Niente multe, le zone 30 più efficaci si auto-impongono

Niente multe, le zone 30 più efficaci si auto-impongono
La conformazione della strada può modificare significativamente le abitudini

Nell’immaginario comune, sono i controlli e le multe a garantire il rispetto dei limiti di velocità. Così la riduzione del limite a 30 km/h nelle zone urbane può essere vista come l’ennesimo espediente per “fare cassa”; qualcun altro invece potrebbe sostenere che è inutile abbassare i limiti perché tanto non vengono rispettati.

In realtà, l’esperienza europea conferma che, per essere efficace, la creazione di una zona 30 non può limitarsi all’apposizione di un cartello segnaletico con qualche sporadico controllo. Idealmente, il limite di velocità si dovrebbe imporre spontaneamente all’automobilista in virtù della pianificazione della strada: in altre parole, per come è conformata la strada l’automobilista finisce per mantenersi al di sotto dei 30 km/h.

Ma è possibile modificare le nostre strade senza dei costosi stravolgimenti? Altroché: gli espedienti, testati e codificati nella manualistica tecnica, abbondano. Ci sono strumenti familiari, i cuscini berlinesi (cugini dei nostri dossi, un po’ più stretti, che lasciano passare indisturbati mezzi di soccorso e biciclette), oppure pannelli di rilevamento della velocità che lampeggiano al superamento del limite. Si possono restringere i raggi di curvatura degli incroci e le dimensioni delle corsie (più sono stretti più si va piano, e così si possono allargare i marciapiedi), e rimuovere le doppie corsie per destinare più spazio a bici e pedoni. Si possono usare elementi decorativi come vasi di fiori (o nuove aiuole) per creare delle efficacissime chicanes che spezzano i rettilinei; oppure inserire delle strettoie in corrispondenza degli attraversamenti pedonali che costringono chi guida a rallentare e riducono l’ampiezza di attraversamento per i pedoni. Si può semplicemente modificare la segnaletica orizzontale, o paradossalmente addirittura eliminarla del tutto per creare un senso di incertezza in chi guida e indurlo a rallentare. Ce n’è per tutti i gusti e tutte le tasche.

Il concetto chiave è che la conformazione della strada influenza la velocità più dello spauracchio di una multa, e influenza anche come le persone vivono lo spazio pubblico: può renderlo uno spazio vissuto o uno spazio transitato e basta. Fiab come sempre si mette a disposizione per sostenere chi abbraccia la visione città 30: forza amministratori, e siate coraggiosi che, passato il primo periodo di adattamento, i vostri cittadini vi ringrazieranno.

Città 30: volete che torniamo all’età della pietra?

Come abbiamo visto negli scorsi articoli, le “città 30” non limitano la libertà di movimento, non impediscono di fare il proprio lavoro in auto, non penalizzano anziani ragazzi e disabili ma invece migliorano la vita a tutti i cittadini. A questo punto, chi proprio non ne vuole sapere di cambiare abitudini di solito tira fuori l’ineluttabilità del progresso tecnologico: “allora ditelo che volete che lasciamo tutti le macchine a casa e torniamo all’età della pietra”, come se l’uso dell’auto fosse una condizione necessaria al benessere e sviluppo economico.

Che l’affermazione sia puramente ideologica lo dimostra il fatto che le città più ricche in Europa sono quelle dove le percentuali di uso dell’auto sono le più basse. In Olanda e Danimarca secondo questo ragionamento dovrebbero essere tutti ridotti con le pezze ai pantaloni, e invece le loro città sono ad oggi un esempio di ricchezza diffusa, vivibilità, vivace commercio locale, coesione sociale, iniziative culturali, benessere fisico in cui nessun cittadino di ogni classe sociale, dall’operaio al premier e la regina, disdegna di pedalare o usare i mezzi pubblici. E mentre in quei paesi nessun politico da destra a sinistra si è mai sognato di mettere in discussione una politica della mobilità che metta l’uso dell’auto privato come ultima scelta auspicabile, in Italia si sono appena tolti i (pochi) milioni per le ciclabili urbane.

