Bimbinbici: l’invasione dei bambini in strada

Chissà se qualcuno avrà notato l’invasione di bambini in questi giorni nelle strade di Modena e tante altre città, tutta colpa di una concentrazione di eventi per bambini promossi da tante associazioni, tra cui FIAB e CleanCities.

É stata la settimana BimBimBici, iniziativa di FIAB Italia, con 5 eventi organizzati in provincia di Modena: sperimentazioni di strade scolastiche, bicibus,“senza rotelle” e gite per famiglie.

C’è stato anche l’appuntamento primaverile della campagna europea “StreetsForKids” con oltre 90 eventi in tutta Italia, di cui 2 a Modena, grazie ai quali tanti bambini hanno potuto godere di spazi sicuri davanti alle scuole, ma soprattutto di respirare un’altra aria, divertendosi coi loro amici, almeno per un giorno.

C’è un forte legame tra tutte queste iniziative, accomunate non solo dal mettere al centro i bambini, ma anche dal promuovere una mobilità attiva, strade più sicure, e soprattutto occasioni per fare comunità, e socializzare. Nella nostra quotidianità frenetica a volte perdiamo il contatto con le altre persone. Spesso rallentare un poco ci permette di riassaporare opportunità di incontro che tendiamo a perdere.

La velocità e la potenza, sono troppo spesso ideologizzate, dalle costanti pubblicità, ma anche da amministratori che dovrebbero mettere al centro l’interesse comune piuttosto di quello di poche aziende per la produzione di beni di lusso che pochi si possono permettere, e che portano tutt’altro che benessere e salute. Ci portano anche a perdere qualità della vita e occasioni di stare insieme. Infatti in macchina si è sempre soli. Perdiamo anche spazi di socializzazione: le auto continuano a crescere di dimensione e numero, e pensare che possedere una o più auto dia il diritto di avere un posto dove poterle tenere, ha chiaramente un costo su tutta la comunità.

E allora ben vengano iniziative che facciano riscoprire modi diversi di vivere quegli spazi che dovrebbero essere di tutti, ma di cui ne stiamo perdendo il controllo, e la possibilità di goderne.

Tutto questo non sarebbe possibile senza la collaborazione dei genitori che riconoscono il valore di poter fare vivere e praticare ai propri figli stili di vita attivi. Tutte iniziative dove non si parcheggiano i propri figli, ma in cui si costruisca una sorta di patto educativo, in cui i genitori si mettono in gioco e accettano di cambiare stile di vita, insieme. Chissà che l’effetto contagio di queste iniziative possa trasformarsi in una bella epidemia, che porti ad un radicale cambiamento imprescindibile.

Psicologia del traffico e ostacoli all’uso della bicicletta

Qualche anno fa un gruppo di psicologi sociali dell’Università di Bologna ha analizzato e catalogato decine di studi dedicati alle collisioni tra veicoli motorizzati e biciclette in una rassegna sistematica della letteratura scientifica.

L’analisi del gruppo di ricerca Unibo – coordinato dal Dipartimento di Psicologia – evidenzia due cause principali per gli incidenti che coinvolgono i ciclisti: i comportamenti di chi si muove in strada e le caratteristiche delle infrastrutture stradali.

Un problema importante è quello della precedenza, che spesso non viene data correttamente; spesso però la causa è la mancata percezione della presenza di una bici in strada. Ci sono i “blind spot”, angoli ciechi nel campo visivo dell’automobilista che impediscono di inquadrare per tempo gli utenti deboli della strada, ma le collisioni si verificano anche quando il ciclista è ben visibile: un fenomeno noto come “looked but failed to see”, guardare senza riuscire a vedere. Spiega il ricercatore Unibo Gabriele Prati che il nostro cervello focalizza l’attenzione sugli stimoli attesi come possibili macchine in arrivo, ma ne tralascia altri meno attesi. “Così non si riescono a percepire alcuni elementi rilevanti per la propria e altrui sicurezza, ad esempio un utente vulnerabile della strada che sta sopraggiungendo”.

Ecco perché quando le bici sono invece molto presenti gli incidenti calano (‘safety in numbers’): all’aumentare del numero dei ciclisti, aumenta la sicurezza dei ciclisti stessi. I conducenti di automobili diventano più consapevoli della presenza dei ciclisti e migliorano la loro capacità di anticiparne la presenza nel traffico.

