Segnaletica ciclabili: una vera giungla!

Sulle ciclabili mancano molti segnali, e tanti ci sono ma sono errati. I ciclisti devono dunque diffidare dalla segnaletica? Nessuna espressione come “giungla della città” descrive meglio la situazione della segnaletica ciclistica modenese. La metafora è perfetta e calzante: un terzo dei segnali non è a norma. Un bel record!

I ciclisti devono diffidare della segnaletica che dovrebbe invece guidarli e proteggerli, particolarmente agli incroci, e guardarsi dai pericoli che nasconde costantemente. A ogni intersezione, devono incrociare le dita: sarà quella buona o la solita fregatura? E allora sai che ti dico me ne vado in strada almeno la situazione è più chiara. O no?

È lo stesso comune di Modena, più di un anno fa, a rilevare i dati sconfortanti della segnaletica cittadina: segnali esistenti 2.405; mancanti 1.116; a norma 1.621; da eliminare (non a norma con attraversamenti ciclo-pedonali e ciclabili) 81; da eliminare (errato- segnale doppio/inutile) 166; da sostituire (errato- tipologia segnale sbagliato) 537. Sicuramente anche nelle strade normali ci sarà qualche segnale sbagliato o inappropriato, ma difficilmente si raggiungerà la percentuale dei segnali ciclabili, circa un terzo del totale.

Ci si potrebbe chiedere come mai si è verificato un così alto numero di errori: sono da addebitare ai continui mutamenti della normativa stradale? A scarsa sorveglianza, a manutenzione tardive o insufficienti? Ma più importante ancora è capire che cosa vuole fare l’Amministrazione comunale per porre fine a questa incredibile situazione, che crea i presupporti di potenziali incidenti, danni umani ed economici e conflitti giudiziari fra ciclisti e automobilisti a ogni incrocio.

Giorgio Castelli
www.modenainbici.it

Elettriche e ibride nelle ZTL e nelle aree pedonali? Una mostruosità

Elettriche e ibride nelle Ztl e nelle aree pedonali?
È questo il cambiamento? Tornare indietro di 50 anni su mobilità sostenibile e tutela dei centri storici.

Nella Legge di stabilità appena approvata, il Governo attuale, che si definisce “del cambiamento”, ha inserito una modifica pericolosa al Codice della Strada: si tratta di una norma, il comma 103, che obbliga i Comuni a consentire “in ogni caso” a tutte le auto elettriche e ibride la circolazione nelle aree pedonali e nelle ZTL.

A nostro parere, questo intervento è una mostruosità che riporta indietro il Paese di almeno 50 anni, cancellando con due righe improvvisate i risultati raggiunti in decenni su mobilità sostenibile e tutela di piazze e strade delle città italiane, a danno di abitanti, commercianti, turisti e monumenti, alla faccia anche della sicurezza delle persone.

Immaginate piazza del Popolo a Roma o piazza del Plebiscito a Napoli, o piazza del Duomo a Milano, o via Maqueda a Palermo, percorse incessantemente da autovetture. Pensate ai centri storici medioevali di Bologna o Firenze, protetti da ZTL già a maglie troppo larghe, invasi dal traffico e parcheggio selvaggio di altre migliaia di macchine in più.

E’ questo il cambiamento? E’ davvero il ritorno al passato della motorizzazione che occupa ogni spazio urbano l’unica direzione che si intende prendere per mostrare la “novità”? Dov’è finito l’impegno alla “dieta del traffico”, ossia a togliere auto dalle città per renderle di nuovo vivibili e sicure, sottoscritto da tanti candidati, compreso il vicepremier Di Maio, in campagna elettorale?

Noi siamo convinti che questa norma debba essere cancellata immediatamente, e insieme dovrebbe essere previsto un comma di scuse alla collettività per aver anche solo pensato un orrore del genere. Lo chiediamo con forza e ci aspettiamo rapidità nella correzione.

FIAB Modena

Perché è importante che le città siano “camminabili”.

Passeggiando per le piccole strade del centro storico di città, ci si confronta spesso con il suo peggior nemico: la macchina. Il veicolo rende difficoltosa la tranquillità del pedone soprattutto quando i marciapiedi raggiungono la loro massima capacità con una persona.

