Giornata del Bike to Work: consigli per aziende

Venerdì 16 settembre sarà giornata Bike To Work, siamo tutti invitati da Fiab a recarci al lavoro in bicicletta.

Affinché una campagna Bike to Work in azienda possa attuarsi con successo è consigliabile: installare rastrelliere custodite; meglio ancora prevedere parcheggi per le bici all’interno dell’azienda. Il lavoratore deve essere sicuro di ritrovare la bicicletta all’uscita del lavoro; questo permette anche l’utilizzo di biciclette di qualità migliore o di bici-elettriche che consentono di coprire distanze maggiori.

Allestire uno spazio adibito a spogliatoio/officina per chi ha necessità di cambiarsi prima del lavoro e assicurare qualche attrezzo per piccole manutenzioni.

Garantire una certa flessibilità nell’orario di entrata e uscita al lavoratore “ciclista”.

Le aziende, inoltre, possono offrire ai dipendenti, come incentivo, la polizza RC per spostamenti in bici. Un’interessante soluzione è l’adesione a CIAB-Club Imprese Amiche della Bicicletta che prevede la copertura assicurativa RC per tutti gli spostamenti in bici dei dipendenti. In alternativa, l’azienda può assicurare ciascun dipendente mediante il tesseramento individuale a FIAB, che include la copertura assicurativa RC Bici per danni a terzi provocati in bicicletta. Il tema della sicurezza è fondamentale e l’impegno di FIAB negli anni ha portato ad esempio, nel 2016, al riconoscimento INAIL dell’infortunio in itinere per chi sceglie di andare al lavoro in bicicletta.

Ma soprattutto verificare gli accessi al posto di lavoro; come sono i percorsi ciclabili in prossimità dell’azienda? Ci sono dei punti critici da risolvere? Ad esempio un attraversamento ciclo-pedonale non sicuro, un semaforo troppo lungo, divieti di parcheggio bici all’interno del cortile.

Offrire un servizio di consulenza sull’individuazione del percorso casa-lavoro (il più semplice, diretto e sicuro), anche utilizzando una app che consenta di memorizzare i percorsi casa-lavoro, conteggiare i km fatti in bici e relativo risparmio di CO2 e consumo di calorie.
Organizzare corsi di manutenzione bici e sicurezza, ma anche gite aziendali in bicicletta, o un gruppo ciclistico aziendale con divisa personalizzata (bella pubblicità!).

Individuare un responsabile della mobilità all’interno dell’azienda, in caso che non sia previsto il ruolo del mobility manager e somministrare ai lavoratori un questionario sugli spostamenti casa-lavoro per conoscerne meglio le esigenze, le abitudini di spostamento e trovare le giuste risposte.

Prevedere incentivi aziendali per l’acquisto di biciclette da parte dei singoli lavoratori o in gruppi di acquisto e, non ultimo, un incentivo economico in ore di permessi retribuiti o addirittura in busta paga, come quelli previsti dai progetti BikeToWork attivati dalla Regione Emila Romagna in collaborazione con le amministrazioni comunali.

Mobilità urbana in sicurezza e Zone Scolastiche

Fra pochi giorni riapriranno le scuole in tutta la provincia che per nove mesi all’anno, saranno i più grandi generatori di mobilità urbana. Con l’unica eccezione di una scuola media di Novi, la maggioranza di tutte le altre scuole non hanno o non sono state coinvolte dalle varie amministrazioni locali a piani e progetti di percorsi casa-scuola in sicurezza a piedi e/bici.

Le scuole, ogni giorno lavorativo, promuovono lo spostamento di migliaia di studenti, genitori, insegnanti e ausiliari. Una mobilità talmente prevedibile che tranne alcune variabili demografiche e nuove localizzazioni di plessi scolastici dovrebbe essere la più facile da gestire, programmare, comprendere e mettere in sicurezza. E invece no!