Chiariamo subito: l’automobile privata è una delle più rivoluzionare invenzioni del secolo scorso e ha rappresentato un volano di nuove opportunità e migliorie sociali. Resta però che il suo abuso ha generato enormi problemi alle nostre comunità.

A partire dal fatto che la mobilità è un bene primario, come l’istruzione o la sanità, e dovrebbe essere offerta a condizioni di accesso favorevoli ad ogni cittadino; invece, puntando solo sull’auto, obblighiamo tutti a usare il mezzo più costoso e, in città, anche quello più inefficiente.

Le “città 30”, riducendo e contrastando la necessità di usare l’auto, permettono al piccolo commercio di rivivere, ai ragazzi e anziani di tornare a vivere la strada, ai lavoratori di trovare meno traffico, a tutti di spendere meno nella mobilità, e lo fanno ripristinando la libertà di scelta del mezzo migliore per ogni tragitto che dobbiamo affrontare.

La verità è che non ci sono più scuse per non cambiare e dovrebbero essere i contrari a trovare delle giustificazioni plausibili per non farlo.

Città 30: e anziani e disabili?

Dopo aver visto che le “città 30” non limitano la libertà di nessuno e che i lavoratori possono continuare ad usare l’auto per le loro esigenze, affrontiamo l’obiezione di chi si preoccupa per anziani, disabili o persone a mobilità limitata che ora sono obbligati ad usare un mezzo motorizzato.

Le bici non possono essere un mezzo per tutti (anche se esistono tricicli, bici reclinanti ecc.), ma d’altronde nemmeno le auto lo sono, ad esempio per chi è sotto i 18 anni o per chi non è riuscito a prendere o rinnovare la patente, o semplicemente per i tanti cittadini che non se la possono permettere. Nelle “città 30” non si chiude nessuna strada: chi vuole o non può fare diversamente può continuare ad usare l’auto.

Il fatto è che anche chi riesce a guidare senza problemi oggi è sempre più in difficoltà a districarsi nel caotico traffico urbano, mentre tutti gli altri sono fortemente limitati nella mobilità proprio per la pericolosità delle strade, a prescindere dall’età anagrafica o dalle condizioni di salute. E così succede che il 50% dei pedoni e ciclisti uccisi ha oltre 65 anni (dati ASAPS): saranno spericolati avventurieri delle strisce pedonali, o cittadini magari un po’ più fragili a cui non viene perdonata alcuna esitazione?

Quindi siamo tutti costretti “per paura” a portare i nonni a fare qualsiasi commissione o attività sociale, ignorando che bici, tricicli e carrozzelle elettriche sarebbero un’ottima soluzione di autonomia se ci fosse una infrastruttura ciclabile sicura in un contesto di 30kmh. Tra l’altro questo permetterebbe loro il vantaggio extra di una moderata attività fisica quotidiana e la soddisfazione per non essere “di peso” ai parenti. E’ la stessa infrastruttura che permetterebbe ai ragazzi di essere autonomi e non obbligare i genitori a perdere un’ora al giorno per i tragitti casa/scuola (o casa/palestra!).

La popolazione sta velocemente invecchiando e le città moderne si stanno configurando come delle prigioni per le persone a limitata mobilità, sempre più confinati in casa o al massimo in zone delimitate come parchetti o centri commerciali. I nostri anziani sono sempre andati da soli in Piazza Grande, gli adolescenti a studiare da un amico in bici, e le persone con limitate capacità motorie amano essere indipendenti. Perché non ripensare una città a loro misura?

Nella prossima puntata l’obiezione “volete che torniamo all’età della pietra?”.

Città 30, un ostacolo a chi deve lavorare?

Sulle inevitabili critiche alla “Città 30” siamo partiti dalla constatazione che è proprio la velocità eccessiva delle auto a mettere paura alle persone e che, abbassando il differenziale di velocità, nella “città 30” le strade tornano luoghi più sicuri per camminare e pedalare, con un design che disincentiva il transito veloce.

