Ospiti e padroni di casa

Una “ciclopedonale” è uno spazio pedonale in cui è consentito il passaggio delle bici: il ciclista è un ospite che è costretto, giustamente, a scendere dal mezzo nel caso in cui dovesse essere di intralcio per i pedoni.

Come dice il proverbio, gli ospiti sono graditi se le loro visite non sono troppo frequenti e le loro permanenze brevi: infatti anche le ciclopedonali “possono essere realizzate esclusivamente in caso di traffico pedonale ridotto e in assenza di poli attrattori, quali attività commerciali e insediamenti abitativi ad alta densità” (art. 4 DM 30/11/1999 n°557).

In molti paesi europei la problematica coabitazione sul marciapiede tra il pedone ed il ciclista è stata risolta spostando i ciclisti in carreggiata con le “strade a priorità ciclabile” dove tutta la sezione stradale è riservata alle bici e sono le auto ad essere ospiti: con la stessa logica delle ciclopedonali, il soggetto più debole ha il diritto di occupare la strada e il più forte si accoda, senza poter effettuare pericolose manovre di sorpasso.

Si ottengono due effetti: ai pedoni si restituisce un ampio spazio riservato e sicuro e i ciclisti possono pedalare in comode carreggiate dove la velocità delle auto è al massimo quella della bici che le precede.

Le “strade urbane ciclabili” sono state introdotte in Italia dal Codice della Strada nel 2020, ma a Modena non ne abbiamo, mentre vediamo ancora realizzare ciclopedonali, in deroga a disposizioni decennali. Così, le bici continuano ad essere ospiti scomode sulle ciclopedonali e sono trattate da ospiti indesiderate pure se si spostano sulla carreggiata.

Vogliamo darglielo finalmente uno spazio dove sentirsi a casa a queste povere biciclette?

Per chi sono fatte le strade?

La risposta istintiva è: “per le auto!”. Siamo abituati a pensare che pedoni e ciclisti debbano avere percorsi separati, e che le strade debbano essere progettate per rendere più fluido possibile il traffico automobilistico. E’ una delle due correnti di pensiero nella pianificazione della mobilità, ed è quella dominante in Italia tra amministratori e tecnici.

A cosa ha portato questa corrente di pensiero?

A spazi e percorsi molto ridotti per chi cammina o va in bici, compressi nelle ciclopedonali. A un numero di vittime inaccettabili per un paese civile, perché chi guida, abituato che la strada è solo a sua disposizione, non si accorge degli altri. 33 vittime della strada in provincia di Modena nel 2021, di cui un terzo pedoni e ciclisti. A velocità di guida da rally sempre che non si sia imbottigliati nel traffico, auto in sosta ovunque (anche dove non consentito), stress rabbia e frustrazione quotidiani.

Altrove, dove si sono azzerate le vittime, dove persino chi guida è contento (come in Olanda), la corrente di pensiero prevalente prevede la condivisione sistematica della strada come spazio pubblico tra bici, auto, pedoni, e la moderazione rigorosa delle velocità.

Se non siamo masochisti, la direzione da prendere è chiara.

Occhio alle zebre

Quando la violenza stradale miete vittime a piedi, magari pure anziane, che attraversano sulle strisce pedonali, è una sconfitta per tutti.

Una maggiore attenzione ai pedoni sugli attraversamenti viene imposta agli automobilisti nella recentissima legge di conversione del decreto infrastrutture (legge n. 156/2021), che stabilisce: “Quando il traffico non è regolato da agenti o da semafori, i conducenti devono dare la precedenza, rallentando gradualmente e fermandosi, ai pedoni che transitano sugli attraversamenti pedonali o si trovano nelle loro immediate prossimità.” In teoria nessun automobilista può più dire “eh, ma il pedone si è lanciato sulle strisce pedonali”: le auto dovranno comunque rallentare anche quando vedono un pedone vicino alle strisce che potrebbe voler attraversare.

Nella pratica, questo è possibile solo se l’automobilista viaggia già a velocità ridotta e ha il tempo: 1. di accorgersi del pedone vicino alle strisce, perchè più si va veloci e più si restringe il campo visivo, e 2. di fermarsi. In Regno Unito, per addestrare questa attenzione, l’esame per la patente include una prova con un video che simula una guida, in cui si deve premere un pulsante ogni volta che si intravede un potenziale pericolo – come un pedone che si avvicina a un attraversamento.

