Città 30, gente contenta

A cavallo del lancio ufficiale di Bologna Città 30, il Comune di Bologna insieme a Fondazione Innovazione Urbana aveva diffuso un questionario (piuttosto articolato – servivano una ventina di minuti per rispondere a tutte le domande) chiedendo ai cittadini il loro punto di vista su quella che è in effetti una rivoluzione urbana. Prima di Bologna anche Londra e Parigi avevano diffuso questionari simili, ottenendo rispettivamente circa 2.000 e 5.700 risposte: a Bologna le risposte sono state addirittura 20.000, e ben 10.000 persone hanno completato il questionario in modo approfondito.

La maggior parte dei partecipanti ha dichiarato di spostarsi in auto, ma un significativo 80% sarebbe disposto a veder modificato l’assetto stradale per ridurre il traffico e gli incidenti; le stessa percentuale si è detta disponibile a considerare alternative all’auto come camminare, usare la bicicletta o i mezzi pubblici se le strade fossero più sicure e le infrastrutture più estese.

L’alto grado di conoscenza del Piano Città 30 tra i partecipanti riflette l’efficacia e la capillarità della campagna informativa precedente: tra gli obiettivi più apprezzati la riduzione degli incidenti stradali, l’autonomia per bambini, anziani e persone con disabilità, e la creazione di uno spazio urbano più vivibile. La maggioranza ritiene necessario modificare fisicamente le strade con rallentatori di velocità, e con un ampliamento dei percorsi ciclabili e degli spazi pedonali e un miglioramento dell’illuminazione.

Tper ha confermato che in questa fase iniziale di Bologna 30 gli autobus perdono appena 3-4 minuti da capolinea a capolinea, su tragitti mediamente superiori a un’ora, ritardi che tenderanno a ridursi man mano che le infrastrutture della città 30 saranno implementate e si verificherà quella diminuzione del traffico veicolare che si è vista in tutte le città europee (senza eccezione) che sono passate a 30 km/h.

Altri dati incoraggianti sono quelli sui flussi ciclistici. Mentre a Modena, a fronte di migliorie infrastrutturali minime, le bici sono in diminuzione, a Bologna solo nell’ultimo anno si registra un aumento dell’8%: nelle 10 postazioni “storiche”, l’aumento dei ciclisti dal 2012 sfiora l’80%: i passaggi di bici sono passati da 1.598 a 2.870. A spingere questo boom, la Tangenziale delle Biciclette sui Viali, e più di recente i nuovi percorsi ciclabili realizzati lungo le radiali della città, che cominciano a dispiegare in modo strutturale i loro effetti.

Chi vuol intendere, intenda.

 

Muoversi in città come in vacanza

Questo è il periodo dell’anno in cui sperimentiamo per qualche giorno un ritmo di vita diverso dal solito, con modifiche anche nel modo in cui ci muoviamo. Infatti, non vediamo l’ora di lasciare l’auto nel parcheggio dell’hotel, per uscire dall’incubo del traffico quotidiano ed inforcare una graziella scassata per raggiungere la spiaggia, o camminare nelle tranquille stradine di montagna.

Non è un mistero che il movimento attivo a piedi od in bici sia associato a belle sensazioni di relax e gratificazione, e che la libertà di muoverci senza dover guidare sia uno dei valori aggiunti dei luoghi di vacanza, dove non ci fanno paura nemmeno distanze che in città affronteremo sempre in auto. Non a caso ormai tutti i lungomare delle città di mare sono pedonalizzati, così come le zone dello shopping serale.

Non parliamo poi delle sensazioni che provano i nostri figli che viaggiano in gran parte della città sul sedile posteriore dell’auto e che invece in vacanza possono sperimentare il piacere dei tragitti in autonomia con i loro amici.

Ma è il campeggio l’ambiente in cui ogni viene a cadere ogni barriera: ricordiamo ancora la fine di una ciclovacanza in un enorme campeggio in Croazia (grande come un quartiere cittadino) dove i ragazzini dai 5-6 anni in su erano liberi di girare con monopattini, skateboard, biciclette ed hoverboard nonostante anche la circolazione delle auto fosse permessa. Il segreto? Ovviamente la velocità delle auto limitata a passo d’uomo (5-10kmh) che permette una semplice convivenza tra tutti gli utenti della strada, in modo così naturale che nessun genitore ha paura di lasciare da soli i bambini. In pratica una piccola #citta30 dal vero.