Quanto più camminabile è una città, maggiori e forti sono i legami che si generano all’interno della comunità cittadina, dall’incentivare le piccole attività commerciali, alla sicurezza percepita, alla possibilità di lasciare che i bambini raggiungano la scuola a piedi riaffermando le loro relazioni sociali. Secondo lo studio americano (Walk this Way) che analizza l’impatto economico che ha la pedonalizzazione; i luoghi pedonali urbani posseggono un’economia molto più attiva rispetto ai “non pedonali”.

Per questo le amministrazioni pubbliche dovrebbero incoraggiare un maggior livello di pedonabilità, non solo per i benefici alla salute e all’ambiente associato al camminare, ma anche perché, rendere le aree cittadine camminabili genera attività economica, incrementa i valori delle proprietà immobiliari e del turismo, migliora la mobilità e aumenta la qualità di vita dei cittadini. I residenti dei luoghi con più aree pedonali hanno minori costi di trasporto e una maggiore accessibilità ai trasporti stessi.

Un buon livello di pedonabilità di una città, dal centro alle periferie, si stabilisce quando è in grado di promuovere un buon flusso pedonale, con strade e viali che permettano un uso misto tanto di biciclette come di automobili ed il facile raggiungimento di parchi e luoghi ricreativi. Sono le aree dove la macchina circola al massimo ai 30 km orari e dove i bambini possono giocare liberi e sicuri. Come realizzarle? Attraverso una prospettiva integrata della funzionalità dei diversi spazi pubblici ottenendo criteri di gerarchizzazione degli luoghi, con “corridoi urbani” che garantiscono la loro intercomunicazione e l’istituzione di un strutturato programma di intervento pedonale.

Una città di giochi, feste, scambi economici, manifestazioni politiche…senza questo la città in sostanza non esisterebbe.

Marina Beneventi

C’è chi sceglie di pedalare

Quando ero un ragazzino mio padre prendeva la bicicletta e salutava mia madre con un classico “a vagh a Modna”, che usavano i residenti fuori da quella che una volta era la cerchia delle mura, quando andavano in centro. Seguivo mia madre con la mia biciclettina blu quando andava a fare la spesa al mercato, l’Albinelli, dove c’era uno dei tanti depositi custoditi; sono andato a scuola con la ciclo e a zonzo con gli amici, spingendomi spesso fuori città.

Usare la bicicletta era normale, molti l’usavano tutti i giorni, ma poi qualcosa è cambiato. Forse abbiamo creduto di essere più ricchi e che l’automobile fosse più comoda. Una cosa è sicura abbiamo letteralmente intasato con le nostre auto la città, ammorbandone l’aria e deturpando molte belle vie e piazze del centro, trasformandole in parcheggi.

Certamente negli anni Modena è cresciuta con nuovi quartieri residenziali e nuove zone produttive e commerciali. Rimane però vero, almeno per i residenti in città, che difficilmente le distanze percorse per andare al lavoro non superano i 5 o 6 chilometri.

Nella Modena di oggi, molti lavoratori che usano la bicicletta lo fanno perché convinte della maggior comodità della stessa, nei piccoli e medi spostamenti quotidiani in città; qualcuno neppure possiede un automobile perché ha scoperto che non gli serve. C’è chi arriva in città in treno, con una bici pieghevole, per poi proseguire. C’è chi lascia la bici in deposito, usandola per gli spostamenti cittadini una volta lasciata l’auto in parcheggio. C’è chi usa la bicicletta perché ha solo quella. Chi della bici fa un mezzo di lavoro; corrieri in bicicletta che fanno consegne in città, compresa la spesa a domicilio. Una famiglia con tre bimbi ha perfino scelto di vendere l’auto per muoversi esclusivamente con una cargo bike.

Molti con l’uso della bici si sentono meglio fisicamente, sono meno stressati dal traffico, meno costretti, più liberi ed arrivano a destinazione più tranquilli, ottimisti e sereni…forse proprio come nella Modena di una volta.

Eugenio Carretti
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Quando la precedenza diventa un ostacolo

Come in ogni materia la progettazione di infrastrutture ciclabili andrebbe affidata a tecnici preparati e che magari usano abitualmente la bicicletta in ambito urbano.

In molti casi invece, per la sottovalutazione delle competenze necessarie, la progettazione viene affidata a tecnici che non hanno avuto modo di approfondire la materia e, nel dubbio, abbondano con segnaletica e infrastrutturazione per “separare” il più possibile dal traffico motorizzato i percorsi per le biciclette.

