Elettriche e ibride nelle ZTL e nelle aree pedonali? Una mostruosità

Elettriche e ibride nelle Ztl e nelle aree pedonali?
È questo il cambiamento? Tornare indietro di 50 anni su mobilità sostenibile e tutela dei centri storici.

Nella Legge di stabilità appena approvata, il Governo attuale, che si definisce “del cambiamento”, ha inserito una modifica pericolosa al Codice della Strada: si tratta di una norma, il comma 103, che obbliga i Comuni a consentire “in ogni caso” a tutte le auto elettriche e ibride la circolazione nelle aree pedonali e nelle ZTL.

A nostro parere, questo intervento è una mostruosità che riporta indietro il Paese di almeno 50 anni, cancellando con due righe improvvisate i risultati raggiunti in decenni su mobilità sostenibile e tutela di piazze e strade delle città italiane, a danno di abitanti, commercianti, turisti e monumenti, alla faccia anche della sicurezza delle persone.

Immaginate piazza del Popolo a Roma o piazza del Plebiscito a Napoli, o piazza del Duomo a Milano, o via Maqueda a Palermo, percorse incessantemente da autovetture. Pensate ai centri storici medioevali di Bologna o Firenze, protetti da ZTL già a maglie troppo larghe, invasi dal traffico e parcheggio selvaggio di altre migliaia di macchine in più.

E’ questo il cambiamento? E’ davvero il ritorno al passato della motorizzazione che occupa ogni spazio urbano l’unica direzione che si intende prendere per mostrare la “novità”? Dov’è finito l’impegno alla “dieta del traffico”, ossia a togliere auto dalle città per renderle di nuovo vivibili e sicure, sottoscritto da tanti candidati, compreso il vicepremier Di Maio, in campagna elettorale?

Noi siamo convinti che questa norma debba essere cancellata immediatamente, e insieme dovrebbe essere previsto un comma di scuse alla collettività per aver anche solo pensato un orrore del genere. Lo chiediamo con forza e ci aspettiamo rapidità nella correzione.

FIAB Modena

Perché è importante che le città siano “camminabili”.

Passeggiando per le piccole strade del centro storico di città, ci si confronta spesso con il suo peggior nemico: la macchina. Il veicolo rende difficoltosa la tranquillità del pedone soprattutto quando i marciapiedi raggiungono la loro massima capacità con una persona.

Quanto più camminabile è una città, maggiori e forti sono i legami che si generano all’interno della comunità cittadina, dall’incentivare le piccole attività commerciali, alla sicurezza percepita, alla possibilità di lasciare che i bambini raggiungano la scuola a piedi riaffermando le loro relazioni sociali. Secondo lo studio americano (Walk this Way) che analizza l’impatto economico che ha la pedonalizzazione; i luoghi pedonali urbani posseggono un’economia molto più attiva rispetto ai “non pedonali”.

Per questo le amministrazioni pubbliche dovrebbero incoraggiare un maggior livello di pedonabilità, non solo per i benefici alla salute e all’ambiente associato al camminare, ma anche perché, rendere le aree cittadine camminabili genera attività economica, incrementa i valori delle proprietà immobiliari e del turismo, migliora la mobilità e aumenta la qualità di vita dei cittadini. I residenti dei luoghi con più aree pedonali hanno minori costi di trasporto e una maggiore accessibilità ai trasporti stessi.

Un buon livello di pedonabilità di una città, dal centro alle periferie, si stabilisce quando è in grado di promuovere un buon flusso pedonale, con strade e viali che permettano un uso misto tanto di biciclette come di automobili ed il facile raggiungimento di parchi e luoghi ricreativi. Sono le aree dove la macchina circola al massimo ai 30 km orari e dove i bambini possono giocare liberi e sicuri. Come realizzarle? Attraverso una prospettiva integrata della funzionalità dei diversi spazi pubblici ottenendo criteri di gerarchizzazione degli luoghi, con “corridoi urbani” che garantiscono la loro intercomunicazione e l’istituzione di un strutturato programma di intervento pedonale.

Una città di giochi, feste, scambi economici, manifestazioni politiche…senza questo la città in sostanza non esisterebbe.

Marina Beneventi

Vuoi arrivare al lavoro per la via più breve e meno trafficata? Consulta la App

Sono sicuramente molte le App che è possibile avere sul proprio smartphone e che ci aiutano a gestire i nostri spostamenti quotidiani in bicicletta.

