A qualcuno piace il caldo: retaggi del passato e visioni distorte del futuro, dove sta davvero il progresso?

Quella che in cui siamo appena entrati probabilmente sarà, dicono i meteorologi, l’estate più calda di sempre (almeno da quando si è cominciato a raccogliere i dati sulle temperature): più calda dal 2003, con una siccità già potenzialmente devastante, ghiacciai mezzi sciolti, i nostri fiumi ridotti a rigagnoli, restrizioni sull’irrigazione dei campi e inviti a non sprecare l’acqua. Un caldo e una siccità “eccezionali”? Per nulla: abituiamoci, è la nuova normalità. L’estate più calda di sempre, ma più fresca di quelle che verranno, dicono i climatologi: e sarà sempre peggio se si continua ad affrontare il problema consigliando di accorciare i tempi delle docce anzichè accettare che siamo di fronte a una sfida epocale contro un cambiamento climatico che non si lascia più ignorare.

Qualcuno che abbia parlato di una potenziale “emergenza sanitaria” se la situazione delle riserve acquifere continua così? Cabine di regia straordinarie, piani strategici che affrontino il problema nelle sue tante dimensioni?

Macché. La cementificazione causa ulteriore ritenzione di calore, dilavamento delle acque piovane e perdita della funzione regolatrice del suolo? La cultura dell’abuso dell’auto privata comporta un consumo sproporzionato di combustibile per spostare una persona sola (oltre a creare congestione, rumore ecc.)? Benissimo, cosa c’è di meglio e di più lungimirante che ampliare l’autodromo, con un annesso parcheggio che, in nome del progresso, cementifica un’estensione pari a ospitare 1500 posti auto, su una falda acquifera? Altrove in provincia sono in ballo progetti analoghi: per esempio, un polo logistico da 8 ettari a Nonantola, già attanagliata dal traffico pendolare.

“C’è chi guarda al passato”, si è risposto alle critiche. Eh no, cari, siete voi che guardate al passato: noi pretendiamo un futuro dove i nostri figli possano prosperare, il suolo sia protetto per gli incommensurabili servizi ecosistemici che offre, l’acqua trattata come un bene primario senza il quale non si sopravvive, le auto private siano ridotte a scelta residuale da politiche serie di incentivo ai mezzi pubblici e di incoraggiamento e tutela di chi può scegliere la bici o una bella passeggiata per spostarsi sui tragitti casa-lavoro-scuola-spesa. Un futuro vivibile non può darsi, l’ha detto anche l’ONU a marzo, senza un aumento dell’uso della bicicletta, che è parte integrante delle strategie di lotta al cambiamento climatico ma anche di miglioramento della qualità della vita urbana.

Questo è il futuro a cui guardare.

La bicicletta è centrale nelle strategie turistiche

«Andare in bici non è fare ciclismo, perché la bicicletta è un mezzo di trasporto e, come tale, si colloca all’interno di tutte le tematiche di cambiamento climatico, inquinamento, tutela dell’ambiente, congestione del traffico, sicurezza». Antonio Dalla Venezia, referente FIAB per il progetto Bicitalia, ha spiegato in questi termini l’approccio che istituzioni, politica, aziende e in generale l’opinione pubblica dovrebbero assumere di fronte alla mobilità ciclistica.

Secondo i dati più aggiornati il numero degli italiani interessati al cicloturismo è pari a 8 milioni, circa il 16% della popolazione maggiorenne. «Fino al 2019 il mercato internazionale rappresentava il 70% del cicloturismo in Italia mentre, oggi, siamo a un 50/50 – secondo Maria Elena Rossi, direttore marketing e promozione di ENIT – e la promozione dei territori italiani deve essere rivista in chiave cicloturistica». Se qualcuno ha viaggiato in autostrada in queste settimane, avrà notato che ormai una grande maggioranza di auto caricano le bici al seguito: perché non c’è solo la vacanza in bici, ma ormai quasi tutte le vacanze integrano esperienze attive che i cittadini vogliono fare in bici.

Dal Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili filtrano notizie secondo cui l’atteso Piano Nazionale per la Mobilità Ciclistica dovrebbe finalmente essere approvato entro metà settembre. Si tratta di uno strumento fondamentale (ad esempio la Spagna lo ha già adottato) per costruire progetti e programmi per lo sviluppo della mobilità quotidiana in bicicletta e per la realizzazione della rete nazionale di percorribilità ciclistica, per la quale è stato scelto di utilizzare, come punto di partenza, la rete Bicitalia di FIAB, già mappata negli anni da nostri volontari e tecnici.

