Insieme all’inquinamento, il rischio stradale rappresenta uno dei problemi più acuti della mobilità, in particolare per ciclisti e pedoni, gli utenti più indifesi. I danni umani, sociali e materiali provocati dagli incidenti sono rilevanti e alimentano la sensazione di insicurezza che frena i cittadini dal maggior utilizzo di mezzi ecologici e meno pericolosi, specie nei centri urbani, dove si verificano i due terzi dei sinistri e delle vittime.
Come fronteggiare questa situazione? Le campagne spot di sanzioni mirate ad automobilisti e ciclisti, ad uso e consumo dei media, non lasciano tracce significative: occorre attuare iniziative permanenti, capaci di incidere su abitudini negative ben radicate, contrarie alla civile convivenza nello spazio pubblico.
Fra i fattori di rischio connessi al traffico, quello più pernicioso è la velocità, perché moltiplica numero e gravità degli incidenti. L’impatto di un autoveicolo che viaggia a 50 km/h è paragonabile alla caduta dal quinto piano di un edificio. Per ridurre gli incidenti è necessario contenere la velocità, specialmente degli autoveicoli, i killer più numerosi e spietati.
Molte città hanno da tempo adottato misure efficaci e permanenti: zone a 30 km/h, pedonalizzazione dei centri storici, rotatorie, organizzazione della sosta, attraversamenti protetti, ridisegno delle intersezioni, utilizzo su larga scala delle nuove tecnologie. La protezione dei ciclisti e dei pedoni viene attuata con piste ciclabili, marciapiedi, attraversamenti ciclo pedonali protetti, illuminazione notturna.
Il fenomeno degli incidenti è così drammatico da richiedere un vero Piano delle sicurezza stradale, al cui centro sia posto con decisione l’uomo e non l’automobile. Tutto il resto sono chiacchiere al vento.
Giuseppe Marano
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