Con le dovute proporzioni, è ora di riportare queste condizioni di vita anche nelle nostre città. Impossibile? No, è solo una questione di scelte come in Olanda dove 2 scolari su 3 ed il 75% degli studenti superiori vanno a scuola a piedi o in bicicletta. Questo grazie a politiche stabilite qualche decennio fa, che impongono la progettazione sicura delle strade a misura di ogni mezzo e di ogni età.

L’attività fisica e la capacità di vivere il mondo indipendentemente dai genitori e le relazioni sociali che possono essere costruite tra coetanei camminando e andando in bici sono fondamentali per la salute e la felicità dei nostri figli. Le strade progettate per incoraggiare ciò sono un diritto fondamentale di cui tutti i bambini dovrebbero poter godere, non solo in vacanza.

Città 30: una proposta di legge nazionale

Perdere 12 secondi per risparmiare tante vite

Una vita spezzata all’improvviso è un evento tragico che smuove il profondo del nostro cuore, specie se si tratta di una giovane vittima. L’attacco mortale di un orso in Trentino (evento peraltro rarissimo in Italia) ha acceso un intenso dibattito su come gestire questi grandi mammiferi, come contenerli, se abbatterne e quanti. Eppure, solo nel 2021 nelle “giungle urbane” italiane sono state uccise oltre 2000 persone, e quasi 150 mila sono state ferite (senza contare quelle uccise o ferite fuori città): è come se fossero stati feriti tutti gli abitanti di una città come Rimini o Livorno. I dati 2022 (non ancora ufficiali) segnano un aumento netto di questi numeri già terrificanti, con tutto quello che di devastante comportano per le vittime e i loro famigliari.

Purtroppo, un orso fa notizia ma a questi drammi siamo incredibilmente assuefatti, e il dibattito sulla causa di queste uccisioni e di questi ferimenti langue ancora: e la causa, secondo la polizia stradale, è principalmente la velocità dei veicoli motorizzati sulle strade delle nostre città.

Eppure, la soluzione, comprovata, è a portata di mano da anni: è nella riduzione del limite massimo di velocità urbana a 30 km/h. In Spagna per esempio, dove il limite dei 30 km/h è in vigore dal maggio 2021 su tutte le strade urbane, in sei mesi le collisioni sono diminuite di un quinto e i morti del 14%. Parliamo di decine di mamme, papà, ragazzini, bambini, nonni che possono continuare a sedersi a tavola con la loro famiglia, ridere, abbracciarsi: vivere, insomma.

Per questo Fiab insieme a Legambiente, Kyoto Club, Amodo, Clean Cities, Asvis e Fondazione Scarponi ha presentato a Bologna lo scorso sabato all’interno del simposio MobilitArs una proposta di legge nazionale sulla “Città 30” per l’aumento della sicurezza stradale nei centri abitati.

A chi obietta che ridurre a 30 km/h la velocità massima in città porterebbe alla paralisi, hanno risposto gli ingegneri di Polinomia, che hanno analizzato i dati dei flussi di traffico di Bologna: nell’ipotesi peggiore basata sulle assunzioni più conservative, la trasformazione di Bologna a città 30 costerebbe a ciascun automobilista 12 secondi in più per ogni spostamento. “Perdere” 12 secondi per salvare una vita: essere eroi non è mai stato più semplice.

D’altra parte, le amministrazioni che ritardano l’introduzione di questa misura salvavita stanno permettendo, colpevolmente, che sulle strade la gente continui a morire. Basta morti in strada, Città 30 subito.

Scarica la Presentazione della proposta di legge nazionale Citta 30

Città 30 subito: basta morti in strada

E’ partita la campagna nazionale per la legge “città 30”

E così domenica scorsa siamo partiti con una campagna nazionale sulla sicurezza stradale che abbiamo chiamato “Città 30 subito, basta morti in strada” e lo abbiamo fatto con un flashmob in decine di città italiane andando a proteggere i passaggi pedonali.

E perché mai una associazione di ciclisti dovrebbe preoccuparsi di passaggi pedonali? Semplice, perché la pedonalità è la forma primaria di movimento, quella che (quasi) tutti abbiamo innata senza bisogno di nessun mezzo meccanico o motorizzato: prima o poi nella vita siamo tutti pedoni. Anche quelli che si dichiarano indefessi automobilisti prima o poi attraversano la strada per andare al bar.