A questo punto normalmente ci viene contestato che chi usa l’auto deve andare più veloce perché deve produrre ed andare al lavoro, insomma “ha da fare, mica come quelli che girano in bici o a piedi”. Paradossalmente a noi converrebbe essere d’accordo: stabiliamo che usiamo tutti l’auto solo quando dobbiamo andare al lavoro ed avremmo già tolto il 50% del traffico, perché gran parte degli spostamenti motorizzati hanno a che vedere con altre attività non meno importanti come andare dal dottore, fare la spesa, incontrare un amico per uno spritz.

Ai quali si contrappongono invece una buona parte degli spostamenti cittadini in bici che hanno davvero a che fare con il lavoro (o la scuola, che è il lavoro dei ragazzi): tristemente la cronaca ci ricorda che tornava dal ristorante in cui lavorava la signora investita in via Vignolese e dalla fabbrica il ragazzo travolto in rotonda a Carpi.

D’altronde, chi stabilisce che un anziano che vuole andare in Piazza Grande in bici per due chiacchere abbia meno diritto di usare la strada di un impiegato che usa la macchina 5km per andare in ufficio, lasciarla parcheggiata 8 ore ad occupare spazio pubblico e torna direttamente a casa alla sera?

Le strade sono luoghi pubblici e come tali non possono avere una destinazione d’uso riservata o prioritaria, e quindi dovrebbero essere pensati per essere comodi e sicuri per tutte le necessità, dall’elettricista al pensionato, dall’agente di commercio allo studente, perfino per chi vuole farsi un jogging o una pedalata dopo 8 ore di lavoro.

Giova ricordare che tutti noi passiamo in un attimo dallo stato di “lavoratore” a quello di quelli che “non hanno nulla di meglio da fare”: appena scendiamo dall’auto ed attraversiamo la strada per entrare nel bar, siamo di nuovo pedoni e come tali obiettivi sensibili della violenza automobilistica.

Lo sapete, ad esempio, che nell’ultimo anno in Italia sono morte 10 persone investite mentre stavano portando il pattume nei cassonetti? Ecco la “città 30” nasce per garantire tutti, non solo il diritto di chi deve andare velocemente al lavoro.

Nella prossima puntata l’obiezione “come fanno gli anziani e quelli con problemi fisici”

Città 30, un limite alla libertà?

Sta prendendo quota il dibattito sull’introduzione in Italia delle “città 30”, un concetto così estraneo alle nostre latitudini che chi lo propone sembra atterrato da Marte, invece, magari è solo tornato da qualche giorno in Spagna, Belgio, Francia, Olanda, Austria dove è ormai la normalità.

Contro si levano molte contestazioni, a partire da quella che imporre il limite dei 30kmh sarebbe una limitazione libertà di movimento garantita dalla Costituzione: ragionamento infondato perché con la “città 30” non si chiude nessuna strada, ma si chiede solo di andare con prudenza alla guida di un mezzo che è una oggettiva fonte di pericolo tra le persone.

Allora si ribatte che non si vuole vietare espressamente l’uso dell’auto ma lo si scoraggia a tal punto da renderlo impossibile. Anche questa sotto-obiezione può essere confutata osservando che la velocità media a Modena è già di 29kmh (dati PUMS) e, come ha dimostrato questo giornale recentemente, il “giro dei viali” ai 30kmh ci impegna in strada 52 secondi in più. Una inezia.

Certo, per arrivare ad una vera “città 30” si devono rivedere le strade: stringere le carreggiate, togliere parcheggi a bordo strada, allargare gli angoli di svolta, rialzare gli incroci, dare la precedenza alle bici ed al trasporto pubblico.

Per chi intraprende un lungo viaggio extraurbano qualche minuto in più per uscire dalla città non cambia nulla, ma è prevedibile che in questo nuovo ambiente stradale una parte di chi deve fare solo 2 o 3 km (il 45% dei tragitti cittadini – dati PUMS) decida che non vale la pena accedere il motore. In questo senso una “città 30” è un forte incentivo a cambiare abitudini, senza vietare la mobilità di chi necessita l’uso dell’auto.

