La vita delle nostre città è stata caratterizzata per secoli da migliaia di piccoli commercianti ed artigiani, che ne hanno costituito la principale nervatura di coesione sociale, ed esempi ammirati e copiati di comunità belle, vivaci e creative.
Poi nel primo dopoguerra l’onda della motorizzazione di massa ha imbruttito e reso invivibili i nostri centri, ed è stata la premessa fondamentale per la nascita anche in Italia di un modello di commercio basato sui centri commerciali situati nelle periferie cittadine. Da quel momento decenni di discussioni tra chi sostiene che senza auto i centri chiudono, e chi (come noi) invece sostiene che le auto sono il vero motivo per cui i centri muoiono. Lo hanno capito benissimo quelli della grande distribuzione, tanto che l’evoluzione dei mall sono stati gli outlet: falsi centri storici in cartongesso senz’auto, ma all’uscita dell’autostrada. Una magnifica sintesi dal loro punto di vista.
Ora per tutti è arrivato il nuovo tsunami: il commercio online. Una nuova forma di comodità, che non solo ci promette facilità di parcheggio e un buon assortimento di merci, ma ci porta gratuitamente a casa tutto quello che è acquistabile al mondo.
Un fenomeno con gravi controindicazioni, che da un lato desertifica il commercio delle nostre città, e dall’altro le riempie di migliaia di mezzi che realizzano l’ultimo miglio del processo di vendita, sfruttando padroncini e corrieri spesso attrezzati con mezzi grossi, a volte vetusti ed inquinanti.
Disarmante la descrizione fatta in recenti trasmissioni come Petrolio su Rai1, in cui un corriere 29enne racconta “… in 12 ore devo consegnare 130 pacchi: l’algoritmo di Amazon prevede 3 minuti a consegna e quindi siamo costretti a non rispettare il codice della strada. Succede sempre, è pericoloso soprattutto per chi ci sta intorno, noi siamo delle palle di fucile che giriamo per le città senza guardare stop, semafori, precedenze, nulla. Questo è un grave problema di sicurezza pubblica.”
Ed è proprio quello che vediamo tutti i giorni: il corriere arriva, lascia il furgone acceso in mezzo alla strada con le 4 frecce, scende consegna e riparte. Tutto senza guardare se copre la visibilità dell’ incrocio, se sta sulle strisce pedonali, o se chiude il transito ai mezzi pubblici. Perché se dovesse rispettare le regole, cercare un posteggio regolare libero, o mettere il parchimetro 15 minuti, addio 130 consegne al giorno. Ed addio consegne gratuite.
Noi consumatori dovremmo capire che la consegna gratuita di una cover da 3 euro, la paghiamo abbondantemente come costo sociale di inquinamento, traffico, insicurezza stradale e chiusura degli esercizi commerciali. Un fenomeno che a sua volta produce mancato presidio del territorio e maggiore delinquenza ed insicurezza in città.
Non è possibile continuare così: il fenomeno è destinato a crescere, e l’inerzia su queste infrazioni non è solo una questione di sicurezza stradale, ma è di fatto l’accettazione di una concorrenza sleale di grandi realtà internazionali verso i piccoli esercizi, che poi sono quelli che pagano le tasse a Piazza Grande (e non in Irlanda).