Forse è per questo che esistono i sindacati degli automobilisti, quelli dei ciclisti, quelli degli utenti del trasporto pubblico ma non quelli dei pedoni: perché ognuno di noi dovrebbe aver accesso al suo status di bipede senza bisogno di lottare per veder rispettato questo diritto naturale.

Eppure, solo a gennaio in Italia sono stati uccisi oltre 51 pedoni, di cui la metà over 65, 3 under 18 sulle strisce pedonali e ben 7 mentre andavano a gettare l’immondizia (dati ASAPS). Ora, escludendo che gli anziani in ciabatte siano spericolati suicidi, ne possiamo dedurre solo che la violenza stradale motorizzata è fuori controllo, perché ovviamente nessuno è stato ucciso da una bici o da un monopattino.

Non esistono facili soluzioni, ma possiamo partire da regolare la velocità, il minimo comune denominatore che quando non è la causa diretta dell’impatto è quel fattore che ne moltiplica gli effetti nefasti. Per questo bisogna concretizzare subito il principio supportato da OMS, Parlamento Europeo e da decine di esperienze e casi di studio, che laddove vivono le persone la velocità massima non dovrebbe essere mai superiore a 30kmh.

Questa misura preliminare si porta dietro progressivamente nel tempo una serie di conseguenze ed opportunità: minor velocità vuol dire carreggiate più strette e meno parcheggi, più spazi per ampi pedonali, ciclabili sicure, corsie riservate per trasporto pubblico, verde in strada, panchine, playground per ragazzi.

Una “città 30” è più bella, vivibile, silenziosa, sicura, pulita, e tutela tutti i “ragazzi” che vogliono essere indipendenti dagli 8 agli 80 anni: dovrebbe quindi essere supportata in maniera trasversale, anche da quei cittadini incalliti che vogliono continuare ad andare al bar in auto. Possono continuare a farlo, ma a 30kmh.

Pedalando per la città 30: manifestazione per “M’illumino di meno”

In occasione dell’evento nazionale “M’illumino di meno” che ha da sempre al centro la promozione di stili di vita sostenibili, FIAB Modena insieme alle associazioni in rete per l’inclusione e l’ambiente ARIA, organizzano una pedalata il 16 Febbraio dalle ore 18.30. Pedalando dalla Ciclofficina “Rimessa in Movimento” presso il Novi Sad, per chiedere una “Città 30” subito e per sensibilizzare sul problema dell’insicurezza stradale, transiteremo sul cavalcavia Mazzoni per raggiungere la Sacca, quartiere che sconta uno storico isolamento dal resto della città dovuto alla ferrovia.

Torniamo quindi a proporre una soluzione a basso costo, che risolva da subito il problema: riservare il ponte Mazzoni (almeno una corsia) a trasporto pubblico, pedoni e biciclette, chiudendolo alle automobili private. Si realizzerebbe così un collegamento diretto e sicuro, che in poche centinaia di metri collegherebbe la nuova zona riqualificata del Canaletto a Piazza Roma.

A Modena serve una visione di insieme: non bastano interventi puntuali e scollegati, non bastano “zone 30” sporadiche, occorre trasformare l’intera città in “città 30” e farlo in tempi rapidi. Dopo Olbia e Cesena, anche Bergamo, Torino, Bologna e solo ultima Milano, stanno avviando percorsi per diventare Città 30, nella consapevolezza che occorre trovare risorse per pianificare interventi soprattutto strutturali e non solo di segnaletica, oltre che monitorare i risultati.

Moderare la velocità come previsto dalle Città 30 non rappresenta un limite alla libera e celere circolazione di persone e merci, in quanto attualmente la velocità media all’interno di Modena è di circa 29 km/h (dati PUMS MO). L’automobile privata non è il mezzo più veloce e affidabile nei centri urbani: solo con l’intermodalità tra i vari mezzi di trasporto, quali trasporto pubblico urbano, sharing e mobilità attiva, si potrà ottenere una riduzione del tasso di motorizzazione con relativa diminuzione del traffico, della difficoltà negli spostamenti e degli agenti inquinanti, i cui livelli sono spesso oggetto di procedure di infrazione da parte della UE.

Modena ha numeri di incidentalità ed inquinamento tra i più alti in Italia: Città30 è una soluzione già attuabile, che non necessita di tecnologie ancora da sviluppare.