Tema chiave quando si parla di cicloturismo è quello dell’intermodalità bici+treno. I passi avanti ci sono in Italia, come dimostra anche il rinnovo completo dei treni regionali dell’ Emilia Romagna, ma ancora molto deve essere fatto, come l’estensione a tutte le regioni e la possibilità di carico sugli autobus.

Qualsiasi siano le vostre capacità ed esperienze, sono tantissime le escursioni e le gite in bicicletta verso le cascine dietro casa, nei parchi regionali, lungo l’argine di un fiume o sulle ciclabili alla scoperta di piccoli borghi e bellezze artistiche e naturali.

Mobilità provinciale: improvvisazioni sul tema

Settimane sconfortanti per la mobilità nella nostra provincia.

Da giugno Gigetto sarà sospeso per un anno tra Formigine e Sassuolo per la costruzione del sovrappasso sulla pedemontana: sarà sostituito da autobus ma è stato confermato che non ci sarà la possibilità di portarsi dietro la bici (come si poteva fare in ferrovia). Un servizio più lento, con cambi di mezzo e con buona pace dell’ intermodalità, che facilmente indurrà parte dei passeggeri a passare all’auto privata. I disagi sono inevitabili, perché non rendere gratuito l’abbonamento nel periodo dei lavori?

A Nonantola è prevista la chiusura per qualche settimana del sottopasso scatolare della SP255 su via Maestra di Bagazzano (strada secondaria che la mattina è intasata di traffico perché viene usata dagli automobilisti come bypass della Nonantolana), e allo stesso tempo ANAS ha annunciato lavori sul Ponte di Sant’Ambrogio che sembravano prospettarne la chiusura per 6 mesi dal 1 luglio, con un conseguente, devastante aggravamento di traffico su Vignolese e Nonantolana.

Pare ora che il ponte non chiuderà: almeno non tutto, almeno non subito, ma lascia sgomenti la mancanza di coordinamento, di qualsiasi analisi sugli impatti sul traffico e di pianificazione di soluzioni alternative. FIAB ha invitato le parti in causa a considerare seriamente l’opzione di un ponte Bailey che nell’immediato permetterebbe di non interrompere il transito, e un domani diventerebbe il tassello mancante della pista ciclabile Castelfranco-Modena lungo la via Emilia. Al contempo si potrebbe dare un incentivo forte all’utilizzo del treno, con abbonamenti gratuiti sulla tratta, per alleggerire il traffico automobilistico (al momento un abbonamento mensile costa 39 euro, 5 euro invece per una corsa andata-ritorno per un adulto). Finora nessun riscontro ufficiale.

Improvvisazione? “Altre priorità” che rendono la mobilità un tema di “serie b”? E non diteci che non ci sono soldi. In Germania per contrastare il caro-carburanti e l’inquinamento è stato inaugurato un abbonamento mensile che copre tutto il trasporto pubblico locale su tutto il territorio nazionale a 9 euro, per i 3 mesi d’estate: treni locali, bus, tram, traghetti, metro. Meno di due viaggi andata ritorno Modena-Castelfranco o Modena-Carpi: qui da noi sembra fantascienza. Investimento del governo tedesco: 2 miliardi di euro. Gli stessi 2 miliardi di euro di “ecobonus” che il nostro governo ha destinato a finanziare l’acquisto di automobili. I soldi ci sono, ma vengono spesi malissimo. Qui è la visione che manca.

Strade scolastiche: indispensabili, da subito

Dal 2020 è stata introdotta nel Codice della Strada la “zona scolastica” (art. 3 comma 58-bis del CdS): è sufficiente che il Sindaco emetta un provvedimento limitativo della circolazione, sosta o fermata di tutte o di alcune categorie di veicoli (art. 7 comma 11 bis del CdS).

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La settimana scorsa a L’Aquila un’automobile incustodita ha sfondato la recinzione di una scuola materna, uccidendo un bambino e ferendone altri cinque. È la norma davanti agli istituti scolastici di tutta Italia: mezzi a motore che sostano (spesso in doppia fila) o sfrecciano di fronte agli ingressi delle scuole di ogni ordine e grado, creando pericolo, inquinamento e cattiva educazione stradale.

Ancora una volta si sarebbe potuto evitare.

