Le Zone 30: regole per un buon funzionamento

La “Città 30” è un approccio che va ben oltre l’installazione di cartelli di limitazione di velocità, ma che vede nella condivisione dello spazio urbano la chiave avere città più vivibili e sicure. Ma a Modena ad oggi siamo solo ancora nella situazione di “zone 30” diffuse a macchia di leopardo, a volte invisibili.

Ma a quali condizioni una zona 30 è funzionale e rispettata dalla più ampia maggioranza dei cittadini? In quelle meglio progettate, senza troppi segnali, gli elementi architettonici dovrebbero indurci ad un rallentamento, rendendo naturale adeguare i nostri comportamenti a quelli degli altri utenti della strada.

Ad esempio, in questi giorni abbiamo letto di un incidente a Modena in una zona 30 in vicinanza di una scuola, dove l’automobilista ha invaso un marciapiede, distrutto qualche cassonetto, fino a terminare la corsa contro un furgoncino. Oltre al segnale stradale, la strada era dritta, larga quasi 4 metri per senso di marcia, e non erano presenti altre forme di limitazione della velocità: solo il caso ha voluto che non ci siano state conseguenze più gravi.

Proprio perché una zona 30 è ancora una eccezione in città, l’automobilista deve avere subito netta la sensazione di entrare in casa altrui: è il benvenuto ma deve usare le buone maniere. Per farlo si usano elementi di traffic calming già dall’ingresso dove un “portale” fatto anche solo da fioriere o da grandi pannelli laterali ci avvisa del cambio di ambiente. E poi una diversa pavimentazione e rialzi negli incroci, dove i marciapiedi vanno allargati per rendere i pedoni più visibili e l’angolo di sterzo più marcato, e rettilinei spezzati con restringimenti, sensi unici alternati, chicane o parcheggi in linea sfalsati sui due lati della strada per creare un effetto ottico che induce a rallentare.

Poi in ogni “zona 30” che si rispetti, i marciapiedi diventano ad uso esclusivo dei pedoni, mentre biciclette e monopattini tornano ad essere mezzi che devono stare in strada dove tutti i mezzi devono rispettare la semplice regola di dare la precedenza a chiunque venga da destra.

Se andiamo a vedere le “zone 30” modenesi facciamo fatica a riconoscere tutti questi accorgimenti: passi per quelle anni ‘90 (alcune delle quali ben fatte tra l’altro), ma deludono anche quelle nuove come il Cialdini, Torrenova, o Vaciglio. Eppure, anche a Modena sono previsti, sia nel PUMS che nel programma elettorale premiato dai cittadini, i principi della “slow city”: se non avremo una “città 30” ci aspettiamo almeno che tutte le “zone 30” lo siano anche nei fatti.

La sicurezza di chi va in bici

Le piste ciclopedonali non tutelano la sicurezza di chi pedala, e nemmeno quella di chi cammina: confinando in uno spazio spesso estremamente limitato chi si muove in maniera attiva, creano situazioni di conflitto in cui pedoni e biciclette si ostacolano a vicenda.

Ciò che le piste ciclopedonali ottengono quindi è di scoraggiare chi le usa: ci si sente più tranquilli prendendo l’auto. E’ per questo che secondo il Codice della Strada andrebbero limitate a brevi tratti, mentre nella pratica a Modena e provincia sono la modalità normale di pianificazione dei percorsi di mobilità attiva.

Un percorso ciclabile che si interrompe (con segnale di fine pista ciclabile, e il solo attraversamento pedonale) ogni volta che si incrocia una strada secondaria (o un accesso privato), non tutela la sicurezza di chi pedala. Secondo alcune interpretazioni, imporrebbe a chi è in bici di smontare di sella per attraversare, una manovra che non è agevole né sicura soprattutto per bambini e anziani (che dovrebbero essere maggiormente tutelati). Di certo, si interrompe la continuità del percorso, facendo l’opposto di quanto indicato dalle linee guida regionali 2017, e si trasmette un senso di minaccia costante, “Fermati che qui passano le auto”. Ciò che si ottiene quindi è di rendere così scomoda la percorrenza a chi pedala, da scoraggiarlo: meglio prendere l’auto.

Una transenna messa di traverso su un percorso ciclopedonale in corrispondenza di una intersezione con una strada secondaria, con l’obiettivo di portare chi pedala a rallentare o a smontare addirittura dalla bici, non tutela la sicurezza di chi pedala: ne ostacola il percorso, costringe anziani e bambini a manovre disagevoli e rovescia le responsabilità, poiché secondo il Codice della Strada dovrebbe essere chi si immette con un veicolo dalla strada secondaria a rallentare e dare precedenza, non viceversa.