D’altronde adesso è esattamente il contrario, ed è limitata la libertà di chi vorrebbe o potrebbe lasciare a casa l’auto: infatti è proprio la massiccia presenza, velocità e pericolosità del traffico automobilistico il motivo principale per cui non si usano altri mezzi per andare al lavoro o a scuola od a sbrigare piccole pratiche quotidiane. Se chiedete perché non si pedala o cammina in città, la prima risposta sarà sempre “ho paura”.

La violenza stradale è un enorme problema di convivenza civile perché le città auto-centriche sono luoghi in cui vale la legge del più forte, mentre noi pensiamo che si debba tornare a condividere pacificamente gli spazi pubblici. È questo il vero valore aggiunto delle “città 30”.

Nel prossimo articolo smonteremo l’obiezione “chi va in auto ha fretta perché deve lavorare”.

Subito Modena Città 30

Notizie di stampa ci confermano che l’Amministrazione ha un piano per introdurre gradualmente undici “Zone 30” in ambito cittadino ma solo entro il 2030, in attuazione di ciò che è scritto nel PUMS ma senza dare, secondo noi, la necessaria urgenza ed importanza alle politiche per incentivare pedonalità e ciclabilità.

FIAB pensa invece che “Modena città 30kmh” debba essere un obiettivo a breve termine se si vuole perseguire la messa in sicurezza della città: non passa giorno che non ci siano incidenti al seguito dei quali i cittadini lamentino sempre l’eccessiva velocità e pericolosità del traffico davanti alle loro case. Se ne deduce che il problema è sentito in ogni strada residenziale, e che la soluzione non può essere a macchia di leopardo e con tempi così dilatati.

Questo modo di procedere ingenera una sensazione di differenze tra i vari quartieri e rende più difficile l’assimilazione del principio generale che in zone ad alta frequentazione pedonale si deve guidare con prudenza sempre ed ovunque. Riteniamo quindi più efficace una chiara mappatura che identifichi le strade di transito che rimarranno a 50kmh e definisca tutte le altre strade a 30kmh. Decisione che ha assunto, ad esempio, in questi giorni la giunta di Parma e che verrà realizzata in tutta la città racchiusa tra le tangenziali entro dicembre 2024.

Ancora più spedita l’azione di Bologna, dove la giunta comunale la settimana scorsa ha deliberato di portare a 30kmh la velocità standard entro il 30 giugno 2023, ad esclusione dei principali assi viari che rimarranno a 50kmh. È una decisione chiara ed inequivocabile, che mette la cittadinanza di fronte all’urgenza di limitare i danni provocati dalla violenza automobilistica: una volontà che l’Amministrazione ha rivendicato e di cui si è assunta la piena responsabilità, e sulla quale potrà essere valutata a fine mandato.

Bologna30 è un progetto che può contare su 14 milioni di euro per la segnaletica stradale, la diffusione di interventi fisici di moderazione del traffico e della velocità, installazione di un numero significativo di autovelox, campagne di comunicazione ed educazione. Perché non basta mettere un cartello e chiedere a tutti i cittadini di rispettare le regole della strada.

FIAB ricorda che con il passaggio da 50kmh a 30khm, la possibilità di morire per un pedone investito cala dal 80% al 15%: numeri che fanno la differenza in una città dove anche in questi giorni si sono verificati diversi investimenti sulle strisce pedonali, incidenti tra auto con invasione di marciapiedi e sfondamento di cancellate, anziani travolti in carreggiata in pieno giorno. Una litania infinita sulla quale bisogna intervenire con urgenza, quando invece, per esempio, per togliere tre parcheggi pericolosi sulla via Giardini sono serviti 12 mesi, o la messa in sicurezza dei ciclisti sul ponte Mazzoni è prevista tra 8 anni.

FIAB ritiene che portare la città a 30kmh sia un percorso obbligato per far convivere pacificamente auto e persone nelle nostre città: è richiesto dall’ OMS e dal parlamento europeo, ma soprattutto ha già dimostrato di funzionare in numerose piccole e grandi città europee. Dal Belgio alla Francia, dalla Spagna all’ Austria, dove è stata realizzata ha mantenuto sostanzialmente invariati i tempi di percorrenza in auto,  ridotto l’uso dell’auto abbassando l’inquinamento, dimezzato il rumore, abbattuto il numero di morti e feriti e migliorato in generale la qualità della vita con ricadute positive sul commercio locale: una operazione in cui vincono tutti.