In Italia oltre i 2/3 degli studenti delle scuole dell’obbligo si reca quotidianamente a scuola in automobile rispetto agli anni ’80, quando oltre l’80% dei bambini andava a scuola a piedi o in bicicletta.

L’obbligo per gli insegnanti all’uscita da scuola di consegnare gli studenti ad un adulto (prevalentemente per le elementari) e la comodità per l’adulto accompagnatore sono le cause principali, ma la verità è il senso di pericolo nei percorsi casa-scuola dovuta alla sostenuta velocità in città. Il nuovo codice della strada ha previsto l’obbligo di istituire le Zone Scolastiche, in cui deve essere garantita una particolare protezione dei pedoni e ciclisti e dell’ambiente consentendo la facoltà di limitare o escludere nelle zone scolastiche urbane la circolazione, la sosta o la fermata di tutte o di alcune categorie di veicoli in orari e con modalità definite. Ovviamente tranne agli scuolabus, ai bus nonché ai titolari di contrassegno di disabilità.

La legge è in vigore dal 2021, ma non abbiamo visto una applicazione estesa della norma anche se (dice la legge) “chiunque violi gli obblighi, le limitazioni o i divieti previsti nelle zone scolastiche urbane è soggetto a sanzione amministrativa”. La sensazione è che anche per quest’anno non vengano istituite le zone scolastiche, che continueremo a vedere rodei di auto mattutini e pomeridiani davanti alle scuole e che l’anno prossimo sarà uguale. Sperando che non scappi il freno a mano e qualcuno si faccia male.

Quando invece più pedoni e ciclisti (e trasporto pubblico) nei percorsi casa – scuola aumenterebbe la sicurezza stradale in maniera più che proporzionale, rasserenando i genitori, rendendo più autonomi i ragazzi e le ragazze, al loro benessere psicofisico, consumando meno gas climalteranti e combustibili fossili.

Più bici, più felici

Tante ragioni per pedalare (anche quando piove)

Perché andare in bici? Perché non si dipende dalle condizioni del traffico e si può contare su tempi di arrivo affidabili. Perchè si può arrivare esattamente dove si ha necessità di arrivare senza problemi di ZTL. Perché si trova agilmente parcheggio. Perché si risparmia sui costi del carburante. Perché anche la manutenzione di base si può facilmente imparare a farsela da soli (che dà soddisfazione e di nuovo fa risparmiare). Perché non c’è il bollo da pagare e anche l’assicurazione, che non è obbligatoria ma sempre una buona idea, costa molto meno di quella di un’auto. Perché mette i muscoli in movimento e fa sentire più in forma. Perché integra il movimento nella vita quotidiana senza bisogno di iscriversi in palestra. Perché tonifica il cuore e la circolazione sanguigna e allena il respiro senza gravare sulle articolazioni. Perché migliora la salute generale e fa ammalare di meno. Perché brucia calorie e aiuta a mantenere un peso corretto senza doversi mettere a dieta. Perché libera endorfine che mettono di buonumore. Perché pedalare libera la mente e schiarisce le idee. Perché é una forma di meditazione. Perché poi a scuola o al lavoro ci si concentra meglio. Perché non ci si stressa negli ingorghi. Perché si ha più tempo per guardarsi intorno e apprezzare le bellezze della campagna e della città, ma anche le vetrine dei negozi. Perché se in una vetrina si vede qualcosa che ci piace, ci si può fermare nell’immediata prossimità del negozio per acquistarlo. Perché aiuta il commercio locale e rende più viva la nostra città. Perché si prende il sole in faccia. Perché si sentono meglio i profumi: dei tigli in fiore, dell’erba tagliata nel parchetto vicino, dei croissant della pasticceria… Perché nel cambiamento di luce, di temperatura sulla pelle, di odori, ci si rende conto con più consapevolezza del passare delle stagioni. Perché non emette alcun fetore (salvo se si sono mangiati troppi fagioli) e non si ammorba l’aria nemmeno con le polveri sottili. Perché si scivola silenziosi senza fare rumore. Perché è un modo di spostarsi gentile e democratico, accessibile a tutti: bambini e anziani, ricchi e poveri, sportivi e diversamente abili. Perché con l’equipaggiamento giusto anche la pioggia è un’avventura. Perché non contribuisce alle emissioni che alterano pesantemente il clima. Per tutte queste ragioni, scientificamente provate, e molte altre: provare per credere, non tornerete più indietro, perché in bici si è più felici.