Ne abbiamo scelte un paio, che hanno scopi completamente diversi. WeCity è la App che verrà utilizzata per il calcolo ufficiale del rimborso chilometrico nel progetto Bike to Work del Comune di Modena. È la prima App che premia la mobilità sostenibile: quando condividi l’auto, usi i mezzi pubblici, pedali o cammini, eviti CO2 e accumuli crediti. Un’auto nel traffico urbano mette in media un Kg di CO2 ogni 7 Km, mentre ad esempio, visto che con la bicicletta si annullano completamente le emissioni, se pedali riceverai 16 crediti ogni chilometro. E visto che non si può fare sempre a meno dell’auto, in quei casi se offri un passaggio farai un viaggio in compagnia, più sostenibile e divertente, ed in più guadagnerai 4 crediti al chilometro.

Alla fine con WeCity scambi i crediti con sconti e premi sempre nuovi: bici elettriche, eco-viaggi, voucher per i maggiori provider di car-sharing e tanti altri accessori intelligenti.

Naviki invece trasforma lo smartphone in un lavoratore satellitare per bicicletta: una App completa per iOS a Android, che trova il percorso migliore in base all’uso. Ad esempio è possibile scegliere la modalità “quotidiano” per i ciclisti urbani che vogliono percorsi ciclabili veloci e confortevoli, oppure “Mountain bike” per chi cerca percorsi offroad, boschi, itinerari di campagna, e superfici sterrate. E non manca neppure l’opzione “pedelec” con percorsi personalizzati per bici elettriche veloci fino ai 30 km/h.

Con Naviki è possibile pianificare gli itinerari sul PC e trasferirli con un solo clic sul dispositivo mobile per navigare con l’app Naviki, oppure al contrario pianificare gli itinerari mediante l’app in movimento e poi visualizzare e modificare successivamente i percorsi sul PC.

Ermes Spadoni

Ciclisti maleducati o cittadini che cercano di sopravvivere?

I pedoni e ciclisti sono sicuramente le specie urbane più adatte all’habitat cittadino, perché non inquinano e non ingombrano lo spazio pubblico, ma questo non li autorizza a comportarsi in modo maleducato. Anzi il comportamento poco rispettoso di alcuni diventa il pretesto per demonizzare l’intera categoria e serve a nascondere le responsabilità di una gestione della mobilità centrata solo sulle auto.

Vi sono tuttavia alcuni comportamenti “al limite” dei ciclisti che non possono essere confusi con la maleducazione stradale, perché consentono loro di sopravvivere in un territorio ostile. Come si possono biasimare i ciclisti che: pedalano un po’ distante dal bordo strada per evitare i pozzetti stradali e gli sportelli delle auto aperti sbadatamente; vanno sul marciapiede lungo strade a scorrimento veloce per salvarsi dalle auto; superano le auto ferme ai semafori per partire davanti all’arrivo del verde; attraversano in bicicletta i passaggi pedonali che uniscono due piste ciclabili; vanno in entrambi i sensi di marcia nelle strade urbane a senso unico per le auto, per evitare di raddoppiare le distanze. Tutti questi casi, più che rappresentare comportamenti scorretti dei ciclisti, denunciano una errata gestione della mobilità urbana, centrata solo sulle esigenze delle auto.

Sono infatti situazioni facili da superare con provvedimenti ormai diffusi in molte altre città europee e ampiamente collaudati: tracciatura di fasce protette al lato destro della strada; dotazione di pista ciclabili sulle strade principali di accesso alla città; tracciatura di passaggi ciclabili negli attraversamenti e negli incroci semaforizzati per dare continuità ai percorsi ciclabili; previsione di “sensi unici eccetto bici” dove le dimensioni delle strade lo consentono.

Vi è una responsabilità ancora maggiore se, dichiarando di aiutare i ciclisti, si sceglie di rubare lo spazio dei marciapiedi per inserire un pista ciclabile striminzita e promiscua o, peggio ancora, stalli di sosta per le auto. Sono i ciclisti i maleducati o i gestori irresponsabili della vita e della salute dei propri cittadini?

Giorgio Castelli
www.modenainbici.it

C’è chi sceglie di pedalare

Quando ero un ragazzino mio padre prendeva la bicicletta e salutava mia madre con un classico “a vagh a Modna”, che usavano i residenti fuori da quella che una volta era la cerchia delle mura, quando andavano in centro. Seguivo mia madre con la mia biciclettina blu quando andava a fare la spesa al mercato, l’Albinelli, dove c’era uno dei tanti depositi custoditi; sono andato a scuola con la ciclo e a zonzo con gli amici, spingendomi spesso fuori città.