La violenza stradale è un enorme problema di convivenza civile perché le città auto-centriche sono luoghi in cui vale la legge del più forte, mentre noi pensiamo che si debba tornare a condividere pacificamente gli spazi pubblici. Vi aspettiamo giovedì!

Errare è umano, le infrastrutture devono proteggere.

“Basterebbe che tutti rispettassero le regole” è la prima risposta che riceviamo quando denunciamo la pericolosità dei comportamenti stradali. Sembra una deduzione di buon senso, ma è quanto di più banale si possa affermare. Sarebbe un po’ come sostenere che basterebbe smettere di rubare, truffare, uccidere per non avere criminalità.

Il problema è che noi umani sbagliamo, sempre, soprattutto in strada. A volte consapevolmente, perché convinti che le regole siano sbagliate (“50kmh sono un limite obsoleto con le auto attuali”), o perché sicuri che la tecnologia ci possa salvare (“ho un SUV, cosa vuoi che mi succeda a 90kmh”). Altre volte sbagliamo inconsapevolmente, pensando di poter guidare spensierati come nelle pubblicità in cui le auto, sempre sotto il nostro perfetto controllo, sfrecciano in città vuote senza ostacoli.

Altre volte è la distrazione la causa scatenante: distrazioni manuali (maneggiare sigarette, trucchi, bere o mangiare), distrazioni visive (usare un cellulare, guardare il navigatore, cercare qualcosa) e perfino distrazioni cognitive (pensare a problemi, ripassare mentalmente un discorso, organizzare la giornata). Insomma, anche quando guardiamo non sempre vediamo realmente fuori dall’abitacolo.

Anche le persone a piedi o in bicicletta non sono esenti dagli stessi errori: si chiacchera con un amico pedalando in bici o si attraversa un pedonale con il rosso per fare prima. Non per questo i nostri figli imprudenti, gli amici distratti o i nonni incerti meritano una condanna a morte per i loro sbagli.

La soluzione ai problemi di violenza stradale deve passare da regole ed infrastrutture che limitino automaticamente gli effetti di questi sbagli. Come è ormai universalmente riconosciuto, nei centri abitati bisogna subito ridurre la velocità a 30kmh: si determina così un dimezzamento degli scontri e, quando lo scontro c’è, un abbattimento del 80% dei danni. Per indurre i guidatori a rispettare questi limiti (anche quando sono distratti) ci vengono in aiuto le infrastrutture di “traffic calming” che sono codificate da anni. Nei paesi nordici, si dice addirittura che se c’è bisogno di un segnale (di limite velocità, di precedenza) allora c’è un problema di progettazione.

E noi, quanta altra violenza siamo disposti a tollerare prima di riconoscere che le regole vigenti e le strade esistenti sono inadeguate a proteggere vite umane?

Bici e trasporto pubblico: alleati o concorrenti?

Nei nostri recenti articoli abbiamo cercato di spiegare come le “città 30” possano favorire la mobilità attiva pedonale e ciclabile.

Però in tutto questo ragionamento ci siamo dimenticati il trasporto pubblico. Ce lo ha ricordato una nostra amica commentando “credo che l’unica soluzione sia incentivare i mezzi pubblici, in modo che la gente lasci in garage l’auto”, lasciando trasparire una convinzione che in fondo la mobilità ciclabile non sposterà mai tanta gente quanto può fare un trasporto di massa.

Ma bicicletta e trasporto pubblico non sono tra di loro alternativi, anzi il loro uso combinato genera la maggiore efficienza possibile nella mobilità quotidiana. La bici, infatti, è per natura un mezzo privato che permette ad un singolo cittadino di scegliere punto di inizio ed arrivo, orario di partenza e tragitto da seguire. Mentre per definizione il trasporto pubblico, per quando efficiente e diffuso sia, ha orari e percorsi codificati.

Quindi può capitare che dobbiamo fare pochi chilometri e che troviamo più comodo prendere direttamente la bici dal garage, ma se dobbiamo andare fuori comune possiamo raggiungere la stazione a piedi o in bici e poi prendere un mezzo pubblico. E le scelte possono essere influenzate anche da altri fattori come il meteo, che può sconsigliarci di usare la bici ed andare direttamente alla fermata del bus.