Che fastidio quelle bici in strada: perché le campagne contro chi pedala sono pericolose

“Ciclisti irriverenti e indisciplinati” in un “quadro piuttosto allarmante”, si leggeva qualche giorno fa nell’edizione milanese di un noto quotidiano nazionale. “Pedalatori che incuranti dei rischi, per loro e per gli altri, cambiano direzione senza guardare minimamente se alle loro spalle sopraggiunge qualche veicolo, […] se ne fregano egregiamente dei colori del semaforo o imboccano contromano qualsiasi strada. Per non parlare poi dei ciclisti in gruppo che invece di procedere in fila indiana come prevede il Codice della Strada, pedalano compatti su 4 o 5 file manco fossero alla volata finale del Giro d’Italia.” Quadro allarmante? In Italia sono 2 o 3 l’anno le morti causate da ciclisti, contro le oltre 3000 causate da mezzi motorizzati. Dove sta l’allarme?

L’obbligo di procedere in fila indiana è stato recentemente anche al centro della discussa campagna di una sezione locale della Polizia Municipale. Pedalare affiancati di per sè non crea pericolo (tanto che in Spagna e Inghilterra è consigliato), ma obbliga ad un sorpasso “ponderato” come per sorpassare un’auto. Eppure, puntare il dito contro chi pedala sembra diventata una norma culturale. Perché?

I ciclisti sono una minoranza, e quindi un bersaglio facile; una minoranza che in più risulta spesso fastidiosa per chi guida un’auto, cioè la maggioranza. Fastidiosa quando non se ne sta ‘“al suo posto” sulle piste quasi esclusivamente ciclopedonali cittadine (dove peraltro per il CdS non è tenuta a stare); fastidiosa se la si incontra in un’escursione fuori porta, su una strada stretta e magari tortuosa, dove sorpassare è rischioso e accodarsi è troppo lento.

Fa pensare però che le preziose risorse in dotazione alla Polizia Municipale vengano utilizzate per stigmatizzare chi pedala quando chi guida un’auto ha un potenziale di causare danno molto più elevato e, statistiche alla mano, è spesso responsabile per le collisioni con i ciclisti. Il trattamento riservato ai “pedalatori” dai mezzi di comunicazione in realtà ha conseguenze importanti. Così viene fatto passare il messaggio, pericoloso e sbagliato, che è chi pedala che è responsabile per la propria sicurezza, mentre gli automobilisti non giocano alcun ruolo. Non solo: uno studio dell’Università di Monash ha provato che quando le campagne di informazione o comunicazione puntano il dito contro i ciclisti, chi guida si sente autorizzato ad adottare verso di loro comportamenti più aggressivi (e quindi pericolosi).

FIAB: dalla Polizia Locale una inutile provocazione

Nei giorni scorsi ha fatto notizia un tweet della Polizia Locale delle Terre dei Castelli, in cui si ricorda come il Codice della Strada imponga ai cittadini in bicicletta di viaggiare in fila indiana fuori dai centri abitati, ed informa che analogo obbligo non sussiste nell’abitato. Fino a qui nulla da eccepire, una informazione corretta che magari poteva essere completata ricordando che la regola della fila indiana non vale quando “uno di essi sia minore di anni dieci e proceda sulla destra dell’altro”, oppure che durante il sorpasso di un ciclista, gli automobilisti devono comunque mantenere una “adeguata distanza laterale”. Una norma che spesso non viene rispettata proprio quando i ciclisti sono in fila indiana, per riuscire a sorpassare senza rallentare ne valicare la mezzeria. Eppure, chi pedala sa quanto siano pericolosi il rumore e lo spostamento d’aria di una macchina che passa a poche decine di decimetri.