Al fondo vi è una visione ingegneristica della mobilità che punta al confinamento degli utenti in luoghi separati e distinti: gli automobilisti padroni della strada, i ciclisti padroni delle piste, i pedoni padroni dei marciapiedi. Peccato che questa soluzione si scontri con la realtà di ogni incrocio che, soprattutto nelle aree urbane, interrompe tutte le diverse corsie separate.

Diventa così più facile fermare indistintamente i pedoni ed i ciclisti con barriere ed ostacoli con la scusa di proteggerli, piuttosto che fermare le auto per la sicurezza.

Un esempio concreto di questo atteggiamento negativo ed in contrasto con il Codice della Strada, riguarda la precedenza delle strade laterali che si immettono su una strada principale dotata di pista ciclabile. Spesso i segnali verticali e orizzontali di dare la precedenza vengono posti al limite della corsia stradale, escludendo la precedenza alla pista ciclabile e al pedonale.

Come se non bastasse sulla pista vengono posti i segnali di fine pista ciclabile e spesso manca la segnaletica orizzontale di attraversamento ciclabile o addirittura di attraversamento pedonale. Così le auto si fermano sulla pista e sul marciapiede per dare la precedenza alle auto in transito, impedendo il transito ai pedoni e ai ciclisti. Tutto ciò contrasta con l’art. 81 del Regolamento di attuazione del C.d.S. che precisa “i segnali dare precedenza (Art. 106) e fermarsi e dare precedenza (Art. 107) devono essere posti in prossimità del limite della carreggiata della strada (e non della corsia) che gode del diritto di precedenza”.

Vi sono molte esperienze in Italia ed Europa che testimoniano l’efficacia, sia in termini di fluidità del traffico che di sicurezza, di una mobilità della convivenza e della condivisione dello spazio pubblico e varrebbe la pena che amministratori e tecnici potessero dedicare un po’ di tempo per conoscerle ed approfondirle.

Giorgio Castelli
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Un’altra occasione persa: il tortuoso incrocio via Luosi-Barozzi

In occasione del seminario “Mobilità in equilibrio”, organizzato lo scorso marzo da Fiab e dall’Ordine degli Architetti, è stata segnalata la tortuosità dei nuovi percorsi pedonali e ciclabili dell’incrocio di via Luosi con viale Barozzi. Il Comune infatti, nel realizzare la nuova pista di viale Barozzi, aveva ristretto e disassato la pista esistente di via Luosi, rendendola promiscua con il marciapiede.

Il giorno successivo il Comune, con una nota stampa, ha precisato che i lavori erano ancora in corso e che questi problemi sarebbero stati risolti. A nove mesi di distanza i percorsi sono rimasti gli stessi e l’isola spartitraffico per i pedoni e ciclisti è diventata un “arcipelago” di isolette di cemento, cosparso di nuove “palme” semaforiche. Sicuramente non sono state rispettate le dimensioni minime “inderogabili” per le piste ciclabili bidirezionali e per i percorsi pedonali, fissate rispettivamente in 2,5 e 1,5 metri.

Come se non bastasse, è stato regolato con semaforo anche l’incrocio tra la pista esistente di via Luosi con la corsia stradale che da via Luosi svolta in direzione di via Giardini. Così i pedoni ed i ciclisti devono attendere due diverse fasi semaforiche per attraversare viale Barozzi e se provengono da via Luosi devono stringersi su un angusto marciapiede per attendere il verde al nuovo semaforo. Per contro le auto sono obbligate a rimanere ferme anche quando non passano pedoni e ciclisti.

Si può immaginare cosa succede in questi angusti spazi negli orari di ingresso di uscita degli studenti dell’Istituto Fermi o quando passano le biciclette col carrellino per bambini, cargo bike o carrozzine elettriche per anziani, sempre più diffuse.

Abbiamo attentamente osservato in questi mesi l’incrocio e succede di tutto: auto che non rispettano il nuovo semaforo sullo svincolo, biciclette che provengono da via Riccoboni e affiancano a destra l’isola spartitraffico in contromano, pedoni che non sanno dove stare, auto che imboccano via Riccoboni sulla pista ciclabile, priva di ogni protezione o segnale verticale.

C’è da chiedersi quale logica abbia guidato la progettazione di questo incrocio che, usando in modo discutibile le risorse pubbliche, ha irrigidito i flussi di traffico, ha aumentato l’insicurezza dei passanti ed ha sacrificato pedoni e ciclisti.

Giorgio Castelli
www.modenainbici.it

Salto ad ostacoli sulle piste ciclabili

Molte piste ciclabili realizzate nella nostra Provincia sono cosparse di segnaletica paletti ed ostacoli non conformi al Codice della Strada.