E’ un circolo vizioso: nella pianificazione si prediligono certe interpretazioni del Codice della Strada pensando magari che vadano “a tutela della sicurezza” di chi pedala, quando invece è vero il contrario. Con la conseguenza che l’uso della bici risulta disagevole e pericoloso, quindi sempre meno persone sceglieranno di spostarsi in bici e sarà sempre più facile giustificare la carenza o l’inadeguatezza delle infrastrutture dicendo che “manca la cultura della bicicletta”.

E’ solo puntando sulla creazione di infrastrutture ciclabili sicure, adeguate per tutti (anche bambini e anziani) e invitanti che i ciclisti aumentano. Non ci sono scorciatoie.

L’elefante della immobilità

“Allargare le strade per ridurre la congestione è come allargare la cintura per ridurre l’obesità”: così negli anni ’50, l’urbanista americano Lewis Mumford anticipava quello che sarebbe stato il circolo vizioso che per decenni ha visto costruire sempre nuove infrastrutture per risolvere i problemi della fluidità del traffico.

70 anni dopo dalle nostre parti sono ancora all’ordine del giorno le notizie che vedono la provincia modenese paralizzata da un traffico insostenibile, in questo momento a causa di alcuni cantieri: d’altronde è difficile raccordare nuove strade od allargare le vecchie senza impattare sulla viabilità quotidiana, tanto che anche senza cantieri basta solo un incidente in autostrada per bloccare mezza città.

È un problema di difficile soluzione con percentuali di traffico motorizzato privato intorno al 70% degli spostamenti: nemmeno Los Angeles ha mai risolto il problema della congestione pur avendo realizzato motorways da 24 corsie e svincoli sovrapposti su tre livelli.
Purtroppo, le leggi della fisica sono spietate: non c’è infrastruttura che negli orari di punta permetta di trasportare una sola persona (in media in Italia le auto viaggiano con 1,2 persone) occupando 15mq da fermo ed almeno il triplo in movimento.

Ed allora come affrontare questo elefante che sembra non dimagrire mai? Oltre a lavorare sui tempi di lavoro e sullo smartworking per diminuire gli spostamenti e spalmarli su un arco temporale più ampio, l’unica alternativa è incentivare le persone ad usare modalità molto meno fameliche di spazio come i mezzi pubblici e la bicicletta, ben sapendo che la comodità e la flessibilità dell’auto spesso sono ineguagliabili ed insostituibili.

Ed allora si deve partire dal bersaglio grosso, quello degli spostamenti pianificabili, sempre uguali e ripetitivi che molti di noi fanno spesso proprio nelle ore di punta, quelle in cui sarebbe ancora più importante avere meno auto in strada a favore di chi non può abbandonare l’auto.

Ecco perché le direttrici casa-scuola e casa-lavoro devono essere le prime ad avere una alternativa credibile ed efficiente al mezzo privato: villaggi industriali, centri direzionali, plessi scolastici delle scuole dovrebbero essere per primi ben connessi e serviti da una rete di trasporto pubblico e ciclabile.

Il dimagrimento della mobilità è un tema enorme, che non ha panacee immediate ma che deve essere affrontato partendo dalle soluzioni più efficaci ed assimilabili dal maggior numero di cittadini possibile. L’alternativa è continuare a spendere soldi in infrastrutture che sposteranno solo il problema 5 anni o 5 km più in là.

A ciascuno il suo (nome): non incidenti ma violenza stradale

Si è appena chiusa la Settimana Europea della Mobilità, sette giorni ricchissimi di eventi e iniziative per un uso responsabile dello spazio pubblico (e le strade sono spazio pubblico per eccellenza!) e per città più a misura di persona.

Il clima di ottimismo si è però subito incrinato, perlomeno in Italia, con la pubblicazione del rapporto dell’Associazione Sostenitori e Amici della Polizia Stradale sulle vittime della strada tra i pedoni: in sintesi, “numero decessi sulle strade nel 2023 uguale al 2022 ma aumentano i feriti e gli investimenti complessivi.

Peggiorano i dati dei morti nelle grandi città. Ogni ora in Italia avvengono due investimenti di pedoni. Strisce pedonali sempre più insicure: 175 morti nello spazio che dovrebbe essere il più sicuro.” Cifre sconfortanti: eppure c’è chi li chiama ancora “incidenti”, come se fossero eventi sfortunati, che dipendono da circostanze che non possiamo controllare, inevitabili.