Invece l’account ufficiale di Polizia Locale completa l’informazione aggiungendo una espressione gratuita di dileggio, che circola da tempo nel web, sui ciclisti che non riescono nemmeno a stare in fila come (stupide) oche, di cui non vediamo la necessità in un servizio di pubblica utilità. Con l’aggravante che il tweet, nel frattempo, è stato ricondiviso da molti altri account di Polizia Locale.

Abbiamo sperato che fosse un inconsapevole scivolone estivo dettato dalla mania di essere simpatici a qualsiasi costo, e già così ci è apparso sgradevole e non consono all’ufficialità un organo di polizia. Invece in una intervista, il Comandante ne rivendica la paternità come “provocazione” all’interno di una campagna per riportare all’attenzione il problema dell’incidentalità riferita a utenti in bici, che solo negli ultimi 20 mesi ha riportato nel suo territorio 89 episodi con 4 morti. Numeri alti, ma senza indicazioni su cause, dinamiche o responsabilità.

Quanti di questi incidenti sono avvenuti con ciclisti in gruppo non rispettosi della norma in questione, e quanti invece a ciclisti singoli o regolarmente in fila indiana alla destra della carreggiata?

Solo così sapremo se è un’utile provocazione o un pessimo modo di dare la colpa alle vittime scivolando nella derisione: non abbiamo peraltro notizie di analoghe ilarità su automobilisti che non rispettano i limiti di velocità, le distanze di sicurezza, il divieto di uso del cellulare, o che parcheggiano fuori dagli spazi, svoltano senza freccia ed altre mille piccole e grandi infrazioni.

Se invece dai numeri viaggiare affiancati risulta essere un comportamento marginale ai fini della sicurezza, potremmo iniziare a rivedere in luce diversa proprio quel vecchio articolo del CdS che richiede di pedalare in fila indiana. Spagna ed Inghilterra, ad esempio, hanno aggiornato il loro CdS e ora pedalare affiancati non solo è permesso, ma consigliato per la sicurezza perché i ciclisti sono più visibili da lontano e perché la manovra di sorpasso risulta più breve e più calcolata dato che comporta necessariamente lo sconfinamento nell’altra corsia.

FIAB ricorda comunque come il CdS metta in capo a chi sorpassa la responsabilità di accertarsi se ci siano le condizioni per poterlo fare in sicurezza, indipendentemente che ci trovi davanti ad un trattore, un motociclo, una fila indiana di ciclisti od un gruppo di cittadini che non meritano sicuramente il “filotto” che gli viene augurato tutte le volte che girano questi post di “ciclisti che non sanno nemmeno stare in fila come oche”.

(*) nella foto il tweet della Polizia Locale Terre di Castelli e quello della Guardia Civil spagnola che ricorda agli automobilisti che per il loro CdS i ciclisti possono pedalare appaiati, e che per sorpassarli occorre lasciare almeno 1,5 metri di distanza laterale.

Ciclabilità: abbiamo un piano!

La scorsa settimana il Mims (Ministero delle infrastrutture e mobilità sostenibili) ha ottenuto il via libera della Conferenza Stato Regioni al primo Piano Generale della Mobilità Ciclistica. È un documento importante, che definisce le risorse e contiene la programmazione di lungo periodo per i sistemi di mobilità ciclistica urbana e interurbana, in linea con quelli già adottati da molti paesi UE.

