ragione adesso che vanno ad impegnare una corsia ciclabile.

Cosa ci sarebbe di tanto pericoloso di ciclisti che finalmente usano la destra della strada nella stessa direzione di marcia delle auto? Non è quello che ci hanno sempre chiesto di fare?