A ruota libera: sentirsi a casa

Sentirsi a casa
Rubrica a cura di Luana Marangoni

Una volta ho letto una frase in un bellissimo libro di Abraham Yehoshua, un libro che parla di fuga da un paese e del tentativo di ricostruire una vita altrove, le esatte parole non le ricordo ma il senso che la frase racchiude è la capacità che hanno le persone di abituarsi ad un paesaggio nuovo, un paesaggio che non è quello in cui sei nato e vissuto.

C’è poi un’altra frase che mi sovviene sull’argomento, non ne ricordo la fonte ma in questo caso il senso è ancora più profondo: “casa” non è dove tu sei nato e vissuto, ma dove ti senti bene.

Il pensiero a questo punto va inevitabilmente a coloro che fuggono dalle miserie, dalla guerra, dalle sofferenze e a cosa possa significare per loro “essere a casa” e soprattutto quanto ed in che misura possiamo noi contribuire per farli sentire a casa. Penso anche che se io fossi al posto loro vorrei, sì, essere accolta, ma, superata la prima necessaria fase, vorrei poter riconoscere, restituire, rendere ciò che mi viene dato, vorrei potermi sentire integrata, riconosciuta, cittadina attiva della comunità in cui vivo.

Questo ragionamento potrà sembrare troppo astratto, invece il nostro progetto per insegnare alle donne straniere l’uso della bicicletta è la prova concreta di quanto sia importante questa circolarità, di quanto l’accettazione dell’altro determini un circolo virtuoso, un cammino verso l’integrazione e la co-partecipazione, che è alla base della convivenza civile.

Chi ci segue da tempo sa – e lo sanno molto bene le nostre volontarie “storiche” – che il nostro piccolo sogno con gli anni è cresciuto, si è arricchito , ha allargato il suo centro, fino a diventare la bellissima esperienza dei nostri giorni.

Quest’anno infatti (ma già si notavano le prime avvisaglie nel corso dei mesi precedenti), abbiamo visto confluire all’interno del nostro progetto le volontarie di altre associazioni, alcune facenti parte della Casa per la Pace, altre della Casa della Donna, dapprima curiose e desiderose in qualche modo di rendersi utili, infine entusiaste alla scoperta che il nostro “fare concreto” sfociava in qualcosa di veramente utile per queste persone che si rivolgevano a noi con la necessità di rendersi autonome oppure con il semplice desiderio di… “osare volare” e sentirsi libere. Può sembrare strano per chi non l’abbia vissuto, ma la felicità che si legge negli occhi di queste donne una volta superata la paura di cadere ci esalta e ci rende felici, così come ci è di insegnamento la loro tenacia e determinatezza .

Ma non bastano queste poche parole a spiegare la circolarità, da quest’anno infatti la nostra storia si è arricchita di un valore aggiunto: le donne che frequentano i nostri corsi ed imparano ad andare in bicicletta tornano da noi, tornano per aiutarci, tornano per presentarci altre donne che, come loro, hanno il desiderio o la necessità di inforcare la bicicletta, tornano per restituire ciò che è stato loro dato, per riconoscenza e per rendersi utili a loro volta. Mentre scrivo mi viene in mente proprio la frase di una di loro: “Voi siete state preziose per me ed io sono fiera di potervi aiutare”.

Forse sarà infantile o da sognatori, ma questa circolarità, questo scambio continuo ci commuove, ci rende orgogliosi e ci convince che questa è la strada giusta da percorrere.

Bici da leggere: Hai voluto la bicicletta. Il piacere della fatica

copertina

copertina

Hai voluto la bicicletta. Il piacere della fatica

a cura di L. Grandi e S. Tettamanti, Sellerio 2015

Questa antologia che raccoglie racconti ciclistici di giornalisti che sono in realtà grandi narratori (Gianni Brera, Gianni Mura, Orio Vergani, Manlio Cancogni tra gli altri) e di narratori che si fanno cronisti (tra cui Vasco Pratolini, Dino Buzzati, Achille Campanile, Piero Chiara): cronache come racconti e racconti come cronache del grande mito del ciclismo.