Ben vengano dunque le campagne della Polizia Municipale una tantum a controllare il rispetto delle strisce pedonali, ma una soluzione strutturale di lunga durata comporta rendere gli attraversamenti più visibili e protetti e abbassare (e controllare) i limiti di velocità a 30 km/h nei centri abitati. Un rallentamento che allunga la vita.

Basta cantieri e tavolini sui marciapiedi

La Fiab osserva che le ciclabili e i marciapiedi di Modena sono diventate una risorsa incredibile di spazio per altri usi: la sosta breve (solo 5 minutini) per corrieri e cittadini frettolosi, zona libera per informazioni commerciali abusive e per fioriere, sede di distributori di bevande e tabacchi, luogo per tavolini e sgabelli.

Se poi si aggiungono cantieri che occupano pedonali e ciclabili, si appone il cartello di “pedoni e ciclisti dall’altra parte della strada”, senza l’attraversamento stradale sicuro e senza accertarsi che dall’altra parte della strada ci sia lo spazio per ciclisti e pedoni. Soprattutto non si tiene conto delle persone che si muovono in carrozzina o che hanno difficoltà visive.

E’ quanto succede in questi giorni in Via Berengario, dove i marciapiedi sono già ingombri di cartelli pubblicitari, tavolini e sgabelli temporanei dei bar, distributori automatici e ora ospita anche un cantiere che interrompe tutti i percorsi, eccetto quello per le auto.

La Fiab è favorevole allo sviluppo dei servizi, all’incontro dei cittadini sul suolo pubblico, e naturalmente ai lavori di manutenzione agli edifici, ma ha chiesto nell’incontro del 28 aprile scorso col Comune di Modena, che non venga fatto a spese dei pedoni e ciclisti, autorizzando l’occupazione dei percorsi solo in presenza di alternative sicure.

Tuttavia, nonostante le loro rassicurazioni, questo ancora non avviene.

I paesi seri tracciano percorsi alternativi temporanei, ricavando spazio dalla carreggiata stradale e dagli spazi di sosta ed evitano che i pedoni e i ciclisti siano le vittime di queste occupazioni.

E’ un obbligo di legge ed è un impegno assunto dal Comune nel Piano urbano della Mobilità Sostenibile, recentemente approvato, che parla di “ambiente pedonale sicuro” di “accessibilità universale” e di “attenzione generalizzata alla progettazione di spazi e percorsi universalmente accessibili” proponendo la figura del “disability manager”.

La FIAB rinnova l’invito al Comune a vigilare sulla occupazione abusiva dello spazio pubblico e a una migliore organizzazione dei cantieri, offrendo a ciclisti e pedoni vie alternative sicure, soprattutto se non vedenti o in carrozzina.

Corrieri in cargobike

La tendenza già consolidata a fare acquisti online è stata accentuata dalla pandemia Covid e ha fatto esplodere le consegne a domicilio. Nelle città, il traffico e la ricerca del parcheggio sono un problema per i furgoni dei corrieri, che a loro volta costituiscono un elemento di disturbo anche dal punto di vista estetico: basta pensare a quanti se ne vedono in un mattino qualunque in sosta per consegne in via Emilia centro e nelle laterali.

Secondo l’Università di Westminster, una soluzione c’è e ha due ruote: sono le bici cargo elettriche, che sono più agili nel traffico, più convenienti dal punto di vista economico, meno inquinanti e meno visivamente impattanti. In uno studio pubblicato nelle scorse settimane i ricercatori hanno usato i dati GPS della compagnia di cargobike elettriche PedalMe, che opera in un raggio di nove miglia dal centro di Londra. Nei 100 giorni scelti a caso nel corso di un anno, le bici cargo sono risultate più efficienti dei furgoni del 60%, con 10 pacchi consegnati all’ora contro 6: questo perché non risentono delle congestioni, possono prendere scorciatoie e arrivano fin sotto casa del cliente.