Dal 2020 infatti è stata introdotta nel Codice della Strada la “zona scolastica”: un’area in prossimità della scuola, in cui è garantita una “particolare protezione dei pedoni e dell’ambiente” (art. 3 comma 58-bis del CdS). Per istituire una strada scolastica è sufficiente che il Sindaco emetta un provvedimento limitativo della circolazione, sosta o fermata di tutte o di alcune categorie di veicoli (art. 7 comma 11 bis del CdS).

Sono trascorsi due anni dall’introduzione delle strade scolastiche nel Codice della Strada, ma questo provvedimento è stato adottato solo da poche decine di comuni su un totale di oltre 8.000. Si tratta di un numero irrisorio a fronte del valore in termini di sicurezza e salute per i nostri bambini. L’inerzia da parte dei Comuni nell’istituirle ha purtroppo conseguenze molto pesanti: la tragedia di ieri è solo l’ultimo episodio sconvolgente di uno stile di mobilità non più accettabile, non più sostenibile.

Leggiamo messaggi di cordoglio da parte di Parlamentari, Presidenti di Regione e Sindaci.

Il cordoglio non basta. Si vada oltre.

Il Coordinamento Associazioni e Movimenti Ambientalisti per la Mobilità Attiva e Sostenibile chiede che i Sindaci colmino il ritardo accumulato in questi due anni, ed emettano, già da domani, divieti di transito e parcheggio ad auto e moto di fronte ad asili e scuole: bastano un’ordinanza, un cartello e una transenna. Chiediamo che i Dirigenti scolastici liberino da subito i cortili delle scuole dal parcheggio delle auto di personale e genitori, che sono un rischio quotidiano di tragedie e privano i più piccoli di spazi di gioco ed educazione all’aperto.

Chiediamo poi che il Parlamento renda obbligatoria l’istituzione delle zone scolastiche davanti a ogni istituto, con chiusura al traffico e alla sosta delle macchine come minimo negli orari di entrata e uscita degli alunni mediante barriere fisiche: ci appelliamo ai Presidenti e Consiglieri di Regione perché facciano pressione a livello nazionale in questo senso.

Facciamolo per i nostri bambini.

Chiedi strade e parcheggi: otterrai auto e traffico

Negli ultimi giorni sui giornali locali hanno trovato ampio spazio le notizie dedicate alla invasività e pericolosità delle attuali e future strade modenesi: mentre alla Sacca continua il dibattito sull’incremento previsto del traffico pesante, il nuovo sottopasso di via Panni viene bocciato dai residenti, ed al Colombarone i cittadini dopo anni di lotte riescono a far installare gli autovelox.

Sembra che abbiamo finalmente preso coscienza come collettività che le auto in città sono la principale fonte di pericolo, inquinamento, rumore, e comportano una tale occupazione dello spazio da impedire ogni altra forma di mobilità e di vivibilità.

Peccato che dall’altro canto, con uguale veemenza, sempre i cittadini continuano a reclamare strade più larghe, sottopassi, svincoli, parcheggi. È la sindrome di Nimby (“Not in my back yard”, ossia “non nel mio giardino”): come residenti pretendiamo strade tranquille e verdi, ma quando viaggiamo vorremmo andare veloci e parcheggiare dappertutto.

Vero è che le strade in pochi decenni sono state trasformate da spazi di vita in spazi di transito che, data la velocità e l’intensità della presenza delle auto, uniscono persone lontane ma separano tra di loro i vicini di casa. Succederà anche nella zona Sud di Modena dove nuovi sottopassi e bretelline risulteranno comodi per chi transita, ma comporteranno nuove cesure per chi ci vive.

Il fatto è che se chiedi strade e parcheggi otterrai auto e traffico, se chiedi luoghi vivibili per le persone otterrai persone e una maggiore vivibilità.

Condividiamo al 100% le recenti osservazioni di Diego Lenzini quando ricorda che “le strade che oggi sono concepite solo per le auto, dovranno essere al servizio di tutti, auto, bici, pedoni e trasporto pubblico. In passato sono state fatte scelte poco coraggiose che hanno incentivato l’uso dell’auto (il 45% degli spostamenti a Modena sono sotto i 2,5km). I nostri quartieri devono tornare aree da vivere e non spazi in cui si rischia di essere investiti”.

Abbiamo bisogno di una politica coraggiosa che sappia fronteggiare la sindrome Nimby: a costo di qualche cambiamento di abitudini, è fondamentale che ci si schieri con decisione dalla parte dei cittadini che chiedono spazio per le persone e non per le loro auto. Chiarendo che l’unica alternativa sarebbero finte soluzioni poco lungimiranti, che spostano il problema del traffico 5 km (e 5 anni) più in là.