Usare la bicicletta era normale, molti l’usavano tutti i giorni, ma poi qualcosa è cambiato. Forse abbiamo creduto di essere più ricchi e che l’automobile fosse più comoda. Una cosa è sicura abbiamo letteralmente intasato con le nostre auto la città, ammorbandone l’aria e deturpando molte belle vie e piazze del centro, trasformandole in parcheggi.

Certamente negli anni Modena è cresciuta con nuovi quartieri residenziali e nuove zone produttive e commerciali. Rimane però vero, almeno per i residenti in città, che difficilmente le distanze percorse per andare al lavoro non superano i 5 o 6 chilometri.

Nella Modena di oggi, molti lavoratori che usano la bicicletta lo fanno perché convinte della maggior comodità della stessa, nei piccoli e medi spostamenti quotidiani in città; qualcuno neppure possiede un automobile perché ha scoperto che non gli serve. C’è chi arriva in città in treno, con una bici pieghevole, per poi proseguire. C’è chi lascia la bici in deposito, usandola per gli spostamenti cittadini una volta lasciata l’auto in parcheggio. C’è chi usa la bicicletta perché ha solo quella. Chi della bici fa un mezzo di lavoro; corrieri in bicicletta che fanno consegne in città, compresa la spesa a domicilio. Una famiglia con tre bimbi ha perfino scelto di vendere l’auto per muoversi esclusivamente con una cargo bike.

Molti con l’uso della bici si sentono meglio fisicamente, sono meno stressati dal traffico, meno costretti, più liberi ed arrivano a destinazione più tranquilli, ottimisti e sereni…forse proprio come nella Modena di una volta.

Eugenio Carretti
www.modenainbici.it

Sorsate di libertà

Chiediamo ad un passante qualunque in che rapporto stanno, nel quotidiano, Lavoro e Libertà. Agli antipodi, sarà la risposta. Sennò perchè chiameremmo tempo libero quello che avanza dal lavoro? Invece, che libertà si associ a bicicletta non potrà negarlo: le due ruote evocano autonomia, facilità di spostamento, gambe attive e testa nell’aria.

Anche guidare l’auto è liberatorio, dice senza sosta la pubblicità in tv. Chiediamoci però come mai gli spot mostrano sempre macchine che sfrecciano solitarie in paesaggi sconfinati, mai in coda ai semafori nell’ora di punta. Inscatolati nell’ingorgo mattutino che rigurgita gas di scarico prima di essere inghiottiti dai luoghi di lavoro e di studio: che salutare inizio di giornata! Un’alternativa, almeno per molti, c’è: usare la bicicletta.

Un dono per il fisico e per l’umore. Il corpo, mortificato al chiuso per ore ogni giorno, ringrazierà, perché il bisogno di muoversi nello spazio è fisiologico, ed attivando i muscoli si ossigena anche il cervello. Ossigenare, nelle nostre città!? Sembra una beffa. Giusto, il dramma inquinamento: sacrosanto, anzi vitale far pressione perché chi ci amministra lo affronti davvero, drasticamente e in fretta. Ma fare la propria piccola parte per diminuirlo si può; tanto, non è vero che chiusi un macchina ci si difenda meglio dallo smog! È vero che ciclisti e pedoni respirano più smog di chi sta in auto, ma le ricerche mediche dimostrano che questo svantaggio è ampiamente compensato dai benefici del movimento.

Quindi ne vale la pena, da molti punti di vista. Sorrideremo di più ed emanando più benessere diventeremo, si spera, contagiosi: altri lasceranno la macchina in garage e respireremo tutti un po’ meglio. Fantasia? Allora mettiamola su un altro piano. È nota la sindrome dello “stress da vacanza”. Non è un paradosso: tutto quel tempo per se in un colpo solo dopo mesi di costrizione provoca un effetto overdose. La pedalata casa-lavoro: la nostra dose omeopatica quotidiana di libertà.

Chiara Marchiò

Modena, Carpi e Maranello premiati ComuniCiclabili

Modena, Carpi e Maranello sono i comuni dell’area modenese che portano a casa la gialla bandiera dei ComuniCiclabili, il premio che FIAB (Federazione Italiana Amici della Bicicletta) assegna ai comuni che si sottopongono ad una rigorosa valutazione del grado di ciclabilità, comparando città e cittadine di tutta Italia. Un riconoscimento importante per quelle comunità che vedono nella bicicletta la soluzione alternativa all’uso dell’auto privata negli spostamenti quotidiani, il modo per ridurre traffico e inquinamento e nel cicloturismo uno strumento di sviluppo economico per il territorio.