Le bici inoltre hanno emissioni di CO2 inferiori del 90% rispetto ai furgoni diesel e del 35% rispetto ai furgoni elettrici: le consegne effettuate da PedalMe nel periodo considerato hanno risparmiato circa quattro tonnellate di CO2. Con costi ridottissimi se si pensa che 150 bici cargo elettriche possono essere ricaricate con la stessa energia che serve per ricaricare la batteria di un SUV.

Un’opportunità interessante da valutare anche per i corrieri nostrani, che per una volta combina economia ed ecologia.

Via Panni in panne

Nei giorni scorsi Claudio Borsari, Andrea Cavani, Giulio Orsini, Silvia Sitton, Federico Zanfi, in qualità di professionisti e studiosi impegnati a vario titolo in progetti che riguardano la città, si sono interrogati sulla complicata questione della intersezione tra la linea ferroviaria Modena-Sassuolo e via Panni.

Abbiamo letto con interesse la loro lettera indirizzata al Sindaco ed all’Assessore competente: certamente l’introduzione di una variante tecnologica ai sistemi di segnalamento con un ripensamento del tracciato e delle funzioni della attuale ferrovia Modena-Sassuolo fa risaltare quanto siano perlomeno ridondanti le soluzioni proposte dall’Amministrazione. Da questo punto di vista aderiamo e sottoscriviamo l’appello, al quale ci permettiamo di aggiungere il tema di un trasporto pubblico a salvaguardia e sviluppo dell’intermodalità treno+bici, ad oggi garantita quasi solo sul trasporto ferroviario.

Pensiamo che nella discussione con l’Amministrazione, AMO e FER sia necessario partire da quanto sia totalmente non più sostenibile la quantità di veicoli privati che quotidianamente sia la città che il territorio della provincia debbano sopportare.

Come ben sappiamo, abbiamo un rapporto di 640 auto per 1000 abitanti ma se si escludono i cittadini sotto i 18 anni e quelli sopra gli 80 probabilmente siamo bel al di sopra di ogni media nazionale o europea senza contare che nel biennio 2016-2018 il tasso di motorizzazione è aumentato dell’1,6%. Gli effetti negativi di tale abnorme motorizzazione (addirittura in aumento) sono a tutti noti, ma nella pianificazione del trasporto pubblico, sia esso su gomma o su ferro non entrano mai, come nel caso sovrappasso/sottopasso, minimamente in considerazione. E ci meraviglia che tali opere siano considerate prioritarie se non cantierabili già entro la fine dell’anno come asserito recentemente dal Sindaco. Che dimostra che, come abbiamo sempre sostenuto, nel PUMS l’unica cosa certa sono tempi e denari per le infrastrutture automobilistiche. Ad esempio, la soluzione di un passaggio sicuro per i ciclisti sul cavalcavia Mazzoni, che aspetta una risposta da oltre 30 anni, può attendere tranquillamente un altro decennio.

Invece di pensare sempre a come fluidificare il traffico con sovra e sottopassi, rotonde, svincoli, complanari e tangenziali che semplicemente spostano il problema all’incrocio ed al lustro successivo, sarebbe ora di iniziare a scoraggiasse l’uso dell’auto privata in favore del trasporto pubblico e del trasporto non motorizzato: forse non ci sarebbe bisogno di questa ulteriore cesura del territorio, viste le attuale frequenze del Gigetto, con molte meno auto in attesa ai passaggi a livello su Via Panni e Via Morane.

Sorprende che tali opere siano talmente urgenti da non aspettare nemmeno le conclusioni dello studio di fattibilità commissionato di recente da AMO che dovrebbe essere pronto entro il prossimo Novembre. Quindi o il progetto commissionato è già stato consegnato, è noto ai committenti e quindi anche al Sindaco, oppure si è deciso che si debbano fare a prescindere senza un progetto sul futuro di questa iconica ferrovia che potrebbe avere un ruolo ben più incisivo nella mobilità complessiva della Provincia di Modena. In quest’ultimo caso ci si chiede allora perché spendere soldi su uno studio di fattibilità quando tutto è deciso in altra sede.