Il diritto di andare a lavorare in bici

Il 1 maggio è stato l’occasione per fermarsi e riflettere sul significato del lavoro, sul diritto a svolgerlo (qualsiasi lavoro) con la giusta e riconosciuta dignità e nelle condizioni di massima sicurezza possibili. Noi di FIAB da anni ci impegniamo perché questa stessa dignità e sicurezza vengano estese e garantite a chi sceglie, al lavoro, di andarci in bici.

Uno potrebbe pensare che abbiamo tutti il diritto di andare al lavoro col mezzo che riteniamo opportuno: in effetti, nessuno ce lo vieta, ma nei fatti questo diritto è davvero garantito? Le cronache di Modena e provincia evidenziano che tra le (troppe) vittime della violenza stradale non ci sono tanto ciclisti della domenica in tutine di lycra ma soprattutto pendolari in bicicletta. Provate poi a chiedere a un residente di Nonantola se si sente tutelato nel suo diritto di usare la bicicletta per andare a lavorare a Modena.

Il diritto di andare a lavorare in bici è negato nei fatti da un sistema perverso di mobilità in cui gli unici ad avere garantita la possibilità di spostarsi verso la loro sede di lavoro senza rischiare quotidianamente la vita sono le persone alla guida di un’auto. E’ un sistema che esclude: taglia perfidamente fuori chi non ha le capacità economiche per acquistare e mantenere un’auto, o chi non vorrebbe spendere a questo scopo una buona fetta del proprio stipendio. La rivista Ecological Economics ha stimato che, con 15.000 km percorsi all’anno, una utilitaria come una Opel Corsa viene a costare tra carburante e spese di mantenimento oltre 6700 euro l’anno: si va a lavorare per mantenere l’auto per poter andare a lavorare. Sensato, no?

Non solo, ma ad essere tagliati fuori sono anche tutti coloro che non hanno le capacità fisiche di guidare un’auto. Persone con una limitata mobilità agli arti, con uno o più arti mancanti, con problemi di equilibrio, persone affette da tetraplegia, paraplegia: per ognuna di queste categorie, il sito inglese Cyclescheme suggerisce una tipologia di bici. Secondo un sondaggio del Transport for London, il 70% delle persone con condizioni invalidanti alla guida di un’auto possono in realtà andare autonomamente in bici.

Tutelare il diritto ad andare in bici al lavoro esige una revisione radicale delle infrastrutture dedicate alla mobilità. Significa tutelare l’inclusione, l’ambiente, la salute individuale e pubblica, il benessere e il diritto all’autonomia e alla felicità.

Bici & Pace

Come nella Paciclica, la storica pedalata che da tutta Italia porta i ciclisti FIAB alla marcia della Pace da Perugia ad Assisi, quest’anno dal 22 al 25 aprile FIAB ha organizzato un viaggio in bici sui luoghi della Memoria legati alla Liberazione dal nazifascismo. Una pedalata di impegno civile con diversi itinerari che, partendo da Brescia, Cremona, Parma, Sarzana, Pontremoli, Milano, Modena, Reggio, Bologna, Ferrara e Forlì, hanno portato i gruppi a pedalare insieme su luoghi simbolo, da Casa Cervi alla Linea Gotica, Marzabotto, Carpi, Fossoli, Conselice, Alfonsine, Ravenna, Isola degli Spinaroni.

Da Modena siamo andati a visitare Casa Cervi, dove abbiamo partecipato al rito della pastasciutta antifascista, e poi abbiamo accompagnato un gruppo a Fossoli e Carpi. Ambientalismo e pacifismo sono nostri temi fondanti (tanto che la nostra sede è a Casa della Pace) e la bici è uno strumento che coniuga questi due argomenti, perché da sempre rappresenta un mezzo che permette alle persone di ampliare scambi economici e culturali, senza impattare negativamente sull’ambiente attraversato, rispettandone gli equilibri e la sicurezza.

Noi crediamo che questo mezzo debba tornare ad essere privilegiato non solo per scopi turistici e ricreativi, ma sostenuto nell’uso quotidiano per pacificare le nostre città, che sono da decenni ostaggio della violenza motoristica. Che si esprime con una incidentalità intollerabile, una occupazione totalitaria dello spazio che impedisce qualsiasi altra funzione pubblica, un inquinamento acustico ed ambientale che rendono invivibili gli spazi aperti.