Quando il tema è il ciclismo, il racconto assume immediatamente la forma del mito. E infatti quali sono quasi sempre gli elementi della narrazione? Il gruppo, ovvero la massa dei ciclisti. Dentro il gruppo numeroso l’eroe solitario, circondato dai suoi fedeli, i gregari. Intorno il paesaggio, epico e vivente, non la scatola chiusa di uno stadio; e del paesaggio lo scrittore ferma sempre la natura e l’anima, la geografia fisica ma anche la storia, il costume, la cultura. E poi, il paesaggio umano che circonda i ciclisti, la “carovana” piena di umori, di storie, di masserizie, di tecniche e segreti, tutti da raccontare. Così, per questa appartenenza al campo del mito ben oltre la povera realtà ordinaria, le migliori cronache del ciclismo sono opera di scrittori, così come i cronisti diventano a tutti gli effetti narratori nel momento di grazia del loro “pezzo” sulla corsa.

Con scritti di: Marco Ballestracci, Stefano Benni, Gianni Brera, Dino Buzzati, Achille Campanile, Manlio Cancogni, Piero Chiara, Franco Cordelli, Paolo Di Stefano, Paolo Facchinetti, Gian Luca Favetto, Cesare Fiumi, Alfonso Gatto, Fabio Genovesi, Claudio Gregori, Daniele Marchesini, Gianni Mura, Rino Negri, Alfredo Oriani, Anna Maria Ortese, Marco Pastonesi, Vasco Pratolini, Mario Soldati, Giovanni Testori, Guido Vergani, Orio Vergani.

E-bike: tecnologia e creatività su due ruote

n-cycle

ncycle

Due ruote, un telaio, un manubrio, una pedaliera, un sellino: cosa c’è di più semplice e collaudato di una bicicletta? Esiste da duecento anni e ogni giorno soddisfa le esigenze di mobilità di milioni di persone. È amica dell’ambiente e della salute. Perché chiederle di più?

Dopo la “rivoluzione” della graziella pieghevole (1964) prodotta dall’italiano Rinaldo Donzelli e quella della mountain bike (1978) del californiano Joe Breeze, la bici sembrava tornata in un tranquillo letargo. Cosa c’era più da inventare?

Eppure, il mutevole mondo della bici doveva riservare sorprendenti innovazioni. A parte la versione oversize della fat bike (1989), la bici con gli pneumatici larghi dell’americano Simon Rakower, progettata per percorsi di sabbia o neve, la frontiera avanzata si è spostata sulla e-bike.

Questo tipo di bici risale all’800, ma occorreva attendere il 1974 perché in Europa fosse diffusa la tedesca Solo – electra con un discreto successo. Il Sinclair C5, triciclo elettrico a pedali lanciato nel 1985 dall’imprenditore inglese Clive Sinclair, nonostante ingenti investimenti si risolse in un fiasco.

L’idea era eccellente, ma occorreva alleggerire il veicolo. Lo sviluppo degli accumulatori nella versione al litio e ai metalli idruri negli ultimi vent’anni ha riaperto i giochi, grazie al minor peso e alla maggiore capacità elettrica, che si traduce in più chilometri su strada.

Molte aziende giovani stanno proponendo ebike dalla linea raffinata, supportate da dispositivi informatici d’avanguardia. Una delle più recenti, la n-cycle, prodotta dalla carpigiana New Cast Services, si segnala perché è anche pieghevole, la prima “graziella elettrica” della storia. La storia continua.

Giuseppe Marano
www.modenainbici.it

CASCATE DI LABANTE – CASTEL D’AIANO: Il gigante roccioso

cascate labante

cascate labante

CASCATE DI LABANTE – CASTEL D’AIANO
26 LUGLIO 2015

Il gigante roccioso
Maria Chiara Marchiò

Un caldissimo luglio, quasi la bici si arrampica da sola alla ricerca di un po’ di refrigerio. Il percorso in salita non troppo impegnativa ci porta al fresco di Castel d’Aiano, paese pesantemente coinvolto nell’ ultima fase di arretramento dell’esercito tedesco. La comunità ha voluto creare un luogo di memoria degli eventi di guerra che hanno insanguinato l’ Italia tra l’ agosto 1944 e l’ aprile 1945, lungo la cosiddetta Linea Gotica. Un grande plastico dà conto della sua lunghezza, dalla Romagna alla Toscana, e un’ installazione multimediale mediante luci, musiche, suoni, filmati d’epoca ricostruisce la lunga cronologia di lotte e combattimenti che hanno causato indicibili sofferenze alle popolazioni coinvolte.