Per quel che riguarda le infrastrutture, i risultati sono in parte controintuitivi. Se da un lato, infatti, la presenza di piste ciclabili separate dal traffico motorizzato gioca un ruolo importante per la sicurezza dei ciclisti, dall’altro le corsie riservate ai ciclisti possono rivelarsi particolarmente pericolose in prossimità degli incroci. Quando le due ruote restano a lungo fuori dal campo visivo (perché c’è una separazione tra traffico motorizzato e traffico ciclabile) chi è in macchina si trova meno preparato a reagire alla loro presenza improvvisa.

“Per questo motivo – conclude Gabriele Prati – la raccomandazione è quella di un mix fra infrastrutture per i ciclisti, separate dal traffico motorizzato, e strade a velocità ridotta (come ad esempio le ‘Zone 30’), dove due e quattro ruote condividono la carreggiata”.

Bike to work: come renderlo ancora più invitante

Sono ripartiti gli incentivi per chi abita o lavora a Modena e decide di spostarsi in bicicletta: ai partecipanti al progetto, si legge sul sito del Comune, verrà corrisposto un incentivo economico (buono mobilità nella misura di 0,20 € per ciascun chilometro percorso) per gli spostamenti casa-lavoro nel periodo 15 Aprile -30 Settembre 2024 o comunque fino ad esaurimento della disponibilità finanziaria. Il progetto “è finalizzato a promuovere modalità di trasporto che inducano alla progressiva riduzione dell’utilizzo del mezzo privato motorizzato a favore di modalità di trasporto orientate alla salvaguardia dell’ambiente ed al miglioramento della salute, della sicurezza e del benessere della popolazione e allo sviluppo economico del territorio comunale.”

Un progetto importante dunque, da tanti punti di vista, che mentre si pedala verso il luogo di lavoro permette tra l’altro di incorporare un po’ di attività fisica leggera nella routine quotidiana senza dover dedicare tempo e soldi alla palestra, con benefici tangibili per la salute fisica e mentale, e per la produttività lavorativa. Il movimento e le endorfine che esso libera nell’organismo migliorano l’umore (e quindi i rapporti con i colleghi) e la capacità di concentrarsi, e alla lunga rinforzano anche il sistema immunitario quindi ci si ammala di meno.

Tutti aspetti di cui un datore di lavoro lungimirante potrebbe approfittare con qualche piccolo accorgimento che potrebbe contribuire a motivare potenziali pendolari sulla due ruote: investendo per esempio in un bagno attrezzato possibilmente con una doccia, qualche armadietto per riporre il cambio di indumenti, stalli protetti dalle intemperie e magari anche “chiusi” per scoraggiare i furti di biciclette. Più lavoratori si spostano in bici, più c’è da guadagnarci (letteralmente): anche investire nell’assunzione di un bike manager, una persona che abbia competenze e conoscenze strategiche su come promuovere gli spostamenti sostenibili e gestire la domanda di trasporto privato, può rivelarsi una mossa importante, specie per le ditte più grandi.

Infine, l’incentivo del Bike to Work sarebbe ancora più allettante se si potesse pedalare in serenità e soprattutto in sicurezza senza il timore di essere investito che è invece uno dei principali deterrenti all’uso della bicicletta in città. Per quanto allettante un contributo economico possa essere (anche aggiunto alle minori spese di carburante), un vero cambiamento di abitudini non si attua se la percezione di insicurezza resta alta.

La segnaletica: un importante fattore per orientarsi in strada

Quando dobbiamo affrontare un percorso in bici preferiamo pianificarlo in anticipo per poter scegliere il tracciato più diretto, sicuro o semplicemente quello che ci permette di passare di fronte ai nostri punti d’interesse. E’ così sia per i viaggi lunghi turistici che per i brevi spostamenti della nostra vita quotidiana. In città infatti ogni metro fatto in più per chi cammina o pedala significa maggior tempo impiegato, fatica, esposizione agli eventi atmosferici come calura, pioggia o freddo.

Questi parametri, ossia quanto un percorso sia diretto, o interessante, e quali siano le sue condizioni in termini di agibilità e di sicurezza, agevolano oppure ostacolano soprattutto chi si sposta con molteplici destinazioni: il luogo di lavoro, il negozio, il dottore, la palestra, gli amici, e diventano un’importante criterio per orientarsi sulla strada. Non sempre del resto è pratico o sicuro pedalare mentre si segue una APP di navigazione.