La struttura tecnica di FIAB in questi mesi ha partecipato attivamente alla stesura del piano, ed è un risultato di cui siamo molto orgogliosi. È corredato anche di un manuale operativo che consente d’ora in poi a tutti i progettisti e Comuni di realizzare infrastrutture ciclabili secondo le più avanzate tecniche europee. Ma quello che è più importante è che fissa un nuovo paradigma in cui la bicicletta diventa mezzo di trasporto con pari dignità. Non ci credete? Ne riportiamo un paragrafo:

PRINCIPI GENERALI PER LA PROGETTAZIONE DELLE RETI URBANE CICLABILI

Il primo principio ordinatore é quello di garantire la “democrazia dello spazio pubblico” che comporta una redistribuzione più equilibrata e giusta delle strade. In sintesi: va aumentato lo spazio destinato alla ciclabilità (oltre che alla pedonalità e al trasporto pubblico) e razionalizzato quello per la circolazione e sosta dei veicoli privati, evitando invece di sottrarne alle altre componenti più vulnerabili e già povere di spazio come pedoni, bambini, anziani e disabili (sono quindi da superare, salvo eccezioni, i percorsi ciclopedonali e quelli su marciapiede).

In luogo della tradizionale “separazione/segregazione”, il criterio guida è il modello della “condivisione” dello spazio stradale tra gli utenti, secondo i principi “la strada è di tutti” e “safety in numbers”. Molteplici esperienze e studi internazionali hanno dimostrato che la presenza delle biciclette sulla strada, dando visibilità e legittimazione all’uso della bici, aumenta la accessibilità, sicurezza e quantità dei ciclisti e l’attenzione e il rispetto da parte dei conducenti dei mezzi a motore.

Per accrescere il livello di sicurezza stradale, bisogna promuovere la realizzazione delle “Città 30 km/h” come regola generale in ambito urbano, lasciando i 50 km/h come eccezione per gli assi di scorrimento veloce, decisiva per ridurre l’incidentalità, rumore ed inquinamento atmosferico, favorendo gli spostamenti a piedi, in bici, con la micromobilità elettrica e i mezzi pubblici, senza significative variazioni dei tempi medi di percorrenza veicolare

La “prova costume” si supera pedalando!

Sedentarietà ed obesità diminuiscono dove vengono introdotte piste ciclabili.

Preoccupati dalla cosiddetta “prova costume” di cui immancabilmente si parla ogni estate? In effetti, i dati sono spietati: il 35% di Italiani è clinicamente in sovrappeso, con un 10% di affetti da obesità. Una tendenza che comincia da bambini, e infatti l’Italia è uno dei Paesi Europei con il tasso più alto di obesità infantile: quasi un bambino su 10 è obeso, mentre ad essere in sovrappeso è un bambino su 4. A causare questa epidemia sono soprattutto abitudini alimentari scorrette e uno stile di vita troppo poco attivo. Non è un caso forse che, secondo le ultime rilevazioni Istat 2021, la percentuale di sedentari in Italia coincide con la percentuale di persone in sovrappeso: oltre il 35% degli italiani non fa sport nè pratica attività fisica nel tempo libero. Tra I bambini, 1 bambino su 5 non svolge esercizi fisici, più del 70% non va a scuola a piedi o in bicicletta e quasi la metà trascorre più di 2 ore al giorno davanti a televisione, tablet o telefono cellulare.

Sovrappeso e vita sedentaria, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, aumentano il rischio di malattie cardiovascolari, ipertensione e diabete, osteoporosi, disturbi del metabolismo, depressione e ansia oltre che problemi all’apparato digerente. Tutti in palestra, quindi? Per mantenere un impegno come la palestra servono un tempo dedicato, una motivazione alta e costante e perseveranza, ed è difficile riuscirci con le nostre vite frenetiche.

Una soluzione ci sarebbe: incorporare l’attività fisica nella routine quotidiana, e la maniera migliore di farlo è di usare il tragitto casa-lavoro o casa-scuola per sgranchirsi le gambe a piedi o in bicicletta. Si riuscirebbero così a raggiungere i 150-300 minuti di attività moderata raccomandati dall’OMS (e si arriverebbe a scuola e al lavoro più freschi!).

