“In Germania il cicloturismo vale 20 miliardi di euro, in Italia solo 5 pur avendo paesaggi fantastici e un clima fantastico che consente di andare in bicicletta tutto l’anno: abbiamo ancora la possibilità di sviluppare molto questo settore”. Così si esprimeva a giugno del 2022, solo un anno fa, il Ministro del Turismo, Massimo Garavaglia (Lega) rispondendo ai giornalisti.
Oggi scopriamo che con un tratto di penna, il governo cancella dal PNRR oltre 1200 km di piste ciclabili, che avrebbero dovuto potenziare gli itinerari turistici su due ruote nel nostro Paese e disegnarne di nuovi.
Tutto con la scusa che “le difficoltà autorizzative e di completamento della fase di progettazione” renderebbero impossibile realizzare i progetti entro il 2026. Ma le Regioni definiscono la decisione “repentina e incomprensibile”, confermando che invece la possibilità di centrare l’obiettivo complessivo di 1235 km ciclabili “presenta alte probabilità di essere raggiunto”, magari modificando i target dei diversi territori, per tenere conto di alcune difficoltà contingenti come l’alluvione in Emilia-Romagna.
La lista di interventi a rischio è lunga: dal completamento della ciclovia Vento da Venezia a Torino, a quella della Magna Grecia tra Taranto a Reggio Calabria; dall’Adriatica, che dovrebbe costeggiare tutto il litorale a est della Penisola, alla Tirrenica, che dovrebbe invece svilupparsi da Ventimiglia a Latina.
FIAB ed altre associazioni si sono unite alle forti critiche, chiedendo in subordine che i fondi PNRR inutilizzati per le ciclovie turistiche vengano destinati allo sviluppo della ciclabilità nazionale, così tanto arretrata rispetto al resto d’Europa. In particolare, su progetti di piccole dimensioni per le infrastrutture ciclabili casa-scuola, che non necessitando di lunghi iter progettuali e di appalto, permetteranno il rispetto delle scadenze imposte.
Certo fa sensazione che nel 2023, con il turismo lento in fortissima espansione e con le classiche mete in difficoltà per i fenomeni da overturism, un governo decida di penalizzare un veicolo perfetto per vivacizzare le economie locali dei luoghi minori.
Perché qui non si tratta di colpire il “mezzo bici” a favore del “mezzo auto”, un classico della politica italiana, come successo nell’ultima finanziaria con l’azzeramento dei fondi destinati alla ciclabilità urbana, ma di colpire uno dei nuovi driver in un settore trainante dell’economia nostrana. Non dovrebbe essere difficile da capire.