ComuniCiclabili dà una valutazione incrociata su: infrastrutture presenti sul territorio (ciclovie turistiche, piste ciclabili, Zone 30 di moderazione del traffico, aree pedonali e ZTL); Governance, cioè le politiche in atto che favoriscono l’uso della bici (se il comune si è dotato di PUMS (Piano Urbano della Mobilità Sostenibile) o di BiciPlan, un ufficio biciclette per le relazioni con l’utenza, programmi di bike to school o bike to work) e la comunicazione e la promozione all’uso della bici (ad es. le tante iniziative che Fiab Modena ogni anno propone alla cittadinanza, come Bimbinbici, i corsi di manutenzione della bici o per insegnare alle donne straniere ad usarla, il monitoraggio dei flussi ciclabili, gli itinerari didattici sulla bicicletta che proponiamo alle scuole).

Con 82 comuni italiani già valutati, alla sua seconda edizione, ComuniCiclicabili vede un exploit dell’Emilia Romagna. Ferrara e Cesena si riconfermano città altamente ciclabili (ottenendo il massimo, ben 5 bike-smile, l’unità di misura adottata per la valutazione); Parma e Piacenza se ne meritano 4  e sfiorano  5, Rimini 4,  Bologna 3 verso il 4. Anche Modena riesce a ottenere 4 bike-smiles, forte della sua dotazione infrastrutturale; dovrà però riconfermare il risultato il prossimo anno, in particolare lavorando sulla Governance, approvando il PUMS e non perdendo il finanziamento ministeriale sul progetto Bike To Work (incentivi chilometrici a chi va a lavorare in bici). Tre meritatissimi bike-smile anche a Carpi, il primo comune della provincia modenese che ha aderito a ComuniCiclabili, e a Maranello, capitale dell’auto di lusso, che è stata capace negli ultimi tempi di intraprendere politiche a favore della mobilità ciclistica trainando il resto del Distretto della Ceramica.

Paola Busani

 

 

 

 

Quando la precedenza diventa un ostacolo

Come in ogni materia la progettazione di infrastrutture ciclabili andrebbe affidata a tecnici preparati e che magari usano abitualmente la bicicletta in ambito urbano.

In molti casi invece, per la sottovalutazione delle competenze necessarie, la progettazione viene affidata a tecnici che non hanno avuto modo di approfondire la materia e, nel dubbio, abbondano con segnaletica e infrastrutturazione per “separare” il più possibile dal traffico motorizzato i percorsi per le biciclette.

Al fondo vi è una visione ingegneristica della mobilità che punta al confinamento degli utenti in luoghi separati e distinti: gli automobilisti padroni della strada, i ciclisti padroni delle piste, i pedoni padroni dei marciapiedi. Peccato che questa soluzione si scontri con la realtà di ogni incrocio che, soprattutto nelle aree urbane, interrompe tutte le diverse corsie separate.

Diventa così più facile fermare indistintamente i pedoni ed i ciclisti con barriere ed ostacoli con la scusa di proteggerli, piuttosto che fermare le auto per la sicurezza.

Un esempio concreto di questo atteggiamento negativo ed in contrasto con il Codice della Strada, riguarda la precedenza delle strade laterali che si immettono su una strada principale dotata di pista ciclabile. Spesso i segnali verticali e orizzontali di dare la precedenza vengono posti al limite della corsia stradale, escludendo la precedenza alla pista ciclabile e al pedonale.

Come se non bastasse sulla pista vengono posti i segnali di fine pista ciclabile e spesso manca la segnaletica orizzontale di attraversamento ciclabile o addirittura di attraversamento pedonale. Così le auto si fermano sulla pista e sul marciapiede per dare la precedenza alle auto in transito, impedendo il transito ai pedoni e ai ciclisti. Tutto ciò contrasta con l’art. 81 del Regolamento di attuazione del C.d.S. che precisa “i segnali dare precedenza (Art. 106) e fermarsi e dare precedenza (Art. 107) devono essere posti in prossimità del limite della carreggiata della strada (e non della corsia) che gode del diritto di precedenza”.

Vi sono molte esperienze in Italia ed Europa che testimoniano l’efficacia, sia in termini di fluidità del traffico che di sicurezza, di una mobilità della convivenza e della condivisione dello spazio pubblico e varrebbe la pena che amministratori e tecnici potessero dedicare un po’ di tempo per conoscerle ed approfondirle.

Giorgio Castelli
www.modenainbici.it

Un’altra occasione persa: il tortuoso incrocio via Luosi-Barozzi

In occasione del seminario “Mobilità in equilibrio”, organizzato lo scorso marzo da Fiab e dall’Ordine degli Architetti, è stata segnalata la tortuosità dei nuovi percorsi pedonali e ciclabili dell’incrocio di via Luosi con viale Barozzi. Il Comune infatti, nel realizzare la nuova pista di viale Barozzi, aveva ristretto e disassato la pista esistente di via Luosi, rendendola promiscua con il marciapiede.