Uno studio del 2021 sull’Obesity Review ha rilevato addirittura che l’assenza di piste ciclabili di qualità e l’obesità infantile sono correlate, e che laddove vengono fatti interventi che favoriscono la ciclabilità (non solo piste ciclabili ma interventi di moderazione di velocità e via dicendo), l’obesità infantile si riduce. Un esempio lampante di come il ridisegno delle città influisce sui comportamenti individuali e porta a benefici per tutti, anche in termini di salute. Altro che prova costume: con una città a misura di persona saremmo meno stressati, più in forma e molto probabilmente anche più felici.

La strada è per tutti: la campagna Carpi 30 e il diritto di tutti a muoversi (ma anche a bighellonare) in sicurezza

A Carpi la Fiab, insieme a molte altre associazioni operanti sul territorio, ha iniziato una campagna per chiedere l’abbassamento dei limiti di velocità in ambito urbano a 30 km/h, che è la norma consolidata in molte città europee. Le obiezioni non si sono fatte aspettare: un cittadino ci ha scritto che dovremmo smetterla (testuali parole) di “rompere le balle a chi con la mobilità ci lavora” perché “le strade sono piene di ostacoli umani, privi di qualsiasi motivazione per circolare”.

Sono affermazioni curiose. Per prima cosa, il cittadino dà per scontato che chi lavora usi solo l’auto per recarsi sul posto di lavoro. Non è così: una breve ricerca nella cronaca sulle vittime della violenza stradale a Carpi negli ultimi anni riporta di un operaio in bici travolto da un camionista nella rotonda tra Via dell’Industria e Via Guastalla mentre rientrava dal lavoro e di un quarantenne in bici investito sulle strisce pedonali di Via Cattani mentre andava a lavorare. Quindi c’è anche chi “con la mobilità ci lavora” ma in bici. Una sparuta minoranza? Se ci fossero meno rischi di essere investiti, probabilmente quella minoranza aumenterebbe di numero (considerato anche quel che costa oggi il carburante): proprio il limite dei 30 orari ridurrebbe di un quarto il rischio di incidenti, e della metà quello di ferimenti gravi.

Non è tutto. Il cittadino insiste sugli “ostacoli umani” che a suo parere sarebbero in strada per futili motivi, suggerendo due cose: che chiunque usa l’auto lo fa per motivazioni serie e probabilmente produttive, mentre chi si sposta a piedi o in bici ha solo del tempo da perdere e da far perdere agli altri. Eppure, un sacco di persone usano l’auto per andarsi a comprare le sigarette, o il gelato, o andare a trovare un amico dall’altro lato della città, che sono ragioni valide per spostarsi anche se non “produttive”.

Dall’altro lato, non si capisce perché gli spostamenti di uno studente che va in bici a scuola, della signora che va a piedi dalla parrucchiera o dell’operaio che dopo otto ore di turno esce per una pedalata siano meno legittimi di quelli di chi va a lavorare.

Il limite dei 30 orari non impedisce alle auto di circolare ma tutela tutti, perché le persone che non usano l’auto non sono certo “ostacoli” ma sono quello che rende vive, vibranti e umane le città. Come sarebbe una città in cui si può uscire solo in auto, e solo per andare al lavoro? Viva il diritto di bighellonare in sicurezza.

Nasce “Carpi30” per una città più vivibile e sicura

Nasce oggi “Carpi30”, una campagna per la sicurezza stradale finalizzata a ridurre la velocità massima nelle aree urbane di Carpi a 30 km/h, sulla scorta della campagna #Bologna30, della risoluzione del Parlamento Europeo e della campagna #Love30 dell’OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità; ma, soprattutto, in risposta agli ottimi risultati che le “città 30” stanno ottenendo in tutta Europa, dove sono già realtà.

“Carpi30” è promossa da Fiab Modena Sezione Carpi e sostenuta da diverse organizzazioni carpigiane (lista in calce*).

Il primo obiettivo di “Carpi30” è organizzare una raccolta firme per presentare al Sindaco una Petizione in cui si chiede di realizzare Carpi Città30, prevedendo l’istituzione e il controllo del limite dei 30 km/h come velocità massima per le aree urbane, con la sola eccezione del limite di 50 km/h sulle strade principali, e di impegnarsi a proporre sul tema una proposta di deliberazione al Consiglio Comunale.