Per semplificare la vita di chi decide di inforcare la bicicletta, ci sono a disposizione strumenti come la “ciclopolitana”, che colora le rotte principali (più attrezzate e fruibili) come nelle metropolitane, o i pannelli “metrominuto” che indicano i tempi per raggiungere la destinazione.

È un esempio di quanto sia nelle politiche della ciclabilità sia cruciale la comunicazione, in mancanza della quale si rischia che siano un fallimento: in fase di progettazione si deve spiegare ai cittadini perché e come si fanno certe scelte, poi una volta che le infrastrutture, nuove o rinnovate, sono state messe a disposizione bisogna continuare a comunicare in strada con pannelli, indicazioni chiare e facili da seguire, ringraziamenti ai passanti, totem contatori che facciano da elemento motivante.

A Bolzano quando si è elaborato il piano della ciclabilità si è deciso, ad esempio, di fare una segnaletica a parte su supporti decorati ed artistici solo per le infrastrutture ciclabili, per dare risalto e valore alla realizzazione.

Spendere milioni in infrastrutture e poi non dedicare un budget adeguato alla loro comunicazione è come stampare un bel depliant e poi tenerlo in cassetto senza presentarlo ai clienti.

Quando si procederà alla realizzazione delle dorsali ciclabili previste nel PUMS nel prossimo quinquennio non dovrà essere tralasciato questo aspetto: una rete ciclabile efficiente, oltre che funzionale e sicura, deve essere anche attraente e riconoscibile, e raccontare la cura con la quale ci si è rivolti ai cittadini a cui si chiede un cambio di abitudini.

Sostenere la ciclabilità è una politica di equità sociale

Negli ultimi decenni l’automobile è diventata una necessità per risolvere i problemi di un bene primario come la mobilità, anche se costituisce un costo economico ingente per molte famiglie che non è giusto e nemmeno etico “dare per scontato”.

L’acquisto di un’automobile comporta un esborso iniziale considerevole, cui vanno aggiunti altri importanti costi fissi come l’assicurazione e le tasse. A questi si aggiungono costi variabili legati all’uso, come il carburante, i controlli e le riparazioni, che si accumulano nel tempo mettendo ulteriormente sotto pressione le finanze familiari, magari a scapito di altre necessità di base come una adeguata alimentazione, costi per acquisto o gestione della casa, cure specialistiche, la formazione dei figli o più semplicemente l’impossibilità di godere di opportunità culturali, viaggi o momenti di svago serale.

Alternative? La cara vecchia bicicletta può spesso egregiamente sostituire una seconda o terza auto familiare (ma in alcuni casi anche la prima): il suo costo iniziale è significativamente inferiore (anche nelle più costose versioni elettriche), e una volta acquistata richiede solo spese minime per la manutenzione; inoltre, maggiore è l’uso che riusciamo a farne anche solo nei piccoli spostamenti quotidiani, più sono rilevanti nel lungo periodo i risparmi nelle spese di carburante.

Oltre ai vantaggi economici diretti, la bicicletta offre una serie di benefici aggiuntivi per le famiglie, soprattutto per quelle a basso reddito. La ciclabilità promuove uno stile di vita attivo e salutare, riducendo i costi associati alle cure mediche correlate alla sedentarietà e alla mancanza di esercizio fisico. Inoltre, l’utilizzo della bicicletta come mezzo di trasporto quotidiano può migliorare l’accesso a opportunità di lavoro, istruzione e servizi che generalmente si concentrano nei grandi centri urbani: specialmente per chi proviene dai comuni più piccoli, in combinazione con un trasporto pubblico più strutturato permette di raggiungere le proprie destinazioni senza dover impegnare mezzi stipendi in acquisto di nuove autovetture.

Tuttavia, per garantire che la bicicletta sia un’opzione realistica ed accessibile per tutti, è fondamentale investire in infrastrutture ciclabili riconoscibili, sicure e ben mantenute, nonché implementare politiche che favoriscano l’integrazione della ciclabilità nei piani urbani e nei trasporti pubblici. La promozione della ciclabilità è quindi non solo una scelta ambientalmente responsabile, ma anche un passo importante verso una società più equa e inclusiva.