Seconda meta della giornata, le cascate di Labante, un sito davvero incredibile: uno sperone di roccia simile al muso di un grande animale preistorico riversa sporgendosi nel vuoto una cascata d’acqua in un laghetto, in un contesto paesaggistico di verdi prati, luogo ideale per il nostro pranzo al sacco. Sui fianchi del roccione di travertino si aprono grotte tra le più imponenti d’ Italia solitamente non visitabili, ma erano aperte perché si era di sagra, e il gigante roccioso era circondato da suoni festosi di bambini e di gente allegra.. non ultimi noi, che giocavamo a farci le foto. Dopo democratica consultazione si è deciso di tornare per Zocca: lì sì, non nelle buie grotte di Labante, abbiamo rischiato di perdere qualcuno… rapito dalle bancarelle

Post it: Km 50 – Difficoltà media – Partenza da Ponte Samone sulla Fondovalle. Principali località attraversate: Rosola, Semelano, Villa D’Aiano, Castel D’Aiano, Labante, San Cristoforo (cascata), Zocca, Missano, Montalbano, Samone.

Tranquilli si parte …

bici impazzita

bici impazzita

Rubrica a cura di Armando Gualandrini e Sandro Galtarossa

In queste poche righe mi soffermo su alcuni piccoli accorgimenti che possiamo adottare affinché le nostre uscite in bicicletta siano le più sicure e divertenti possibili.

Sia che ci troviamo nel caos cittadino o nella quiete della campagna o su un passo di montagna si dovrà essere sempre molto attenti e adattarci al contesto in cui ci stiamo muovendo, dobbiamo sempre essere padroni sia del mezzo che della strada che stiamo percorrendo.

Non si può prescindere, qualunque sia la nostra meta, dall’ avere una bicicletta efficiente:
• Grandezza del telaio adeguata alla nostra altezza
• coperture in buono stato
• freni efficienti
• mezzi di segnalamento funzionanti
• kit di soccorso per le forature

Ricordo che la gomma perde le proprie caratteristiche nel tempo, anche se sembrano nuove.

Da non sottovalutare l’importanza di un abbigliamento adeguato, soprattutto quando si sta in sella per più ore: esso infatti deve essere confortevole, non deve impedire i movimenti e all’ occorrenza deve ripararci dal sole o dalla pioggia. Fondamentali per la nostra sicurezza sono casco e occhiali, consiglio l’acquisto di buoni prodotti, testa e occhi li meritano. Stare molto attenti alle stringhe delle scarpe, se troppo lunghe potrebbero impigliarsi nelle moltipliche anteriori.

Molti ciclisti hanno comportamenti di guida che sono pericolosi per sé e per gli altri quando si pedala in gruppo.

Rispettare il codice stradale.
La bicicletta esprime un senso di libertà e spensieratezza, questo non deve fare diminuire la nostra attenzione soprattutto quando si è in gruppo in quanto possono essere coinvolte molte persone per una nostra disattenzione, si deve essere sempre attenti e pronti ad evitare ostacoli improvvisi.

Quando affrontiamo strade con traffico bisogna rimanere in fila indiana.

Se affrontiamo una salita è opportuno pedalare con il proprio ritmo e non superare i propri limiti, la discesa va affrontata con tranquillità e anche se a volte si vorrebbe volare, bisogna tenere sotto controllo sia la bicicletta che la strada. I freni vanno usati entrambi, calibrando destro e sinistro in base al fondo stradale.

Quando si entra in una zona scura o se ne esce stare molto attenti, l’occhio deve abituarsi al cambio di luce e potremmo per qualche attimo non vedere.