L’idea di una città a 30km/h non nasce nel territorio di Carpi, ma è l’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite) che pone la Città30 come pilastro alla lotta contro le vittime della strada, con il preciso obiettivo di ridurre i morti e i feriti causati dagli incidenti stradali di almeno il 50% al 2030, ed a questo scopo ha lanciato tramite l’OMS la campagna #Love30 per ottenere strade più sicure #StreetsforLife.

Anche per l’Unione Europea il grande obiettivo è quello di arrivare a Zero morti nel 2050 (#visionzero) (a Helsinki ci sono riusciti: zero morti nel 2020, mentre nel 1970 sono stati 50), con un obiettivo di medio periodo di ridurre del 50% il numero di morti e di feriti gravi sulle strade entro il 2030. A tal scopo a settembre 2021 il Parlamento Europeo ha chiesto alla Commissione Europea di adottare le misure necessarie ad introdurre questa norma (città30) in tutti i paesi.

La Spagna nel maggio 2021 ha anticipato in tutte le città, indipendentemente dal numero di abitanti, il limite dei 30km/h sulla stragrande maggioranza delle strade urbane; e in Europa le città, grandi e piccole, a 30 km/h sono già da tempo una realtà come in Francia, Belgio, Austria, Svizzera, Olanda, Finlandia, Norvegia. In Germania 96 città di ogni grandezza e colore politico hanno chiesto al governo federale di poter introdurre questo limite.

In Italia la città di Olbia dal 1 giugno 2021 ha istituito il limite massimo di velocità di 30 km/h nel centro abitato del Comune.

A Bologna nel luglio 2021, l’associazione Salvaiciclisti assieme a numerose altre realtà del territorio ha lanciato la campagna “Bologna30” per moderare la velocità del traffico motorizzato in città e rendere le strade più sicure e vivibili. “Carpi30” si ispira e si collega alla campagna “Bologna30”, di cui utilizza anche materiale e loghi gentilmente concessi. #Bologna30 è stata premiata in Europa come miglior iniziativa dal basso dagli organizzatori della Settimana Europea della Mobilità Sostenibile #MobilityAction of 2021.

Con la campagna “Carpi30” si intende divulgare i benefici che comporta una città a 30km/h; su dati e basi statistiche si è registrato:

  • riduzione sensibile degli incidenti stradali (circa -25%) con particolare efficacia sugli investimenti di pedoni, sul numero dei morti (-50%) e dei feriti gravi;
  • riduzione dei relativi costi sociali: gli incidenti stradali, a livello nazionale, costano ogni anno 33,8 miliardi di euro, ovvero l’1,89% del PIL italiano (ASAPS, 2020);
  • diminuzione del rumore percepito con vantaggi per il sonno e per lo stress (circa -50%);
  • calo dei livelli di inquinamento dell’aria;

Tutto questo senza arrecare particolari svantaggi e disagi agli automobilisti, anzi nei Paesi dov’è in vigore la Città 30 questa ha un altissimo gradimento anche fra chi va in auto; infatti la stessa carreggiata ai 30 km/h contiene il doppio delle auto in movimento rispetto ai 50 km/h e quindi si ha:
– traffico più fluido;
– meno code e meno multe;
– minore stress con tempi di percorrenza invariati.

Introdurre il limite generalizzato di 30km/h ha come finalità primaria la sicurezza stradale e la riduzione dei morti e feriti sulle strade.
A Carpi dal 2014 al 2020 ci sono stati 1885 incidenti su strade urbane con 20 morti e 2.446 feriti e 495 incidenti su strade extra urbane con 10 morti e 734 feriti, per una media che supera i 4 morti e i 454 feriti all’anno.

