Come mai i morti provocati dagli incidenti stradali non scuotono l’opinione pubblica? Secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2016 1,36 milioni di persone in tutto il mondo hanno perso la vita a seguito di un incidente automobilistico. Per dare la misura dell’emergenza basti pensare che ogni giorno di quell’anno sono morte quasi 3.700 persone. Sono numeri allarmanti, che impongono azioni concrete sia da parte della politica, a tutti i livelli, sia da parte dei cittadini.
In Italia, uno dei paesi con il più alto tasso di motorizzazione in Europa, il problema della sicurezza nelle città e nel traffico è tale che FIAB prenderà parte alla manifestazione del 23 febbraio a Roma proprio per dichiarare lo stato di emergenza stradale e coinvolgere le istituzioni competenti e spingerle ad avviare con urgenza gli interventi necessari.
Quello che esaspera gli animi è il gelido silenzio istituzionale, l’assenza di qualunque reazione, ad ogni livello, da parte di amministratori locali e decisori politici di fronte a un fenomeno di tale violenza e gravità sociale. Siamo cittadini della strada senza diritto di cittadinanza.
Soprattutto le utenze vulnerabili, (bambini, disabili, anziani, pedoni, ciclisti, motociclisti) quelle più virtuose e assurdamente le prime a cadere sotto i colpi della violenza motoristica. Lo stato di emergenza stradale ci mette di fronte a una situazione che possiamo cambiare soltanto attraverso riforme radicali, che mettano al centro le persone e i cittadini, non più le automobili. Ad esempio, città che sostengono la mobilità ciclistica non si opporrebbero al doppio senso ciclabile (spesso bollato come contromano), ma lo incentiverebbero soprattutto all’interno dei centri storici, tra zone 30 e a traffico limitato.