In questo ragionamento da qualche anno si è infilato anche il monopattino (che necessita delle stesse infrastrutture delle bici) il cui successo è dovuto a diversi motivi, uno dei quali è che può essere semplicemente caricato su bus e treni e portato in ufficio. Insomma, il classico strumento che ci permette di fare l’ultimo miglio di un lungo tragitto di pendolarismo.

Non esiste un’unica soluzione ai problemi di trasporto di milioni di persone con esigenze diverse, e l’unica ricetta possibile è quella di ripensare le strade in modo che siano adatte a tutti i mezzi di trasporto. Perché l’errore capitale del secolo scorso è stato quello di dedicare tutto lo spazio ad un unico mezzo, l’auto privata, che pur avendo innegabili vantaggi di autonomia personale è un oggetto che divora enormi quantità di spazio lasciando agli altri solo riserve anguste ed insicure.

Le stazioni ferroviarie olandesi, con le loro migliaia di parcheggi bici protetti sempre pieni, sono lì a dimostrare che bici e mezzi pubblici sono alleati che vanno entrambi sostenuti per abbattere la dipendenza dall’auto privata.

Niente multe, le zone 30 più efficaci si auto-impongono

Niente multe, le zone 30 più efficaci si auto-impongono
La conformazione della strada può modificare significativamente le abitudini

Nell’immaginario comune, sono i controlli e le multe a garantire il rispetto dei limiti di velocità. Così la riduzione del limite a 30 km/h nelle zone urbane può essere vista come l’ennesimo espediente per “fare cassa”; qualcun altro invece potrebbe sostenere che è inutile abbassare i limiti perché tanto non vengono rispettati.

In realtà, l’esperienza europea conferma che, per essere efficace, la creazione di una zona 30 non può limitarsi all’apposizione di un cartello segnaletico con qualche sporadico controllo. Idealmente, il limite di velocità si dovrebbe imporre spontaneamente all’automobilista in virtù della pianificazione della strada: in altre parole, per come è conformata la strada l’automobilista finisce per mantenersi al di sotto dei 30 km/h.

Ma è possibile modificare le nostre strade senza dei costosi stravolgimenti? Altroché: gli espedienti, testati e codificati nella manualistica tecnica, abbondano. Ci sono strumenti familiari, i cuscini berlinesi (cugini dei nostri dossi, un po’ più stretti, che lasciano passare indisturbati mezzi di soccorso e biciclette), oppure pannelli di rilevamento della velocità che lampeggiano al superamento del limite. Si possono restringere i raggi di curvatura degli incroci e le dimensioni delle corsie (più sono stretti più si va piano, e così si possono allargare i marciapiedi), e rimuovere le doppie corsie per destinare più spazio a bici e pedoni. Si possono usare elementi decorativi come vasi di fiori (o nuove aiuole) per creare delle efficacissime chicanes che spezzano i rettilinei; oppure inserire delle strettoie in corrispondenza degli attraversamenti pedonali che costringono chi guida a rallentare e riducono l’ampiezza di attraversamento per i pedoni. Si può semplicemente modificare la segnaletica orizzontale, o paradossalmente addirittura eliminarla del tutto per creare un senso di incertezza in chi guida e indurlo a rallentare. Ce n’è per tutti i gusti e tutte le tasche.

Il concetto chiave è che la conformazione della strada influenza la velocità più dello spauracchio di una multa, e influenza anche come le persone vivono lo spazio pubblico: può renderlo uno spazio vissuto o uno spazio transitato e basta. Fiab come sempre si mette a disposizione per sostenere chi abbraccia la visione città 30: forza amministratori, e siate coraggiosi che, passato il primo periodo di adattamento, i vostri cittadini vi ringrazieranno.

Città 30: volete che torniamo all’età della pietra?

Come abbiamo visto negli scorsi articoli, le “città 30” non limitano la libertà di movimento, non impediscono di fare il proprio lavoro in auto, non penalizzano anziani ragazzi e disabili ma invece migliorano la vita a tutti i cittadini. A questo punto, chi proprio non ne vuole sapere di cambiare abitudini di solito tira fuori l’ineluttabilità del progresso tecnologico: “allora ditelo che volete che lasciamo tutti le macchine a casa e torniamo all’età della pietra”, come se l’uso dell’auto fosse una condizione necessaria al benessere e sviluppo economico.