Il giorno successivo il Comune, con una nota stampa, ha precisato che i lavori erano ancora in corso e che questi problemi sarebbero stati risolti. A nove mesi di distanza i percorsi sono rimasti gli stessi e l’isola spartitraffico per i pedoni e ciclisti è diventata un “arcipelago” di isolette di cemento, cosparso di nuove “palme” semaforiche. Sicuramente non sono state rispettate le dimensioni minime “inderogabili” per le piste ciclabili bidirezionali e per i percorsi pedonali, fissate rispettivamente in 2,5 e 1,5 metri.

Come se non bastasse, è stato regolato con semaforo anche l’incrocio tra la pista esistente di via Luosi con la corsia stradale che da via Luosi svolta in direzione di via Giardini. Così i pedoni ed i ciclisti devono attendere due diverse fasi semaforiche per attraversare viale Barozzi e se provengono da via Luosi devono stringersi su un angusto marciapiede per attendere il verde al nuovo semaforo. Per contro le auto sono obbligate a rimanere ferme anche quando non passano pedoni e ciclisti.

Si può immaginare cosa succede in questi angusti spazi negli orari di ingresso di uscita degli studenti dell’Istituto Fermi o quando passano le biciclette col carrellino per bambini, cargo bike o carrozzine elettriche per anziani, sempre più diffuse.

Abbiamo attentamente osservato in questi mesi l’incrocio e succede di tutto: auto che non rispettano il nuovo semaforo sullo svincolo, biciclette che provengono da via Riccoboni e affiancano a destra l’isola spartitraffico in contromano, pedoni che non sanno dove stare, auto che imboccano via Riccoboni sulla pista ciclabile, priva di ogni protezione o segnale verticale.

C’è da chiedersi quale logica abbia guidato la progettazione di questo incrocio che, usando in modo discutibile le risorse pubbliche, ha irrigidito i flussi di traffico, ha aumentato l’insicurezza dei passanti ed ha sacrificato pedoni e ciclisti.

Giorgio Castelli
www.modenainbici.it

Salto ad ostacoli sulle piste ciclabili

Molte piste ciclabili realizzate nella nostra Provincia sono cosparse di segnaletica paletti ed ostacoli non conformi al Codice della Strada.

Gli ostacoli artificiali installati sono dei più vari: pali di sostegno della segnaletica verticale o dei semafori posati al centro della pista, cavallotti in acciaio, transenne incrociate, fioriere e panettoni in calcestruzzo.

In alcuni casi si è arrivati perfino a “strozzare” con transenne i percorsi pedonali e ciclabili in corrispondenza di accessi privati (contravvenendo palesemente le norme del C. d S.) come nella pista in via Divisione Acqui a Modena davanti alla Maserati o in via Giardini a Ubersetto davanti all’azienda Fondovalle.

Questa abitudine sbagliata rappresenta un pericolo per tutti i ciclisti, in particolar modo per i bambini e le persone anziane, e contrasta prima di tutto con il “Regolamento recante norme per la definizione delle caratteristiche tecniche delle piste ciclabili” (Decreto 30 novembre 1999, n. 557) che, all’Art. 2, sottolinea la necessità di “puntare all’attrattività, alla continuità ed alla riconoscibilità dell’itinerario ciclabile, privilegiando i percorsi più’ brevi, diretti e sicuri”.

Nel caso di piste promiscue con i pedoni (ciclopedonali) questi ostacoli sono in contrasto anche con la normativa sull’abbattimento delle barriere architettoniche.

Quest’ultimo aspetto non va affatto sottovalutato, vista la crescente diffusione di deambulatori, carrozzine elettriche, monopattini, cargo bike, carrellini per trasporto bimbi ed altri ausili alla mobilità ciclabile e pedonale.

Negli anni ’70, agli albori della ciclabilità italiana, la posa di paletti e fioriere serviva per evitare che le piste venissero percorse dalle auto o che venissero utilizzate come spazio di sosta. Servivano in pratica a difenderle da un uso improprio.

Ma oggi si ha la netta sensazione che le scelte progettuali sulla mobilità ciclabile vengano guidate da una prospettiva tipica dell’automobilista, in pratica dal punto di vista del “cruscotto dell’automobile”.

Viene quindi da chiedersi perché progettisti ed amministratori insistano con questa cattiva abitudine che è palesemente in contrasto con la funzionalità dei percorsi, con la normativa vigente ed il buon senso.

Giorgio Castelli
www.modenainbici.it