Nel caso di gallerie poco illuminate o altre situazioni di potenziale pericolo indossare il giubbetto alta visibilità diventa fondamentale per la nostra incolumità.

Partiamo …

Ciclo-stile: Ancora sicurezza

spazio condiviso

spazio condiviso

Non passa settimana senza un incidente con pedoni o ciclisti. Ogni volta si levano voci che parlano di buoni e cattivi, di corretti e maleducati, seguite da proposte di educazione stradale dedicata ai più deboli. Sono stanco di questa sterile contrapposizione, che serve solo a nascondere le responsabilità.

Sarebbe utile per tutti leggere il proficuo lavoro di Sabino Cannone, che dai primi anni ’90 si è dedicato alla psicologia del traffico e che scrive:

“L’educazione stradale da noi proposta è l’educazione ad una civile convivenza, dentro e fuori la scuola, così come nei rapporti tra gli esseri umani e l’ambiente che li ospita. Quindi, sicurezza stradale e mobilità sostenibile, trattate alla pari. In essa, il concetto di sicurezza non è inteso come l’individuazione di un nemico da eliminare; bensì come condivisione. La strada come spazio condiviso, in questo in perfetta sintonia con l’idea di Hans Mondermann di “Shared Space”.

Il contesto, cioè l’ambiente stradale, si configura come una vera e propria “matrice relazionale”, in grado di influenzare essa stessa i comportamenti degli individui presenti al proprio interno; in grado cioè di attivare, a seconda dei casi, sia circolarità viziose che circolarità virtuose nei comportamenti dei singoli alla guida. Guidiamo, senza rendercene conto, con l’accento stradale del luogo.

E chi è deputato a gestire il contesto? La gestione del contesto, dell’ambiente stradale come sistema, spetta al politico. È comodo per il politico responsabilizzare unicamente il singolo dei suoi comportamenti alla guida, è conveniente elettoralmente ed economicamente. Ma cosa succede invece quando introduciamo la prospettiva sistemica? (…) Succede che introducendo un feed-back rispetto alle decisioni da esso prese, il politico risulta responsabile del modo di guidare dei suoi concittadini.

Deve essere chiaro che il guidare – un mezzo qualsiasi, anche i propri piedi – non è solo un fatto privato, è anche un fatto pubblico. È un atto politico, nel senso che riguarda la Polis, il luogo del vivere sociale, civico e civile.

Dimmi come guidi e ti dirò chi sei… e dove sei! La via della guida è: un progetto politico (non partitico) di democrazia dal basso, un’attività di volontariato, psicologia applicata, una proposta eticamente connotata, mobilità sostenibile, attenzione all’ ambiente esterno/interiore, una nuova arte marziale, etc.”

Ognuno può fare la sua parte: gli amministratori pubblici, la stampa, l’associazionismo e il singolo cittadino, tutti i giorni con il proprio stile di vita e le proprie parole. La Fiab è sempre disponibile.

Al cicloturismo spuntano le ali

cicloturismo con le ali

cicloturismo con le ali

Segnali positivi testimoniano il decollo del cicloturismo in Italia, che ormai compare insistentemente sulla stampa, nei media e nella pubblicità.
I viaggi e le iniziative sul cicloturismo, organizzate dagli Enti, dagli operatori turistici e promosse da associazioni, registrano un interesse diffuso della popolazione per il benessere all’aria aperta, la salute e il turismo più consapevole.

La Fiab ha anticipato da tempo questo bisogno e, con un lungo e faticoso lavoro, ha elaborato e pubblicato la rete delle ciclovie italiane Bicitalia (http://www.bicitalia.org/), fortemente integrata con la rete delle ciclovie europee Eurovelo (http://www.eurovelo.com) e con le reti ciclabili regionali.

La Fiab ha promosso e organizzato anche Albergabici (http://www.albergabici.it) che raccoglie le strutture ricettive italiane (alberghi, agriturismo, bed & breakfast, campeggi) che offrono servizi a favore dei ciclisti e che si sentono in qualche modo “amici della bicicletta”.
È ora giunto il momento che le Istituzioni Nazionali e Locali facciano la loro parte per contribuire al completamento della rete, non solo con interventi infrastrutturali, ma anche con provvedimenti di traffico che rendano la viabilità minore sicura per i ciclisti (con la posa di segnaletica dedicata, la riduzione della velocità, il miglioramento degli accessi e degli incroci).