Senza rotelle!

Sono stati tanti i bambini che domenica 7 aprile hanno partecipato a “I Senza Rotelle”, organizzato dai “Genitori ECOattivi” al Parco Novi Sad di Modena, nei pressi della gradinata: un percorso disegnato sull’asfalto con segnali stradali, strade scolastiche e un attraversamento pedonale dotato di semaforo: un’occasione per i genitori di trovare suggerimenti e concreto aiuto fisico per insegnare ai figli a guidare la bici. Un bel modo di vivere la Giornata mondiale della salute.

Una situazione, quella delle persone che trascorrono tempo all’aria aperta a piedi e in bici, che ricordava situazioni già viste in nazioni del nord Europa, oppure in alcuni nuovi quartieri residenziali con percorsi ciclabili e “isole ambientali” dove sono limitati il transito delle auto o la loro velocità.

Molti dei presenti hanno voluto ascoltare la descrizione delle biciclette da carico (bici cargo) esposte, ed alcuni le hanno provate per un breve tratto, per provare la possibilità di trasportare la spesa settimanale o i bimbi più piccoli senza usare l’auto. Principalmente bici prodotte da produttori di Modena che le hanno messe a disposizione per prove gratuite. Era presente anche ARIA con la raccolta delle firme per la petizione Modena30, per promuovere un ripensamento degli spazi pubblici, in cui trascorrere tempo con i bambini all’aria aperta e in sicurezza.

Erano 60 i bambini iscritti, dai 2 fino agli 8 anni: chi è venuto con la sua balance bike, o la sua bici a pedali, con o senza rotelle. Un resoconto preciso del numero dei partecipanti è difficile, perché alcuni genitori a passeggio coi bimbi sono capitati lì per caso, incuriositi forse dalle voci amplificate dell’asta delle biciclette recuperate grazie all’animazione della Ciclofficina Popolare “Rimessa in Movimento” e dal Comitatissimo della Balorda, ed è stato bello assistere alla generosità dei giovani ciclisti che hanno prestato la propria bicicletta ai coetanei sprovvisti, per consentire loro di fare qualche prova.

I volontari della ciclofficina con il laboratorio “Come ti rubo la bici” hanno dato consigli su come fronteggiare al meglio il problema dei furti, e altri volontari hanno assistito alla nascita di nuovi ciclisti senza rotelle: il momento in cui il bambino smette di appoggiarsi al braccio o alle ruotine e pedala sulla bici autonomamente è sempre sorprendente.

Chissà se anche loro, da adulti, quando dovranno fare l’esempio di una azione che imparata non si dimentica più, diranno “… è come andare in bicicletta!”

I punti deboli delle reti ciclabili

Quando viene chiesto a Fiab Modena un parere sulla situazione della ciclabilità modenese, nel rispondere partiamo sempre da due constatazioni: non manca la realizzazione dei chilometri ciclabili, eppure tra i cittadini che pedalano è diffusa l’insoddisfazione. Un giudizio probabilmente ancora più pesante da parte di tutte quelle persone che nemmeno ci provano, a pedalare, neanche per gli spostamenti di prossimità, tanto che in città circa il 70% dei tragitti avviene in auto, ed il 45% dei tragitti in auto sono inferiori a 2,5 km.

Eppure, in una piccola città di pianura dovrebbe essere naturale muoversi in bici per una fascia ben più ampia di residenti: perché allora tutta questa diffidenza?

Le cause sono molteplici e hanno a che vedere sia con condizioni infrastrutturali che culturali, ma secondo noi il maggior ostacolo è la paura di avere un grave incidente con un automobilista.

Nei paesi che nei decenni scorsi avevano gli stessi nostri problemi di oggi, i pianificatori della mobilità hanno capito che la sicurezza percepita di un tragitto viene stabilita dai cittadini in base al punto più debole di tutto il percorso: in sostanza puoi percorrere anche 5km di ciclabili protette, ma poi se vieni lasciato in balia del traffico anche soltanto in un incrocio, allora la sensazione di sicurezza di tutto il tragitto si abbassa notevolmente.