Invece le morti in strada hanno cause precise (l’eccesso di velocità e la distrazione alla guida in primis) e precise responsabilità! Chiamarli incidenti non fa altro che incoraggiare quello che è stato chiamato “disimpegno morale”: allontana la responsabilità da chi è al volante di un mezzo più pesante, ingombrante e potenzialmente pericoloso e che dovrebbe esercitare quindi maggiore cautela. Non esiste “asfalto scivoloso per la pioggia” o “sole abbagliante” che tenga: sta a chi conduce il veicolo adattare la guida alle condizioni della strada e dell’ambiente. Non esistono “strade killer, auto impazzite, dossi maledetti”: sono solo giustificazioni che assolvono e offrono un alibi a tutti gli automobilisti – la “colpa” è sempre di qualcun o qualcos’altro.

Non si tratta di incidenti dunque ma di violenza stradale: ogni volta che sorpassiamo con la riga continua, ogni volta che chiudiamo un occhio sui limiti di velocità, ogni volta che ci dimentichiamo di rallentare in prossimità di un attraversamento pedonale, che superiamo un ciclista a 15 cm dal manubrio (invece che mantenendo 1,5 m di distanza raccomandata). E’ violenza anche quando non ha conseguenze, perché diventa una abitudine al sopruso. E’ violenza anche se pensiamo “ma cosa vuoi che succeda!”.

In Italia la violenza stradale è la prima causa di morte al di sotto dei 40 anni e ogni anno ci costa, oltre a 3000 vite, quasi 30 miliardi di euro (2 punti di PIL). E’ la guerra più feroce a cui abbia partecipato il nostro paese nell’ultimo secolo.

Settimana Europea della Mobilità, un calendario fitto di iniziative

E’ cominciata il 16 settembre la Settimana Europea della Mobilità (SEM), la più importante campagna di sensibilizzazione della Commissione europea sulla mobilità urbana sostenibile.

“La condivisione dello spazio pubblico” è il tema di quest’anno: lo spazio pubblico è una risorsa preziosa e limitata soprattutto all’interno dei centri urbani. Strade e piazze sono luoghi di movimento, ma anche di interazione e relazioni: il loro utilizzo responsabile è vitale per garantire benessere fisico, mentale e sociale, in accordo con la definizione di salute riconosciuta dall’OMS, così come per lo sviluppo di una mobilità che renda più salubre l’ambiente in cui viviamo e più sicuri i nostri spostamenti.

In questo quadro la promozione della bicicletta diventa la chiave di volta per guidare il cambiamento verso città più vivibili. Più si sceglie la bici, più le nostre strade diventano a misura di persona, sicure e accessibili per tutti: lo dimostrano, tra l’altro, alcune delle iniziative messe in campo a Modena, come l’affiancamento dei ragazzi delle classi prime dell’Istituto Venturi in un itinerario sui percorsi ciclabili della città, e “3 ruote per l’amicizia”, che al parco Novi Sad in occasione della giornata UISP il 22 settembre illustrerà il progetto, basato sulla possibilità di accompagnare in giro su bici speciali chi per le ragioni più diverse non è in grado di pedalare in autonomia. La due ruote è un mezzo alla portata davvero di tutti, dalle bici con le rotelle oppure a “spinta” per i bimbi ai tricicli per chi è avanti con gli anni e non ha più l’equilibrio di una volta, alle famiglie con bimbi piccoli grazie alle cargo bike: il 22 settembre in Piazza Roma sarà possibile anche provare le bici cargo della neonata Cargoteca, che le offre su prenotazione in prestito gratuito. Scegliere la bicicletta come mezzo di trasporto significa scegliere di cambiare in meglio il nostro modo di muoverci e di vivere lo spazio pubblico: più efficiente, sano, veloce, economico e sostenibile. Provare per credere, Fiab ha lanciato una sfida: fare a meno dell’auto per una settimana, una soltanto, per scoprire la libertà, il benessere fisico e mentale e perché no anche i vantaggi economici del pedalare. Chi si sente insicuro, può chiedere liberamente l’affiancamento di un volontario Fiab per il tragitto che deve percorrere.

Maggiori informazioni e il calendario completo delle iniziative Fiab Modena e Carpi per la Settimana Europea della Mobilità sono disponibili al link https://www.modenainbici.it/calendario/

Al lavoro in bici? Ci andiamo insieme.