La riduzione dei morti e dei feriti sulla strada e la riduzione dell’inquinamento acustico ed ambientale non può che avere un riscontro positivo anche sulla qualità della vita dei cittadini. Invitiamo pertanto tutti i Carpigiani ad aderire alla campagna “Carpi30” sottoscrivendo la Petizione.

Sarà a breve disponibile un sito internet e una pagina facebook dove trovare tutte le informazioni sulla campagna Carpi30 e dove trovare i riferimenti per la firma della petizione.

Al momento per informazioni e firma petizione vi diamo appuntamento:

  • sabato mattina a Carpi al banchetto sul rialzato di Piazza Martiri dalle 09:00 alle 12:00;
  • mercoledì di agosto dalle ore 18:00 alle 18:30 al Parco delle Rimembranze nei pressi della statua di Manfredo Fanti, alla partenza degli E20 ciclici Fiab.

Il Referente Fiab per la campagna Carpi30 è Roberta Mussini – tel. 379-2547035

Testo della Petizione CARPI30

* Ad oggi hanno aderito alla campagna “Carpi30”: Fiab Modena APS, Legambiente Terre d’Argine APS, WWF Emilia Centrale, Unione Donne in Italia (UDI) Sezione Carpi, Porta Aperta Carpi, Comitato Utenti Ferrovia Modena-Carpi-Mantova, Lipu ODV Sezione di Carpi, IRCAF Centro Studi APS, Carpi Comune Associazione Culturale

Fiab Modena APS Legambiente Terre d’Argine APS
WWF Emilia Centrale Unione Donne in Italia (UDI) Sezione Carpi
Porta Aperta Carpi Comitato Utenti Ferrovia Modena-Carpi-Mantova
Lipu ODV Sezione di Carpi IRCAF Centro Studi APS
Carpi Comune Associazione Culturale

Elogio della lentezza: ciclovacanze tutte da assaporare!!

Il cicloturismo non solo è capace di generare ricavi ma soprattutto di distribuirli sui territori, che così possono rimanere vivi e non spopolarsi. È capace di far immergere in profondità chi pedala negli ambienti attraversati, in lentezza, con il tempo di godersi i panorami, i profumi, e anche di assaporare il gusto della fatica e la soddisfazione degli arrivi.

Fiab Modena ha organizzato quest’anno una ciclovacanza in Basilicata, che si è conclusa pochi giorni fa con l’arrivo a Matera. Una vacanza che ha visto muoversi insieme un gruppo eterogeneo che è riuscito a superare le difficoltà della traversata lucana, dove non è mancato il caldo e la salita è stata una costante quotidiana. Non è mancata persino la pioggia, mentre il vento ha rallentato notevolmente il passo dei cicloviaggiatori: nonostante tutto, ogni giorno ci si è svegliati presto con rinnovata voglia di partire.

La Basilicata è stata una straordinaria scoperta, un paesaggio capace di trasformazioni radicali in pochi km, dalla costa rocciosa del Tirreno, alle spiagge sabbiose dello Ionio, dai boschi di Accettura, ai Calanchi di Aliano, per arrivare alla pietra della Murgia materana. Un luogo mistico, con le sue tradizioni e superstizioni, un territorio da assaporare…il peperone crusco, il Canestrato di Moliterno, il maialino nero, il ferricello viggianese, il pane di Matera solo per citare alcune prelibatezze di un territorio che non ha nulla da invidiare al resto d’Italia.

Attraversare senza fretta questa terra è un cammino a ritroso, tra le pagine del “Cristo si è fermato ad Eboli” di Carlo Levi, tra una tradizione contadina che ancora sopravvive, nonostante la modernità.

La Basilicata è un pezzo di Italia capace di accogliere il visitatore, di contaminarsi restando sempre e comunque fedele a se stessa. E la ciclovacanza è un’esperienza unica, capace di coinvolgere tutti i sensi, mettere in gioco ogni parte del corpo…la conservi nelle gambe, la imprimi negli occhi, la custodisci nei suoni della natura, la continui a respirare per giorni e giorni.