Gli ostacoli artificiali installati sono dei più vari: pali di sostegno della segnaletica verticale o dei semafori posati al centro della pista, cavallotti in acciaio, transenne incrociate, fioriere e panettoni in calcestruzzo.

In alcuni casi si è arrivati perfino a “strozzare” con transenne i percorsi pedonali e ciclabili in corrispondenza di accessi privati (contravvenendo palesemente le norme del C. d S.) come nella pista in via Divisione Acqui a Modena davanti alla Maserati o in via Giardini a Ubersetto davanti all’azienda Fondovalle.

Questa abitudine sbagliata rappresenta un pericolo per tutti i ciclisti, in particolar modo per i bambini e le persone anziane, e contrasta prima di tutto con il “Regolamento recante norme per la definizione delle caratteristiche tecniche delle piste ciclabili” (Decreto 30 novembre 1999, n. 557) che, all’Art. 2, sottolinea la necessità di “puntare all’attrattività, alla continuità ed alla riconoscibilità dell’itinerario ciclabile, privilegiando i percorsi più’ brevi, diretti e sicuri”.

Nel caso di piste promiscue con i pedoni (ciclopedonali) questi ostacoli sono in contrasto anche con la normativa sull’abbattimento delle barriere architettoniche.

Quest’ultimo aspetto non va affatto sottovalutato, vista la crescente diffusione di deambulatori, carrozzine elettriche, monopattini, cargo bike, carrellini per trasporto bimbi ed altri ausili alla mobilità ciclabile e pedonale.

Negli anni ’70, agli albori della ciclabilità italiana, la posa di paletti e fioriere serviva per evitare che le piste venissero percorse dalle auto o che venissero utilizzate come spazio di sosta. Servivano in pratica a difenderle da un uso improprio.

Ma oggi si ha la netta sensazione che le scelte progettuali sulla mobilità ciclabile vengano guidate da una prospettiva tipica dell’automobilista, in pratica dal punto di vista del “cruscotto dell’automobile”.

Viene quindi da chiedersi perché progettisti ed amministratori insistano con questa cattiva abitudine che è palesemente in contrasto con la funzionalità dei percorsi, con la normativa vigente ed il buon senso.

Giorgio Castelli
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Cavalcavia Cialdini: l’evidenza ed il buon senso forse non bastano

Un cittadino ci ha inviato copia della richiesta presentata nei mesi scorsi al Sindaco per l’adeguamento del cavalcavia Cialdini al crescente transito di persone che frequentano la numerose attività insediate a nord della ferrovia, corredata della risposta ricevuta.

Nella sostanza veniva proposta la realizzazione di un marciapiede e di una pista ciclabile sul cavalcavia per dare sicurezza ai cittadini che rinunciano ad usare l’auto per questi spostamenti urbani e contemporaneamente si chiedeva un maggior controllo della velocità dei veicoli in transito.

Nella risposta il Sindaco condivide i limiti strutturali del cavalcavia, ma ribadisce l’intenzione di realizzare, in alternativa, nuove rampe di accesso dell’attuale sottopasso di via Montecuccoli (il così detto sottopasso Fiat), per le quali sarà comunque necessaria l’acquisizione di aree ferroviarie.

La Fiab nel 2006 aveva proposto al Comune e alla Circoscrizione di realizzare un marciapiede sul lato ovest e una pista sul lato est del cavalcavia, approfittando dei lavori in corso per la realizzazione dello svincolo di collegamento del cavalcavia con il comparto del cinema Victoria.

Lo spazio necessario sarebbe stato ricavato dalla riduzione delle sezioni delle quattro corsie stradali particolarmente sovradimensionate. In tal modo questo stradone in città, che ha il limite dei 50 km/h e che finisce in un semaforo, avrebbe assunto caratteristiche urbane favorendo e condizionando positivamente i comportamenti di tutti i cittadini.

Per mesi il cavalcavia è stato ristretto a sole tre corsie ridotte, per realizzare il nuovo svincolo, senza creare particolari problemi alla circolazione, a riprova del sovradimensionamento delle sezioni stradali.

Anche in quel caso l’allora assessore Sitta aveva risposto negativamente alla proposta Fiab e il 16 novembre 2006 si era formalmente impegnato a realizzare entro il 2008 le rampe al sottopasso di via Montecuccoli, a suo dire ormai già progettate. A nulla sono valse le nostre motivazioni, anche economiche, e nemmeno è servita la continua presenza di persone che, in questi 12 anni, rischiano la vita quotidianamente a piedi ed in bicicletta sul cavalcavia, proprio sotto le finestre degli uffici comunali.