In questo compito un ruolo fondamentale di coordinamento spetta al Ministero del Turismo ed agli Assessorati Regionali al Turismo, che possono guidare gli interventi a grande scala, mettere a disposizione risorse e promuovere i nostri territori all’estero. Alcune dichiarazioni del ministro Franceschini e l’esempio dell’assessorato regionale al Turismo del Veneto fanno ben sperare.

Le ricchezze generate dal cicloturismo nella Val Venosta, nella Val Sugana e nella Valle d’Adige, testimoniano che ne vale la pena e dimostrano che un territorio organizzato per il cicloturismo è prima di tutto accogliente per i propri abitanti.

NEL PARCO DEL GIGANTE: Fino al Battisti: pedalando e … pensando

foto di gruppo al battisti

foto di gruppo al battisti

NEL PARCO DEL GIGANTE
28 GIUGNO 2015

Fino al Battisti: pedalando e … pensando
Nicola Tracia

Non c’è niente di meglio per un appassionato ciclista, per tentare di sfuggire alla calura estiva, di una bella pedalata nell’aria fresca di montagna.

Partendo da Villa Minozzo siamo saliti in quattordici verso il paese di Civago, che abbiamo raggiunto per strada asfaltata dopo una ventina di chilometri. Qui, dopo una breve sosta per riempire le borracce e bere un caffè nel bar del paese, abbiamo imboccato la strada sterrata che sale rapidamente nei boschi verso il rifugio “Segheria”.

Il gruppo, fin qui sufficientemente compatto, ha cominciato ovviamente a sfilacciarsi, ma mantenendo sempre la capacità di ricomporsi nei momenti più delicati, come in presenza di un bivio o di improvvisi cambi di pendenza.

L’ ultimo tratto di salita è stato particolarmente duro, e se la soddisfazione di aver raggiunto il crinale che separa le valli dei torrenti Dolo e Ozola è proporzionale alla fatica, di soddisfazione ne abbiamo provata tanta.

Abbiamo cosi meritato la sosta pranzo presso il rifugio “Cesare Battisti” (1761 slm), ottimo per capacità di servizio, visti i numerosi escursionisti che lo raggiungono.

Inaspettatamente siamo anche deliziati da un gruppo musicale che, con tanto di batteria, chitarre e sassofoni, si esibisce creando un’atmosfera inconsueta per quel luogo dedicato al silenzio del paesaggio.

Discesa nella valle del torrente Ozola fino a guadagnare la strada che ci porta a Ligonchio e da qui, su sede asfaltata, percorriamo i restanti venti chilometri circa che ci separano da Villa Minozzo, non prima di aver fatto un’ultima foto di gruppo sullo sfondo della bella Pietra di Bismantova.

La gita volge al termine e mi stimola qualche riflessione.
Cosa mi spinge ad affannarmi per quelle strade ripide, a volte scassate e polverose?
Perché non sono mai pago e cerco sempre un luogo nuovo ?
Penso che, in realtà, quel luogo è un sentimento, che trovo nella condivisione e nell’amicizia, anche in persone conosciute solo per un giorno.

Il tavolo della mobilità del Comune di Modena

rossella_associazioni_mobilitaLa Giunta di Modena ha istituito il “Tavolo di consultazione per la mobilità urbana”, rispettando un impegno assunto dal Sindaco in campagna elettorale.

Come si può immaginare il Coordinamento per la Mobilità Nuova e la FIAB che ne fa parte hanno espresso soddisfazione perché era una nostra esplicita richiesta.

Ma l’entusiasmo si è spento già al primo incontro perché l’assessore Giacobazzi ha presentato il progetto di ciclabile della via Emilia, precisando che era già stato concordato con i commercianti e che doveva essere approvato per non perdere il finanziamento.

Un tavolo prendere o lasciare, al quale sono invitate le 10 associazioni del Coordinamento e altre 42 organizzazioni, ma mancano l’ACI, AMO, SETA, FER, TPER, COTAMO ed altri importanti attori della mobilità.

