Se il piano piange
Giuseppe Marano
Dopo oltre due anni di iter contrastato e numerose versioni, recentemente il Consiglio comunale ha approvato il primo Piano della Mobilità. Nelle intenzioni, questo atto definisce una visione organica della mobilità ciclistica. Nel voluminoso documento (252 pagine), supportato da varie tavole tecniche, gli interventi prospettati vengono corredati da dati finanziari: 6.28 milioni di euro di investimenti previsti nel breve periodo (entro 2018) e 15.3 milioni di euro nel medio-lungo periodo (oltre il 2018).
Il PMC si propone un obiettivo coraggioso: incrementare dell’1.5% annuo la quota ciclistica sull’insieme degli spostamenti (oggi la mobilità ciclistica è il 10.38%). A sostegno dell’obiettivo, sulla carta, vengono previste misure coerenti: aumento della sicurezza stradale, eliminazione di criticità e carenze nella rete, incremento della rete ciclo-pedonale, riconnessione di percorsi frammentati, realizzazione di Zone a 30 km/h.
La traduzione concreta degli obiettivi tocca ogni aspetto della mobilità: segnaletica; nuovi tratti ciclabili; riduzione delle criticità viabili; incremento delle zone a 30 km/h, completamento delle ciclovie modenesi. Inoltre, si contano interventi di messa in sicurezza, collegamento e completamento della rete. Per non citare gli impegni assai rilevanti di lungo periodo (oltre il 2018) indicati nel PMC, francamente assai aleatori, in quanto non finanziati.
Pur dando atto che l’Amministrazione ha fatto appello a competenze tecniche e impegno professionale notevoli, PMC appare uno strumento spuntato in due elementi fondamentali: la prevedibile inefficacia degli interventi previsti e la scarsità delle risorse. Se c’è un fattore di successo in questo tipo di imprese ad alto contenuto sociale, esso consiste nella chiarezza degli indirizzi percepiti dai cittadini, frutto di determinazione del decisore politico e di disponibilità finanziarie. Che però non emergono dai fatti.
Come è possibile, ad esempio, ridurre gli incidenti agli incroci e alle rotatorie limitandosi a disseminarli del nuovo totem progettuale, i ‘segnalatori luminosi’, che si aggiungono alla segnaletica inosservata? Troppo facile. E i nuovi tratti di ciclabili? Come mai mancano ancora segmenti essenziali di alcune strade pericolose, come Vignolese ed Emilia, solo per citare le più rilevanti? Alcuni progetti appaiono giochi di prestigio: un segnalatore luminoso qui, una chicane là, un cambio di segnaletica più avanti… come se il ciclista fosse uno strano animale cui puoi chiedere tutto, mentre gli automobilisti possono sfrecciare in strada senza disturbo. Il discorso delle zone a 30 km/h suscita più perplessità che soddisfazione per la novità, dopo anni di inerzia: oltre ad essere numericamente irrisorie, sono delimitate e scollegate, rendendo lo stesso quartiere diversamente transitabile nel giro di pochi metri. Mancano iniziative per illuminare tratti ciclabili insicuri di notte.
In sostanza il piano ha semplicemente ripreso interventi già ampiamente previsti in passato, senza sostanziali novità. I 15.3 milioni della fase futura sono nel libro dei sogni. Sulla base di questi dati, i ciclisti modenesi potranno davvero avvertire una maggiore sicurezza nelle strade e spostarsi fiduciosi ed ottimisti con questo mezzo semplice, efficiente e maledettamente poetico?