Facciamo un esempio nostrano: alla fine della ciclabile protetta di Viale Montecuccoli, il ciclista si ritrova senza indicazioni all’interno della rotonda con Viale Monte Kosica, una delle più congestionate di tutto il centro urbano. Quale mamma si sentirebbe tranquilla a lasciare andare a scuola un adolescente dovendo passare in quel tratto? Purtroppo, in Italia la sistemazione dei punti deboli, quelli critici in cui la soluzione di sicurezza passa necessariamente da una redistribuzione degli spazi stradali, viene spesso procrastinata per gli elevati costi o perché ha risvolti rilevanti sulla circolazione automobilistica.

È un circolo vizioso: se non si affrontano questi snodi puoi avere anche una estensione di chilometri ciclabili importante come quella modenese (ai primi posti tra le città italiane) ma è una situazione che funziona solo per chi ha già una certa solidità di ciclismo urbano, e che quindi non configura una vera e propria rete attraente per il cittadino che vorrebbe provare a cambiare abitudini.

Dove passano le cargobike

La Regione Emilia Romagna ha attivato sia nel 2023 che nel 2024 un programma di incentivi fino a 1400 euro per l’acquisto di bici e bici cargo a pedalata assistita. L’obiettivo primario, si legge sul sito della Regione, è “la riduzione delle concentrazioni di PM10 e NOx nei comuni interessati dal numero di superamenti del valore limite giornaliero di PM10, a causa del quale le zone di pianura sono oggetto di procedura di infrazione europea”.

Le risorse sono andate esaurite in pochissimo tempo, segno dell’interesse dei cittadini per questa iniziativa e per quella che è ancora una novità nel panorama a due e tre ruote italiano: la bici cargo.

Ne esistono di varie tipologie: le più diffuse sono le cosiddette “longtail”, più lunghe nella parte posteriore per trasportare bambini o merci; le bici a “carriola” molto diffuse in Olanda, a due ruote e con un cassone anteriore; infine quelle a tre ruote, col cassone anteriore che ricorda vagamente una carrozza da film western.

Tutte rientrano a pieno titolo nelle dimensioni previste per i “velocipedi” secondo il Codice della Strada (massimo 1,30 m di larghezza, 3,5 m di lunghezza e 2,20 m di altezza), ma non tutte le infrastrutture ciclabili delle nostre città (ancora meno quelle ciclopedonali) sono adatte alla loro circolazione.

Per via delle dimensioni superiori a quelle di una bici classica, le bici cargo sono difficili da manovrare nelle curve a gomito di certe ciclopedonali; non passano agevolmente attraverso le barriere di archetti e cavalle che sono purtroppo ancora frequenti nonostante il Ministero col decreto 43 del 2 ottobre 2020 abbia precisato che non sono consentiti in funzione di rallentamento delle biciclette; richiedono infine una ampiezza della pista adeguata.

Secondo il D.M. Lavori Pubblici 557 del 1999, la larghezza minima di una pista ciclabile unidirezionale è di 1,50 m, che diventano 2,50 in caso di pista ciclabile bidirezionale. Questi, specifica il decreto, sono i minimi inderogabili per le piste sulle quali è prevista la circolazione solo di velocipedi a due ruote: “per le piste sulle quali è ammessa la circolazione di velocipedi a tre o più ruote, le suddette dimensioni devono essere opportunamente adeguate”.

Rendere le infrastrutture accoglienti per le cargo bike significa rimuovere le barriere architettoniche anche sedie a rotelle, scooter per disabili, tricicli per chi ha un ridotto equilibrio, carrellini per il trasporto bambini: una fondamentale tutela per le categorie più fragili.

Ladri di biciclette

Quando si parla di pedalare in città, sempre due aspetti vengono menzionati come i principali deterrenti: la percezione di essere in pericolo quando si pedala, e il timore di essere vittima di un furto di bicicletta. Per entrambi i problemi, la soluzione dipende in gran parte dall’offerta di infrastrutture adeguate, ma esistono buone pratiche che ciascuno di noi può adottare a livello individuale per essere più al sicuro. Oggi ci focalizziamo sulla questione furti.

La sicurezza di ritrovare la propria bici dopo averla parcheggiata dipende prima di tutto dalla disponibilità di stalli adeguati, il che implica due cose: sufficienti stalli, e di “qualità”. Se in città ci si imbatte in biciclette appoggiate a pali segnaletici, ringhiere e staccionate, significa che in quel luogo specifico ci sono troppi pochi stalli: oltre che brutto da vedere, è anche poco sicuro e può creare ingombro per gli altri passanti, specie se il palo o la ringhiera in questione dà su un marciapiede. Un urbanista in gamba saprà cogliere questa indicazione e pianificherà l’inserimento di un nuovo parcheggio bici, parcheggio che comunque non dovrebbe mai mancare vicino a scuole, biblioteche, centri medici, servizi pubblici, uffici postali e zone commerciali.