FIAB quindi chiede che l’Amministrazione anticipi gli obiettivi della città 30kmh del PUMS, e li renda omogenei su tutta la città, assumendosi il difficile compito di spiegare ai cittadini i motivi di questa scelta, che scardina decenni di consuetudini che hanno portato a conclamati problemi di vivibilità. Siamo pronti a sostenerla perché sicuri che nei primi mesi ci saranno molte contestazioni, ma convinti che alla fine nessuno vorrà più tornare indietro. Oramai è il tempo che le decine di morti e feriti di pedoni e ciclisti sulla strada non siano solo e soltanto una responsabilità personale, che certamente rimane, ma una responsabilità collettiva di una comunità che deve scegliere tra sicurezza e velocità. Le due questioni non possono più convivere.

Mai sentito parlare di strade scolastiche?

Si tratta di strade chiuse al traffico davanti alle scuole, che si traducono in spazi più sicuri e aria più pulita e incoraggiano bambini e genitori ad andare a scuola a piedi, in bici o col bus. Venerdì 21 ottobre in occasione della campagna europea “StreetsForKids”, alcuni genitori della scuola d’infanzia di Saliceto Panaro hanno occupato simbolicamente alcuni spazi pubblici con giochi e striscioni per sensibilizzare al problema della sicurezza stradale in prossimità delle scuole, anche con riferimento alle ‘zone quiete’ e ai percorsi casa scuola recentemente dibattuti in Consiglio Comunale.

Le famiglie raccontano di aver fatto una piccola dimostrazione simbolica per sperimentare come sarebbero le strade scolastiche o le zone quiete. È stato anche un modo per far capire alle persone che passano di lì che c’è una scuola, perché sulla carta è in vigore il limite dei 30 km/h, ma in realtà le macchine vanno a velocità più elevate.

La dimostrazione arriva a pochi giorni dopo la presentazione della mozione in Comune, ma per i genitori è il frutto di un percorso. Raccontano di aver già cercato in passato un dialogo con l’amministrazione, ma anche che questo è un dialogo difficile. Hanno approfittato di questa iniziativa europea, per farsi sentire e soprattutto per far sperimentare ai bambini quella che dovrebbe essere la normalità.

I problemi che riportano sono vari: vorrebbero più sicurezza, ma anche che i bambini possano avere uno spazio di gioco al di fuori di quello scolastico, e che ad oggi non c’è. Con la scuola stanno cercando di ‘adottare’ un parchetto nelle vicinanze, che però da tempo è in stato di abbandono, ma rimane il fatto che non esistono dei percorsi sicuri per arrivarci.

Le famiglie chiedono non solo delle zone temporanee di chiusura, cioè delle zone chiuse al traffico in prossimità dell’orario di apertura e chiusura della scuola, ma anche che ci sia un interesse a rivedere il percorso casa-scuola, per esempio per muoversi nel quartiere con le insegnanti o i genitori in sicurezza. È salutare per tutti fare due passi a piedi: se uno è costretto ad andare in macchina l’accortezza è quella di parcheggiare più lontano in modo da poter arrivare a piedi, così che i bambini abbiano uno spazio di incontro anche nelle prossimità della scuola.

Sarebbe bello che questo tentativo diventasse presto normalità per tutte le scuole.

Il saluto ed il grazie di Fiab all’assessore Truzzi

FIAB Modena invia all’Assessore Marco Truzzi gli auguri per il suo nuovo futuro professionale. In particolare la nostra sezione di Carpi, lo saluta con gratitudine per essersi speso come Assessore a Carpi con progetti sulla mobilità ciclistica, realizzando interventi che nelle città del Nord Europa sono da anni la normalità, ma che solo lentamente in questi ultimi periodi sono stati introdotti anche in Italia.