L’attuale sottopasso, oltre ad essere estremamente faticoso per chi deve trascinare la bicicletta, è anche chiuso per sicurezza nelle ore notturne, mentre una pista lungo il cavalcavia non avrebbe questo problema.

A quei tempi l’assessore parlava del Piano della mobilità ciclabile e in questa ultima risposta si parla del PUMS (Piano della Mobilità Sostenibile), ma la sostanza è che:

  • nei documenti si dichiara di incentivare la bicicletta e nei fatti si continua a vedere la mobilità dal parabrezza dell’automobile,
  • si propongono manovre anti smog, ma non si vogliono ridurre le inutili e dannose velocità nelle zone urbane,
  • si organizzano biciclettate primaverili ma non si creano le condizioni per un uso quotidiano della bicicletta e dei piedi per spostarci in città.

Forse i nostri amministratori non hanno ancora compreso che, per una città di pianura e di medie dimensioni come la nostra, se ritroviamo il giusto equilibrio nell’uso dei mezzi nei vari spostamenti quotidiani e ci stringiamo un po’ tutti, avremo più sicurezza, meno inquinamento e vivremo meglio tutti.

Giorgio Castelli
FIAB Modena

“M’illumino di più 2018”: in bici più visibili più sicuri

In bicicletta bisogna essere ben visibili, è un obbligo, soprattutto quando si viaggia di sera.

L’importanza di questo tema è ben nota alla FIAB che da anni è impegnata per “illuminare” chi deve rendersi visibile sulla strada. È così che è nata la campagna “M’illumino di più”: l’iniziativa affronta i noti aspetti del codice della strada e sottolinea con forza che, chi si rende visibile in bicicletta, fa una scelta intelligente e “illuminata”, perché crea sicurezza per sé e per gli altri utenti della strada.

Come consuetudine FIAB Modena rinnova la biciclettata annuale “M’illumino di più” 2018. Tutti i presenti all’iniziativa, verranno dispensati di pratici consigli sui dispositivi di illuminazione, da esperti del settore ciclistico, con particolare riferimento ai ciclisti urbani che percorrono quotidianamente il tragitto casa-lavoro, anche e soprattutto su strade extraurbane; completeremo il quadro conoscitivo sulla sicurezza con ulteriori informazioni sui sistemi antifurto e sull’equipaggiamento base necessario, per affrontare in qualsiasi condizione meteo il bike to work.

L’appuntamento è per venerdì 19 ottobre 2018, ritrovo alle ore 18:00 in piazza Grande; alle 18:30 partirà un breve biciclettata in notturna per il centro città, guidata da cargo-bike, tutti rigorosamente illuminati.

Alle 19:00 presso Cicli Center (Via Emilia Ovest 174) punto informativo sui dispositivi di illuminazione e segnalazione e consigli tecnici per fare bike to work.

La serata si concluderà con un ciclo-aperitivo offerto da Fiab, ore 20:00 in Largo Sant’Eufemia, presso il bar La Bicicletta; sarà momento di ulteriore confronto con la distribuzione di materiale informativo a cura di FIAB Modena: regole e modalità per spostarsi di notte in sicurezza. Durante l’iniziativa sarà possibile iscriversi o rinnovare la tessera associativa FIAB per l’anno 2019.

FIAB Modena

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Non uso la bici perché … le scuse più frequenti

Non uso la bici perché. Resistenza n.1: Con la macchina faccio prima
Nessun luogo è lontano, ovvero cambiare prospettiva

Spesso abbiamo l’impressione che la modalità più pratica e veloce  per raggiungere il luogo di lavoro sia l’automobile, anche quando ci muoviamo all’interno della stessa città e/o la distanza non supera i 7/9 chilometri.

Così ci immergiamo nel traffico cittadino all’interno delle nostre scatole di metallo, facciamo lunghe code al semaforo e poi passiamo e ripassiamo sulla stessa via nell’inutile tentativo di cercare un parcheggio. Quante volte lo sentiamo raccontare dai colleghi, che  sono costretti ad uscire ad orari improbabili per evitare code e per poter sostare nelle poche zone riservate, magari aspettando l’uscita dei residenti.