Ci tocca riprendere il pensiero di Danilo Dolci (“il Ghandi italiano”) quando con il termine “omile”, (ovile umano) indicava la degenerazione della città in cui le persone non stanno davvero insieme, ma semplicemente si ammassano in un uno stesso luogo. La città diventa omile quando perde lo spazio pubblico, la democrazia vera, la gentilezza, la civiltà, la bellezza, la forza dei legami interpersonali. Insomma, la pace con l’ambiente ed il prossimo.

Ogni cittadino vi potrebbe indicare nella velocità ed aggressività delle auto una primaria fonte di conflitto e pericolo della vita in città. È ora di prendere atto che la mobilità attiva, oltre ad essere una risposta efficiente per quasi la metà degli spostamenti cittadini, è anche un eccellente modo di riportare pace e fiducia nei rapporti tra le persone. Non si può continuare a considerarla un fastidio a cui destinare spazi e risorse marginali.

Auto o condizionatore?

La soglia di Pm10 a Modena nel 2022 è già stata superata per 44 volte (un giorno su due) ed abbiamo già sforato il numero di giornate permesse in un anno. Nel 2021 la media annuale dei PM10 è stata oltre il doppio del limite massimo stabilito da OMS, mentre biossido di azoto e PM2,5 oltre il triplo. Secondo il World Air Quality Report nell’ultimo mese nella nostra città la qualità dell’aria è la settima peggiore al mondo, addirittura dietro a megalopoli come Dacca.

Le polveri sono un inquinamento che non si vede ma che crea gravi problemi alla salute soprattutto dei più piccoli, degli anziani e di chi già soffre di patologie cardio-respiratorie, spesso i nostri familiari più deboli a cui dedichiamo le cure maggiori. Non è una situazione nuova ma nessuno interviene in modo deciso; anzi, appena i valori giornalieri tornano nei limiti, vengono subito annullate le misure restrittive sul traffico.

Non è facile risolvere un problema decennale in pochi mesi, ma è ora almeno di iniziare a fare quello che è nelle nostre possibilità. Tra queste c’è sicuramente una revisione delle politiche sulla mobilità, visto che secondo i dati del PUMS l’ 83% dei tragitti in auto inizia e finisce nel comune di Modena e il 45% di questi è più corto di 2,5Km: basterebbero questi due numeri per capire che nell’immediato è necessario incidere per ridurre drasticamente il traffico automobilistico inutile.

Ed invece di blocchi del traffico giornalieri, si dovrebbero imporre misure permanenti come l’estensione del limite del 30kmh a tutte le zone residenziali: oltre a minor rumore ed inquinamento, favorirebbe anche la scelta dell’utilizzo della bici nei percorsi casa-scuola o casa-lavoro perché diminuendo la velocità del traffico aumenterebbe la sicurezza per ciclisti e pedoni, che è il primo motivo per cui le persone non camminano o non pedalano.

Oppure istituire il divieto di transito/parcheggio auto davanti alle scuole, dove i nostri ragazzi rimangono per tutto l’arco della giornata. Con un piccolo cambio di abitudini, accompagnarli a piedi od in bici potrebbe diventare una sana consuetudine anche per gli adulti.

Ognuno di noi, davanti al probabile razionamento delle fonti energetiche fossili deve iniziare a domandarsi quali comportamenti virtuosi tenere: cambiare la modalità di qualche spostamento quotidiano, oltre a non essere un grande sacrificio reale, ha anche il grande vantaggio che è sempre e comunque una scelta di pace. Anche per le nostre città.

Le ciclabili non le usa nessuno. Davvero?

“Se costruisci piste ciclabili, i ciclisti arriveranno”. L’urbanista danese Mikael Colville Andersen ci ricorda che questo è successo ovunque è stata costruita una infrastruttura ciclabile significativa.
 
Un esempio nostrano? A Milano il 21 novembre 2019 il 75% dei veicoli che transitavano lungo Corso Buenos Aires erano automobili e solo il 5% biciclette. Due anni dopo, con la nuova ciclabile, il 18 novembre 2021, il numero delle auto è crollato (58%) mentre le bici e monopattini sono schizzati al 21%. E tra le 6 e le 22 di un giorno feriale sono stati 6.471 (molto di più che nei giorni festivi). La conclusione è una sola: la ciclabile è ampiamente utilizzata da lavoratori e studenti.
 