Sfruttando tempestivamente modifiche normative al codice della strada dal 2020 (D.L. 34/2020 e D.L. 76/2020), in pochi mesi il Comune di Carpi ha progettato e realizzato una “Rete di Mobilità d’Emergenza” e con l’utilizzo prevalente di segnaletica ha creato oltre 20km di nuove corsie ciclabili, quasi tutte ad uso esclusivo di biciclette e monopattini a differenza delle precedenti obsolete ciclabili promiscue per ciclisti e pedoni, spesso su marciapiede, ormai sconsigliate in tutta Europa ed anche dalle linee guida regionali della ciclabilità del 2017.

Ma l’ Amministrazione in questi due anni non si è limitata solo a questa novità, cercando di usare tutte le ricette di una moderna mobilità ciclistica come le case avanzate ai semafori, le strade E-Bis a priorità ciclabile, le strade a 30kmh, il doppio senso ciclabile, le corsie bici-bus e continuando a progettare le classiche piste ciclabili in sede propria, cioè separate dalla carreggiata stradale da uno spartitraffico, su strade con alta intensità di traffico come in via Nuova Ponente, via Ugo da Carpi, via Ramazzini, via Lago di Bracciano, via Remesina Esterna a Fossoli.

A questo va aggiunto l’impegno nei servizi accessori alla ciclabilità, come nuovi stalli portabici, colonnine di autoriparazione, incentivi per chi utilizza la bici per recarsi al luogo di lavoro.

Ovviamente Carpi non è già diventata Amsterdam, e tutto questo è solo l’inizio di un percorso che va sostenuto e perseguito con decisione, perché anche le città del Nord Europa hanno impiegato alcuni decenni (dagli anni ’70) a trasformarsi nelle belle e vivibili città a misura di persone che conosciamo. Ed anche lì, ogni passo non è stato privo di ostacoli e resistenze, come per la prevista estensione ZTL in centro storico a Carpi che deve essere ragionata con la cittadinanza, ma non può essere messa in discussione.

Come FIAB ci siamo spesso sentiti coinvolti ed ascoltati dall’ Assessore Truzzi, e per questo abbiamo collaborato molto volentieri con lui e con tutta l’Amministrazione per perseguire una visione di città più sicura dove le persone vengono prima delle auto e dove lo spazio stradale è di tutti.

Confidando che il lavoro svolto per la mobilità sostenibile possa trovare continuità nelle prossime scelte politiche della giunta, e che anzi si possano intensificare gli interventi e la corretta comunicazione alla cittadinanza, FIAB rinnova alla Amministrazione la sua disponibilità e piena collaborazione per questo percorso non sempre facile.

La mobilità? Una questione di tempo

Nelle frenetiche città moderne chi si muove ha una sola preoccupazione: arrivare prima a destinazione. È così per gli automobilisti che si arrabbiano quando incappano in un passaggio a livello, un parcheggio lontano od un cantiere stradale. Lo è anche, a maggior ragione, per chi si muove in bici od a piedi: più tempo per strada vuol dire più rischi, fatica, più caldo o più freddo a seconda delle stagioni.

Lo sanno bene in Olanda e Danimarca dove la mobilità attiva è molto incentivata anche dal fatto che avendo prioritizzato i tragitti ciclabili a discapito di quelli automobilistici, la bici è diventato il mezzo più veloce per andare da un punto A ad un punto B.

Lo hanno fatto istituendo da decenni i “sensi unico eccetto bici” in modo che i tragitti ciclistici siano più brevi dei corrispondenti tratti destinati alle auto, o con la continuità ciclabile negli attraversamenti che non obbliga a scendere dalla bici, o con tempi semaforici esclusivi per i ciclisti che permettono con un unico verde di andare in qualsiasi direzione. Per non parlare delle recenti introduzioni di semafori con sensori che diventano verdi appena si avvicina un ciclista, o rossi semaforici pedonali più brevi quando piove.