Laddove per questioni di spazio non si possono creare depositi custoditi, gli stalli devono essere “di qualità”: devono permettere di assicurare agevolmente il telaio della bici e non solo una ruota come succede nelle rastrelliere a “scolapiatti” che vanno ancora per la maggiore. Avete mai osservato una signora con la borsa della spesa armeggiare faticosamente, chinata tra una bici e l’altra, per slegare la ruota della sua dalla rastrelliera? E avete mai visto una ruota rimasta legata alla rastrelliera, mentre il ladro presumibilmente se ne è andato col telaio e tutto il resto? I depositi custoditi sarebbero essenziali invece vicino agli snodi di scambio come stazioni ferroviarie o degli autobus: dovrebbero accogliere un numero importante di biciclette, ed essere facilmente accessibili. Se uno ha liste d’attesa lunghissime, vuol dire che è troppo piccolo per le esigenze, e non accessibile.

In ultimo, ci possiamo salvaguardare in parte dai furti legando il telaio della bici con un solido lucchetto a U e assicurando le ruote (e la sella se possibile) con un cavo supplementare di ancoraggio in acciaio, oppure utilizzando due lucchetti. I ladri puntano a rubare quello che è più facile e veloce portare via.

Autovelox truffa? Allora aboliamo I limiti di velocità

Quando si sente parlare di truffe, si pensa subito al finto addetto del gas che tenta di intrufolarsi nelle case degli anziani con una scusa, per derubarli. Invece ultimamente la “truffa” per eccellenza sembra diventata quella degli autovelox, o almeno così sostiene nientepopodimeno che il Ministero dei Trasporti, che in un documento sulla “sicurezza stradale” titola “BASTA AUTOVELOX TRUFFA”, col sottotitolo “via gli impianti mangiasoldi, meno burocrazia, utilizzo solo di strumenti certificati, tutelando i cittadini da multe pazze”.

Vien da chiedere se il Ministro sa che, per direttiva del suo Ministero, solo dispositivi certificatissimi possono essere installati da sempre, e che ogni postazione fissa deve avere il via libera del Prefetto competente per territorio, al termine di un procedimento amministrativo di valutazione. L’iter per l’installazione è complesso, e i requisiti della strada molti: ci deve essere un rettilineo, senza frequenti intersezioni con altre strade e senza attraversamenti a raso. Inoltre, gli autovelox devono essere segnalati in anticipo: cosa c’è di truffaldino in tutto ciò?

Gli autovelox fanno scattare la multa se la velocità del veicolo supera quella stabilita per quella strada in base alle sue caratteristiche e anche alle convenzioni internazionali: il limite non è interpretabile, chi lo infrange viola una norma e mette a repentaglio se stesso e gli altri. Se le sanzioni volte a sanzionare il non rispetto del limite sono multe “pazze”, tanto vale, suggerisce Lorenzo Berselli, Ispettore della Polizia di Stato, responsabile della comunicazione di ASAPS, abolire tutte le multe per eccesso di velocità e già che ci siamo abolire del tutto anche i limiti di velocità. Bisognerebbe però rivedere anche le leggi della fisica, perché evidentemente quello che ci insegnano sulla velocità di impatto in caso di incidente è sbagliato. E bisognerebbe sospendere le indagini su Fleximan, che agirebbe nell’adempimento di un dovere sociale: e infatti anche i sindaci cedono sugli autovelox, “dobbiamo tener conto del sentire dei cittadini”.

Paola Di Caro, giornalista del Corriere della Sera che 18 mesi fa ha perso il figlio Francesco, travolto da un’auto mentre era sul marciapiede a Roma, scrive: “Vorrei che solo un giorno nella sua vita -uno solo- Fleximan provasse quello che provo io quando vado sulla Colombo, dove mio figlio è stato ammazzato, a sistemare i fiori. E poi vado al Verano, dove l’ho visto rinchiudere per sempre dietro una colata di cemento. A 18 anni”.