In questi casi sono l’abitudine e la pigrizia ad avere la meglio, basterebbe però provare una volta per tutte a cambiare prospettiva ed invece di divorare l’asfalto, inseguendo i secondi persi ai semafori, scandire lentamente il tempo al ritmo delle nostre due ruote, imboccando strade alternative a quelle usuali, magari passando all’interno di un parco cittadino o di una pista ciclabile della quale fino a ieri ignoravamo l’esistenza.

Alla fine ci accorgeremo con stupore non solo che i tempi spesi per il tragitto casa lavoro sono gli stessi o quasi, ma che avremo imparato a perderci tra gli odori del mattino appena iniziato o i colori del tramonto e, … miracolo!, a sviluppare una disposizione d’animo positiva per affrontare la giornata.

 

Non uso la bici perché. Resistenza n.2: Ho freddo, ho caldo, mi bagno
Non facciamoci influenzare dal ciclo delle stagioni, piuttosto assecondiamolo 

Ma come fai a prendere la bici con questo tempaccio? Quante volte ci sentiamo rivolgere questa domanda quando arriviamo sul luogo di lavoro in una fredda mattina d’inverno, con cappello, guanti imbottiti e magari una mantella impermeabile che ci sfiliamo dal capo per non bagnare tutto quello che sfioriamo? Oppure quando fuori la lancetta del termometro supera i 30 gradi e ci sembra che l’unico modo per salvarsi dal caldo infernale sia accendere l’aria condizionata a 18 gradi?

Se dovessimo attendere il periodo propizio dovremmo inforcare la bicicletta solo in primavera , con il sole e la temperatura mite.

Ma allora come fanno gli atleti che devono allenarsi e che escono da casa estate ed inverno, con il gelo e con l’arsura?  Quando si fa sport l’abbigliamento aiuta e naturalmente anche quando scegliamo la bicicletta come mezzo di trasporto, nei periodi in cui piove o la colonnina di mercurio scende in picchiata, coprirsi adeguatamente è buona norma.  Ma il vero cambiamento è quello mentale, ovvero considerare l’avvicendamento delle stagioni come un evento naturale da accettare.

Scopriremo così che dopo cinque minuti che spingiamo sui pedali avremo sviluppato il calore necessario per scaldare il nostro corpo e che, al contrario la pedalata lenta in estate fa sviluppare la giusta aria senza troppa fatica, come fossimo raggiunti da un enorme ventilatore naturale.

 

Non uso la bici perché. Resistenza n.3: Non mi sento sicuro, ho paura
Chi molto pratica molto impara

Al di là della saggezza di questo vecchio proverbio toscano, non dimentichiamoci che la città è una giungla e non avendo le Fahrradstrassen tedesche o le Bike Highways danesi, ci dobbiamo destreggiare tra piste ciclabili che finiscono nel nulla, strade a più corsie dove il traffico corre veloce o vie strette dove il ciclista viene considerato un corpo estraneo. Per i ciclisti urbani, il passo successivo è senz’altro quello di osare, mettendo in atto tutti gli accorgimenti necessari a preservare la propria incolumità, accorgimenti che ovviamente non ci esimono dal rispetto del codice della strada.

Regola primaria, in ogni occasione, anche quando abbiamo la precedenza, è assicurarsi il contatto visivo con l’automobilista, agli incroci, nelle rotatorie, nel percorrere una pista ciclabile all’altezza delle intersezioni con strade e passi carrai. Bisogna saper prevedere la mossa che farà l’automobilista: se sentiamo alle nostre spalle il rombo del motore e la strada è stretta, è preferibile non stare troppo attaccati al ciglio del marciapiede, in questo modo verremo sorpassati solo quando si sentiranno sicuri di poterlo fare, senza rischiare di sfiorarci.

Attenzione agli angoli ciechi nel momento in cui sorpassiamo a destra un carro-articolato o un tram ed ai binari di questi ultimi che vanno superati in diagonale, con un angolo di almeno 60 gradi.  Laddove non ci sono, creare le nostre “case avanzate” agli incroci semaforici, situandoci un paio di metri avanti alle macchine in coda.  Impariamo a segnalare in anticipo il nostro senso di marcia alzando il braccio nella direzione che vogliamo prendere e facciamo attenzione agli sportelli dei veicoli parcheggiati che potrebbero aprirsi all’improvviso. Quando piove le nostre ruote possono imbattersi in elementi scivolosi come pietre e foglie. Rendersi visibili, oltre che obbligatorio, è un’altra regola salva vita.