Che l’affermazione sia puramente ideologica lo dimostra il fatto che le città più ricche in Europa sono quelle dove le percentuali di uso dell’auto sono le più basse. In Olanda e Danimarca secondo questo ragionamento dovrebbero essere tutti ridotti con le pezze ai pantaloni, e invece le loro città sono ad oggi un esempio di ricchezza diffusa, vivibilità, vivace commercio locale, coesione sociale, iniziative culturali, benessere fisico in cui nessun cittadino di ogni classe sociale, dall’operaio al premier e la regina, disdegna di pedalare o usare i mezzi pubblici. E mentre in quei paesi nessun politico da destra a sinistra si è mai sognato di mettere in discussione una politica della mobilità che metta l’uso dell’auto privato come ultima scelta auspicabile, in Italia si sono appena tolti i (pochi) milioni per le ciclabili urbane.

Chiariamo subito: l’automobile privata è una delle più rivoluzionare invenzioni del secolo scorso e ha rappresentato un volano di nuove opportunità e migliorie sociali. Resta però che il suo abuso ha generato enormi problemi alle nostre comunità.

A partire dal fatto che la mobilità è un bene primario, come l’istruzione o la sanità, e dovrebbe essere offerta a condizioni di accesso favorevoli ad ogni cittadino; invece, puntando solo sull’auto, obblighiamo tutti a usare il mezzo più costoso e, in città, anche quello più inefficiente.

Le “città 30”, riducendo e contrastando la necessità di usare l’auto, permettono al piccolo commercio di rivivere, ai ragazzi e anziani di tornare a vivere la strada, ai lavoratori di trovare meno traffico, a tutti di spendere meno nella mobilità, e lo fanno ripristinando la libertà di scelta del mezzo migliore per ogni tragitto che dobbiamo affrontare.

La verità è che non ci sono più scuse per non cambiare e dovrebbero essere i contrari a trovare delle giustificazioni plausibili per non farlo.

Città 30: e anziani e disabili?

Dopo aver visto che le “città 30” non limitano la libertà di nessuno e che i lavoratori possono continuare ad usare l’auto per le loro esigenze, affrontiamo l’obiezione di chi si preoccupa per anziani, disabili o persone a mobilità limitata che ora sono obbligati ad usare un mezzo motorizzato.

Le bici non possono essere un mezzo per tutti (anche se esistono tricicli, bici reclinanti ecc.), ma d’altronde nemmeno le auto lo sono, ad esempio per chi è sotto i 18 anni o per chi non è riuscito a prendere o rinnovare la patente, o semplicemente per i tanti cittadini che non se la possono permettere. Nelle “città 30” non si chiude nessuna strada: chi vuole o non può fare diversamente può continuare ad usare l’auto.

Il fatto è che anche chi riesce a guidare senza problemi oggi è sempre più in difficoltà a districarsi nel caotico traffico urbano, mentre tutti gli altri sono fortemente limitati nella mobilità proprio per la pericolosità delle strade, a prescindere dall’età anagrafica o dalle condizioni di salute. E così succede che il 50% dei pedoni e ciclisti uccisi ha oltre 65 anni (dati ASAPS): saranno spericolati avventurieri delle strisce pedonali, o cittadini magari un po’ più fragili a cui non viene perdonata alcuna esitazione?

Quindi siamo tutti costretti “per paura” a portare i nonni a fare qualsiasi commissione o attività sociale, ignorando che bici, tricicli e carrozzelle elettriche sarebbero un’ottima soluzione di autonomia se ci fosse una infrastruttura ciclabile sicura in un contesto di 30kmh. Tra l’altro questo permetterebbe loro il vantaggio extra di una moderata attività fisica quotidiana e la soddisfazione per non essere “di peso” ai parenti. E’ la stessa infrastruttura che permetterebbe ai ragazzi di essere autonomi e non obbligare i genitori a perdere un’ora al giorno per i tragitti casa/scuola (o casa/palestra!).

La popolazione sta velocemente invecchiando e le città moderne si stanno configurando come delle prigioni per le persone a limitata mobilità, sempre più confinati in casa o al massimo in zone delimitate come parchetti o centri commerciali. I nostri anziani sono sempre andati da soli in Piazza Grande, gli adolescenti a studiare da un amico in bici, e le persone con limitate capacità motorie amano essere indipendenti. Perché non ripensare una città a loro misura?

Nella prossima puntata l’obiezione “volete che torniamo all’età della pietra?”.