C’è rumore e rumore

In questa settimana siamo stati colpiti da tre casi di lamentele di cittadini a causa del rumore: a Baggiovara i residenti sono sul piede di guerra contro i nuovi campi da padel della Polisportiva, e mentre i cittadini che abitano nelle vicinanze della ferrovia Modena Sassuolo lamentano che i freni del nuovo Pop sono insopportabili, a Carpi i residenti del centro storico hanno applaudito alla decisione del Comune di chiudere alla mezzanotte l’attività dei dehors all’aperto.

Proprio perché il giusto livello di silenzio è un parametro importante della qualità di vita e della civile convivenza, siamo andati a vedere cosa genera inquinamento acustico nella nostra città.

A leggere la Relazione della mappatura acustica del Comune di Modena realizzata nel 2018 da Arpae “se consideriamo le soglie da non superare raccomandate a livello internazionale, fissate in un valore di 65 dB di giorno e 55 dB di notte, le persone esposte sono pari rispettivamente a circa il 24% e il 28% della popolazione residente. La sorgente sonora prevalente a Modena è costituita dal traffico veicolare, responsabile per il 92% dell’esposizione della popolazione a livelli superiori a 55 dB e per il 87% dell’esposizione a livelli superiori a 50 dB.”

Il traffico è quindi responsabile giorno e notte per il 90% circa del rumore fuori soglia: una evidenza che non aveva bisogno di uno studio perché sappiamo benissimo quante persone che vivono in strade trafficate sono costrette a chiudere le finestre per poter respirare, parlare, vivere.

C’è un evidente squilibrio tra le singole proteste che emergono e la realtà dei fatti: è il risultato di decenni di rumore di fondo automobilistico a cui ci siamo ormai assuefatti. Modelli di città autocentriche hanno creato disastri sociali nelle relazioni sociali ed economiche, nonché evidenze di inquinamento acustico, ambientali e volumetrico ormai incontrovertibili.

Permettere a tutti di muoversi e parcheggiare in auto sempre e comunque non è ragionevole: a quando una politica che affermi pubblicamente questa scomoda verità invece di rincorrere la salvaguardia di pochi parcheggi in ogni dove?

Corsia Ciclabile Via Emilia Ovest

Comunicato Stampa

Con soddisfazione iniziamo a vedere anche a Modena le nuove corsie ciclabili monodirezionali, previste dalle nuove disposizioni del Codice della strada. Riteniamo che siano una opzione molto utile per incrementare gli spazi ciclabili, ma vanno realizzate con buonsenso perché devono essere facilmente comprensibili dai cittadini, supportate anche da campagne di informazione alla cittadinanza.

Essendo strutture disegnate solo con segnaletica orizzontale compaiono spesso nel giro di una notte, ed al momento della loro tracciatura a volte invece sembra che il buonsenso sia rimasto nel cassetto.

È il caso di via Emilia Ovest dove il percorso della corsia ciclabile è fatto come prescritto dalle nuove normative, ma purtroppo ci si è scordati di sistemare alcuni parcheggi che sono rimasti “a spina di pesce”: in questo modo si mettono in grossa difficoltà gli automobilisti nella manovra di uscita, perché coperti da altre auto non possono vedere i ciclisti in arrivo con il concreto rischio di creare situazioni di pericolo.

Tutte le linee guida di progettazione ciclabile consigliano che eventuali parcheggi alla destra di una corsia ciclabile in carreggiata siano in asse con la direzione di percorrenza e che ci sia una zona franca di almeno 50 cm per poter aprire la portiera, proprio per minimizzare il conflitto inevitabile tra l’auto in manovra ed il ciclista in corsia.

L’unica controindicazione di questa soluzione è che vengono a mancare alcuni posteggi: dai nostri sopralluoghi in quel breve tratto iniziale di via Emilia abbiamo valutato una perdita di tre, massimo quattro posti auto. Ci sembra un “costo” accettabile se guardiamo ai vantaggi di avere una corsia ciclabile più sicura e maggior spazio pedonale davanti alle attività economiche ed alle abitazioni.