Nel segnalare tale assenza abbiamo chiesto di definire prioritariamente le finalità del tavolo, le modalità di partecipazione, di definizione del programma dei lavori e di invio della documentazione.

La FIAB ha poi consegnato l’elenco delle principali questioni sospese, che attendono ancora una risposta: l’accesso facilitato al centro storico, il collegamento con la Sacca, il contrasto ai furti di biciclette, l’eliminazione delle interruzioni e degli ostacoli sulle piste, l’apertura della pista del sottopasso di Cittanova sulla via Emilia chiuso da due anni, la realizzazione di parcheggi per biciclette nei centri commerciali e nei servizi, ridurre la velocità a 30 km/ora nelle zone residenziali.

Attendiamo risposte concrete sperando che il Tavolo diventi lo strumento per raccogliere i bisogni dei cittadini e non un luogo di validazione di scelte costruite in altri luoghi.

Non si possono spendere risorse pubbliche per il trasporto collettivo e la mobilità dolce pensando solo agli interessi di bottega.

Incidenti stradali: una strage infinita

incidente con bicicletta

incidente con bicicletta

Gli incidenti stradali continuano a rappresentare un enorme problema irrisolto, particolarmente a Modena. Lo conferma l’ultimo studio pubblicato da ACI-Istat sull’incidentalità del 2013, che ci consegna dati ancora una volta drammatici: 1.254 sinistri, 15 morti e 1.679 feriti. I danni materiali globali conseguenti sono stimati in oltre 250 milioni di euro.

La velocità eccessiva continua a rappresentare di gran lunga -a pari merito con la distrazione- il principale fattore degli incidenti (25% del totale). Le associazioni ambientaliste e gli esperti da tempo la considerano l’elemento chiave su cui intervenire per contrastare il fenomeno.

Dopo aver migliorato le tecniche mediche e di pronto soccorso, come pure la sicurezza intrinseca degli autoveicoli, resta il fattore umano. Nello studio pubblicato, Aci propone di potenziare l’educazione stradale e la formazione. Queste azioni appaiono largamente insufficienti: si può davvero credere che il motivo principale degli incidenti sia la scarsa conoscenza del Codice della Strada?

Purtroppo, il problema riguarda la filosofia di gestione dello spazio pubblico. La politica del Comune di Modena ha consegnato le strade e le piazze agli autoveicoli, riducendo il diritto degli altri mezzi a circolare e parcheggiare e facendoli percepire come alieni.

Ciò ha pesato nel decidere le priorità e le caratteristiche tecniche degli investimenti nel settore della mobilità: mentre si realizza a tamburo battente il mega parcheggio Novi Park investendo 82 milioni di euro nei 41 anni del contratto Comune-gestore, si perdono anni per realizzare tratti di ciclabili in strade pericolose come Via Giardini o Emilia est, con progetti deludenti, dettati dalle direttive dei commercianti più retrivi.

Una città orientata al cambiamento dovrebbe muoversi diversamente da Modena, realizzando le zone a moderazione di traffico (30 km/h) nei quartieri residenziali, le rotatorie compatte, una più estesa pedonalizzazione del centro storico, una rete di ciclabili e pedonali ben collegati e con diritto di precedenza, una segnaletica che consenta alle bici di circolare nei sensi unici per le auto, nuovi servizi per proteggere le bici dai furti, attraversamenti ciclabili e pedonali ampi e prioritari sulle automobili, un adeguamento del servizio di trasporto pubblico.

Una più spiccata promiscuità degli utenti della strada e nuove regole del gioco, incentrate non sul potere del più forte ma sui diritti dei più deboli e rispettosi dell’ambiente, produrrebbe certamente una riduzione della velocità e dell’inquinamento. L’obiettivo finale da perseguire è la riduzione dell’uso degli autoveicoli negli spostamenti urbani a favore degli altri mezzi di spostamento, dall’attuale 75% al 35%-40%, dando spazio alle modalità di spostamento ecologiche.

Giorgio Castelli
Giuseppe Marano