A Modena invece il “senso unico eccetto bici” è inesistente, la continuità ciclabile una rarità e il tempo passato al semaforo, per piccoli e medi tragitti, è talvolta più lungo di quello pedalato o camminato. Potete fare una prova anche voi in molti dei crocevia cittadini, noi abbiamo testato, ad esempio, quello al centro della Crocetta per attraversare la Nonantolana: 5 secondi per il verde e 13 secondi di giallo (in contemporanea con il verde per le auto in svolta da Albareto) e ben 2,40 minuti di rosso. Per completare l’attraversamento anche della strada Albareto ci vogliono in tutto 3,40 minuti, dato che i verdi pedonali non sono sincronizzati.

In quei cinque secondi una persona in salute non arriva nemmeno dall’altra parte della strada, figuratevi l’ansia alla vista del giallo per un anziano o di chi ha problemi di deambulazione. Analoghe situazioni in tutta la città: fasi semaforiche diverse, spazi di attesa striminziti e tempi di attraversamento da centometristi.

Per noi una smart city prevede persone, e non auto, autonome negli spostamenti e non necessita sempre di investimenti elevati, robottini ed una tecnologia iperconnessa, ma della precisa volontà di facilitare la vita a chi si muove in maniera sostenibile, e non come sempre quella di fluidificare il traffico automobilistico.

Rilevamento semestrale dei ciclisti e pedoni: le considerazioni di FIAB

Martedì 20 settembre, dalle 7,30 alle 8,45, FIAB Modena ha effettuato la semestrale rilevazione dei ciclisti nei 15 varchi stabiliti dal Comune di Modena nel 2005.

Sono stati registrati 3955 ciclisti, in ingresso e uscita dalla città, con un aumento del 10% rispetto a quelli registrati nel settembre 2021 e del 19% rispetti a quelli dell’aprile scorso. Gli incrementi maggiori si sono raggiunti in via Emilia ovest verso il polo scolastico Leonardo da Vinci, sul cavalcavia Mazzoni nelle due direzioni, in via Vignolese centro e in via Canalchiaro verso il centro.

I pedoni, nei 5 accessi al centro storico, sono cresciuti del 20% rispetto al settembre 2021, ma sono calati del 10% rispetto ad aprile scorso.
Permane comunque una circolazione dei ciclisti inferiore a quella degli anni 2016, 2018 e 2019. È quindi probabile che, rispetto all’anno scorso, si sommino due fenomeni contrastanti: l’incrementato degli studenti per la ripresa delle lezioni in presenza e il permanere di una quota significativa di lavoro da casa.

Rimane comunque un forte condizionamento della mobilità pedonale e ciclabile dovuto all’insicurezza dei marciapiedi e dei percorsi e dalla diffusione dei furti per l’assenza di azioni efficaci di contrasto.

A questi problemi si aggiungono l’immutata frammentarietà dei percorsi, la presenza di buche, radici affioranti, ostacoli e scarsa illuminazione, che ne limitano la praticabilità soprattutto nel periodo invernale. Senza efficaci controlli anche le nuove corsie ciclabili sono diventate comodo spazio per la sosta breve delle auto e dei furgoni.

Si è anche aggiunta l’occupazione indiscriminata dei portici, dei marciapiedi e degli spazi ciclabili da parte delle attività di ristorazione e dei cantieri, senza prevedere percorsi alternativi agevoli e sicuri.

Ci si chiede come il Comune pensi di raggiungere gli obiettivi indicati nel PUMS approvato, a partire dai provvedimenti, indicati e non attuati, per rendere praticabile e sicuro l’accesso alle scuole a piedi ed in bicicletta. Scuole di ogni ordine e grado, vengono quotidianamente assediate da auto, sui marciapiedi ed in doppia fila, in totale spregio di ogni regola di civile convivenza e sotto lo sguardo distratto dei vigili appositamente incaricati.

Sono ancora lontane le azioni previste, assieme ai mobility manager aziendali, per agevolare l’accesso e il ricovero delle biciclette dei dipendenti nelle aziende, salvo qualche virtuoso e sporadico caso.

In assenza di queste azioni determinanti per la sicurezza dei pedoni e dei ciclisti, dovremo purtroppo registrare ancora flussi scarsi, non degni di una città di pianura civile e sostenibile.