La normativa che istituisce le “corsie ciclabili” le ha previste espressamente molto facili da inserire nel tessuto urbano: poca segnaletica, nessuna misura minima di carreggiata, nessun vincolo per presenza di parcheggi o fermate autobus. Non per questo però vanno fatte “alla leggera”, e se fossimo stati consultati preventivamente avremmo sicuramente dato qualche consiglio: inserimento di misure di moderazione della velocità, uso di vernici durevoli, allineamento dei parcheggi.

Poteva essere l’occasione per rivedere complessivamente l’organizzazione degli spazi delle strade interessate, speriamo almeno che essendo un intervento a basso costo sia possibile correggere subito alcune scelte discutibili. A breve faremo le necessarie segnalazioni al Comune.

Follonica è il primo comune ad associarsi a CIAB

Follonica, 21131 abitanti, in provincia di Grosseto, è il primo comune ad associarsi a CIAB, il Club delle Imprese Amiche della Bicicletta.

CIAB raggruppa un centinaio di soggetti, privati e pubblici, che negli anni si sono scambiati best practice per migliorare uno degli asset chiave della mobilità urbana, il bike to work. «Il fatto che Follonica sia la prima amministrazione pubblica ad aderire dimostra che CIAB può essere davvero un contenitore di esperienze per far crescere gli spostamenti casa lavoro in bicicletta», ci ha spiegato Antonio Dalla Venezia, presidente CIAB. Quasi dieci anni fa l’associazione era nata per far fronte ad una lacuna nel sistema normativo italiano, dove non veniva riconosciuto l’infortunio in itinere per chi pedalava verso l’ufficio.

L’adesione al CIAB ha permesso ai dipendenti, ai titolari e ai soci gli stessi vantaggi di cui godono gli associati FIAB: copertura Responsabilità Civile per danni a terzi nei loro spostamenti in bici, in tutta Europa. Inoltre da sempre le società e gli operatori cicloturistici possono assicurare anche i loro clienti; e in caso di danni subiti e non liquidati, il dipendente di un’azienda Ciab gode di un patronato gratuito che lo guida alle procedure per la difesa dei propri diritti.

“Follonica – dichiara l’assessora alla mobilità Mirjam Giorgieri – che già fa parte di Comuni Ciclabili, aderendo a CIAB vuole sottolineare, una volta di più quanto sia strategico investire su un modello di sviluppo sostenibile che parta dai bisogni delle persone e su esse costruisca un tessuto cittadino condiviso.”

Rovesciare la piramide

In questi giorni in città si è tornato a vivacizzare il confronto sul modello di mobilità che vorremmo, alimentato dal fatto che le cugine Reggio e Bologna hanno candidato al Recovery Plan ambiziosi progetti per il trasporto pubblico. Modena invece sembra ferma ancora alle dichiarazioni di principio di un PUMS poco coraggioso, con risorse incerte e tempi biblici.

Non sappiamo se per Modena sia meglio una metrotranvia o un BRT: quello che ci sembra di poter dire è che queste opere devono essere a completamento ed integrazione di un sistema di mobilità più sostenibile che inverta la piramide “prima auto poi il TPL, la bici ed infine pedoni”.

Si potrebbe intanto da subito iniziare nei quartieri con investimenti sostanziali sulla riqualificazione dello spazio pubblico, ricavando spazi per la pedonalità e la ciclabilità con un rapido processo di eliminazione dei parcheggi a bordo strada, con la riduzione delle ampie carreggiate stradali e l’imposizione del limite generalizzato a 30km/h nelle zone residenziali, per disincentivare il traffico di attraversamento.

Una volta messe le basi per una mobilità di vicinato sicura per tutte le persone da 8 a 80 anni, potrà arrivare come naturale completamento l’innesto di un modello di trasporto pubblico moderno ed attraente, fatto di corsie prioritarie, orari frequenti ed estesi su tutta la giornata, mezzi facilmente accessibili con monopattini e bici, ampie pensiline accoglienti e con servizi informativi puntuali sui tempi di percorrenza e biglietti.

Visto che colpevolmente ci siamo presentati al momento cruciale avendo rimandato tutte le scelte, e che, se tutto va bene, un nuovo TPL moderno lo vedremo solo tra diversi anni, nel frattempo possiamo prepararci iniziando a rendere accoglienti e sicuri almeno i quartieri in cui viviamo.