Eppure, nei discorsi da bar social sentiamo dire che le ciclabili non le usa mai nessuno. Questo capita anche perché chi guida non considera che le bici occupano poco posto e che quando i cittadini pedalano in ciclabile sono fuori dal suo angolo visuale.
 
E’ quindi necessario contare gli effetti di una nuova infrastruttura per smontare questi (pre)giudizi. Prima e dopo la realizzazione bisogna sapere quante persone la percorrono, in che orari, quanti sono stati gli incidenti, quanto sono variate le vendite dei negozi prospicenti, quanto è aumentato il valore immobiliare degli appartamenti. Solo così si potranno avere argomenti inconfutabili per confermare le scelte, riproporle in nuovi ambiti o correggere ciò che non ha funzionato.
 
Ad esempio, dopo la realizzazione della ciclabile in via Giardini sono aumentati i ciclisti? O sono diminuiti i negozi? E le nuove corsie in Via Morane sono davvero così pericolose come vengono dipinte, o l’incidentalità è diminuita dopo la loro realizzazione? Sarebbe bene che l’Amministrazione si facesse forza con questi dati tangibili per comunicare ai cittadini gli effetti delle proprie scelte.
 
Le amministrazioni non dovrebbero ormai aver dubbi: fate infrastrutture ciclabili adeguate (non vecchie ciclopedonali anni 90 come continuiamo tristemente a vedere) e i ciclisti arriveranno. Così come il consenso elettorale, come hanno dimostrato tutte le città italiane e straniere in cui si è investito in ciclabilità e vivibilità pedonale.
 
Ed anche il fatto che per certe strade si contino pochi cittadini in bici non può essere usato come argomento per non fare investimenti. Se due città popolose fossero divise da un fiume, direste che un ponte non serve perché non ci sono mai persone che transitano sull’unica passerella tibetana esistente?

Pedalare è sentirsi vivi

Appena 11 anni dopo il lancio della prima bicicletta moderna nel 1885, Sir Arthur Conan Doyle scrisse in un articolo per Scientific American: “Quando il morale è basso, quando il giorno appare scuro, quando il lavoro diventa monotono, quando la speranza sembra a malapena degna di essere vissuta, basta salire in bicicletta ed uscire a fare un giro lungo la strada, senza pensare a nient’altro che al giro che stai facendo”. In questi giorni di eventi inquietanti, salire in sella e pedalare può essere davvero una strategia per ritrovare il proprio centro e il proprio equilibrio. Pedalando si sentono i muscoli delle gambe che si attivano, il cuore che pompa a un ritmo un po’ più sostenuto, il respiro che si coordina col ritmo dei pedali: si riprende il contatto con la propria dimensione fisica, corporea, e ci si sente consapevoli di sè stessi e intensamente vivi, al di là delle preoccupazioni e dell’ansia. Le endorfine che si liberano durante il movimento contribuiscono a dare una sensazione di benessere fisico e psicologico, mentre il regolarizzarsi di battito cardiaco, respiro e pedalata favoriscono uno stato mentale simile a quello che si raggiunge con la meditazione: si è presenti a sè stessi, i pensieri fluiscono in maniera più sciolta.

Pedalare tutti i giorni poi è un’esperienza liberatoria perché porta a riprendere coscienza delle condizioni atmosferiche e ad abbracciarle, anziché essere ostaggio del cattivo tempo e uscire solo con il sole (ma non troppo caldo!). Ci si rende conto che può essere inaspettatamente piacevole pedalare anche quando la pioggia batte fredda sulle mani e sul viso, perché anche questi stimoli sensoriali a cui non siamo più abituati fanno sentire vivi. E comunque, un buon equipaggiamento (giacche e pantaloni antipioggia, stivaletti impermeabili) aiuta a fronteggiare le intemperie con più serenità.

Pedalare porta a vedere, annusare, ascoltare, vivere di più la strada che si percorre. Non è solo uno scenario che scorre veloce dietro un vetro: ci si è dentro in pieno, si ha il tempo di assaporarlo. In città si possono salutare i bottegai con la mano mentre si passa, in campagna si sentono gli odori della fioritura primaverile, del fieno, del mosto in autunno, si traccia il passare delle settimane nel mutare dei fiori selvatici al bordo della strada. Il tragitto verso un luogo non è più un tempo sospeso in attesa di arrivare: è un tempo vissuto davvero. E nei momenti cupi è importante sentirsi “attaccati alla vita”, come scriveva Ungaretti.