Prima di Natale a Roma due studentesse sono state travolte mentre attraversavano una strada. Media e opinione pubblica, come al solito sono stati “distratti” da fattori scarsamente rilevanti come la notorietà dell’investitore, o l’orario in cui le ragazze 16enni giravano in città. Il fatto che il guidatore avesse bevuto, che le ragazze probabilmente non fossero sulle strisce e la scarsa illuminazione della strada hanno purtroppo indirizzato le cause dell’incidente verso motivazioni accettabili per l’opinione pubblica.
Da quel giorno, ogni giorno, in Italia sono morte 10 persone sulle strade, senza che ci fosse più alcuna reazione da parte dei media e dei social, anestetizzati ormai a trattare ogni singolo caso come un incidente di percorso, una cosa che può capitare. Che, in parte, è anche vero.
Solo che molti paesi hanno avviato da anni politiche di contenimento di questo rischio, che hanno portato ad esempio Oslo (750.000 abitanti) ad avere 1 solo morto l’anno scorso, mentre Roma con 3.200.000 abitanti deve contare 134 morti. Per tornare a città più simili a Modena, ad esempio Pontevedra (Spagna 80.000 abitanti) da 10 anni non ha nemmeno un morto. Modena chiude il 2019 con 12 morti, e il 2020 purtroppo si è aperto con la tragica fine di un 17enne sulle strisce pedonali mentre andava a scuola.
In questo caso non eravamo a Roma, non c’era nessuno famoso, nessun SUV, il ragazzo era sulle strisce, l’investitore sobrio e pare non distratto dal cellulare. Quindi un caso, una semplice ma fatale distrazione o possiamo trovare fattori comuni con l’evento romano? Agli attenti conoscitori delle dinamiche stradali non possono sfuggire le comuni conformazioni delle carreggiate (entrambi due larghe strade dritte in zone residenziali) e la conseguente alta velocità tenuta dai conducenti (in entrambi i casi i corpi sono stati sbalzati a decine di metri), nonché la presenza di passaggi pedonali non protetti, e la scarsa visibilità (pioggia e buio a Roma, nebbia mattutina a Modena).
In realtà in entrambi i casi, questa scarsa visibilità dai media è stata incredibilmente portata come una attenuante, quando dovrebbe essere considerata una aggravante perché lo stesso Codice della Strada dice che chi guida deve adeguare la velocità alle condizioni meteo e dei potenziali ostacoli, anche imprevisti. In entrambi i casi la velocità massima era di 50 km/h ma dagli effetti degli scontri e dai primi accertamenti, possiamo affermare che non solo i conducenti non avevano attenuato la velocità, ma probabilmente stavano superando il limite. Vale la pena sottolineare che a 50 all’ora ci si arresta in 28 metri e che 9 pedoni su 10 muoiono nell’impatto, mentre a 30 km/h ci si ferma in 13 metri e perisce solo 1 pedone su 10. Una bella differenza, che per questi ragazzi si sarebbe trasformata probabilmente in danni, anche gravi ma non definitivi.
Si deve sapere che in Italia metà dei pedoni viene investito sulle strisce, che le vittime sono in gran parte over 65, che il 75% degli incidenti mortali avviene in città, e sono causati in stragrande maggioranza da automobilisti perfettamente sobri, ma pericolosamente veloci. Ecco perché da sempre chiediamo alla politica di agire alla radice del problema, con le stesse ricette di Oslo e Pontevedra: prima di tutto con la riduzione generalizzata in città della velocità massima a 30 km/h (a parte le principali arterie di scorrimento cittadine) e poi strade più strette, spartitraffico, corsie riservate a mezzi pubblici, corsie ciclabili in strada, strade a priorità ciclabile, forte riduzione dei parcheggi a bordo strada.
E poi un’azione informativa e punitiva di contrasto quotidiano (non campagne eccezionali) alla velocità eccessiva, all’uso del telefono in auto, al parcheggio selvaggio nelle intersezioni e passaggi pedonali, alla mancata precedenza ai pedoni sulle strisce. Tutte azioni che si possono fare con le attuali normative, senza attendere nuovi codici della strada. E che, tra l’altro, sono state sollecitate anche recentemente da Andrea Burzacchini, l’amministratore di AMO nominato dall’attuale Sindaco, che è indubbiamente una voce autorevole ed esperta in materia.
Sappiamo che tutti in città, a partire dagli amministratori, sono stati molto colpiti da questo ultimo evento. Ora chiediamo che le nostre richieste non cadano ancora nel vuoto, e per non scordare abbiamo piazzato in via Morane una bici bianca, simbolo dei ciclisti morti in strada. Perché pensiamo che arrivare 5 minuti prima a destinazione non sia un valido motivo per mettere a rischio la vita dei nostri cari, e che le priorità dei cittadini vadano rimesse nel giusto ordine: prima sicurezza, tranquillità, un ambiente urbano meno inquinato e più silenzioso, più accogliente, inclusivo per giovani ed anziani e poi solo alla fine fluidità del traffico e facilità di parcheggio. In questo senso l’attuale formulazione del PUMS non è adeguata a perseguire questi scopi.
Se avremo il coraggio di cambiare le nostre abitudini, fornire alternative credibili, e convincere i modenesi (a partire dagli stessi amministratori) che questa è la giusta direzione, non abbiamo dubbio che nel medio periodo si potranno ottenere sensibili miglioramenti non solo nella fluidità del traffico, ma anche per il commercio, l’economia di vicinato, la sicurezza dei quartieri, la coesione sociale. E che avremo un po’ tutti meno paura a far andare i nostri anziani al circolo, o i figli a scuola.