Anche quest’anno FIAB è in prima linea per portare in tutta Italia centinaia di iniziative nella Settimana Europea della Mobilità (16-22 settembre) e coinvolgere un numero sempre maggiore di persone, Enti, Aziende e Associazioni a porre attenzione al tema della Mobilità Sostenibile.
Per l’edizione 2024 la Commissione Europea ha scelto quattro aree tematiche e di intervento:
1) vivere lo spazio pubblico in modo diverso
2) riqualifichiamo insieme lo spazio urbano
3) strade scolastiche: creare uno spazio sicuro per gli spostamenti attivi
4) pianificazione e progettazione di strade più sicure

Il filo rosso è la “condivisione dello spazio pubblico” che può dirsi davvero di tutti quando è pensato ed organizzato per tutte le esigenze di mobilità, a partire dalla pedonalità e ciclabilità. Anche a Modena cercheremo di far vivere in modo diverso le strade proponendo diverse attività (elenco completo www.modenainbici.it): ci sono quelle classiche come l’accompagnamento di 14 classi prime dell’istituto Venturi nella loro prima pedalata cittadina, l’organizzazione di eventi con associazioni amiche come il GAFA per l’ Alzhaimer a Carpi o “3 ruote per l’amicizia” a Modena. Ma assicuriamo la nostra presenza anche nelle iniziative dei Comuni in tutta la provincia, come a Castelnuovo, a San Possidonio o a Mirandola dove ci sarà l’inaugurazione dell’Infopoint della Ciclovia del Sole.

Saremo poi al Centro Commerciale “i Portali” in una prima edizione del Bike2Work per i loro dipendenti. Ed in tema di Bike2Work da segnalare il lancio del progetto “Al lavoro in bici? Ci Andiamo Insieme”: l’idea nasce dalla constatazione che tanti cittadini vorrebbero provare ad andare in bici al lavoro, ma si fermano già alle prime difficoltà come scegliere la strada giusta ed evitare i pericoli del traffico.

Convinti che cambiare la modalità anche solo di un singolo viaggio sia importante, FIAB prova così a dare una risposta puntuale: il cittadino ci indica il punto di origine e quello di destinazione del tragitto, il giorno e l’orario che gli interessa e noi lo contatteremo per l’accompagnamento e gli accordi del caso. Il progetto è ora nella sua fase sperimentale, in base alle disponibilità dei nostri soci ed è gratuito.

Per chiedere un accompagnamento è necessario compilare il modulo alla pagina https://www.modenainbici.it/ci-andiamo-insieme/
L’invito è rivolto anche alle aziende e ai mobility manager che vogliono sensibilizzare i propri dipendenti. Allora, ci andiamo insieme?

Il ritorno dalle vacanze

In questo periodo dell’anno riceviamo testimonianze fotografiche dai viaggi in Europa dei nostri conoscenti. Immagini che documentano il livello crescente di ciclabilità degli altri paesi: dalla Spagna all’Irlanda, dal Belgio all’Austria fioccano tutte le soluzioni possibili come le corsie ciclabili dipinte, le strade ciclabili, i doppi sensi ciclabili, i filtri modali, le case avanzate, e soprattutto le ampie zone 30 con elementi di traffic calming in cui convivono gli automobilisti con sciami di persone in bicicletta di ogni età.

Una situazione che dovrebbe essere la normalità in una qualsiasi città del XXI secolo, ma che in Italia viene spesso bollata come una utopia non praticabile. Noi continuiamo ostinatamente a sperare che prima o poi decideremo di uscire dall’ insostenibile pressione sulle nostre città, schiacciate da un tasso di motorizzazione prossimo a 700 auto ogni 1000 abitanti, e da uno dei peggiori tassi di mortalità stradale di tutta l’UE (19esimo su 27).

Per farlo possiamo ispirarci dalle notizie che arrivano in queste settimane dalle isole britanniche: dal Galles, ad esempio, che ha fissato un limite di velocità di 20mph (32kmh) su tutte le strade edificate a settembre 2023, abbassando dal precedente limite di 30mph (48kmh). I dati del governo per le strade che hanno abbassato il limite mostrano 351 (-29%) tra morti e feriti in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso (in 6 mesi da ottobre a marzo), mentre nelle strade rimaste almeno a 40mph il calo delle persone coinvolte è “solo” del 2%.

A conferma di questi numeri, una compagnia assicuratrice locale afferma che da quando in Galles è stato abbassato il limite le richieste di risarcimento per danni ai veicoli sono diminuite del 20%, e che questo non è avvenuto in Inghilterra dove la società non ha riscontrato un calo analogo.

Proprio l’Inghilterra dove il nuovo ministro dei trasporti, la laburista Haigh, ha dichiarato che intende sostenere le autorità locali che vogliono introdurre zone a 20 miglia orarie, piste ciclabili e quartieri a basso traffico, con una brusca rottura con l’approccio del governo precedente.

Il ministro, che proprio per questo siede anche nel consiglio sanitario del governo, ha annunciato livelli di finanziamenti pluriennali “senza precedenti” per infrastrutture per pedoni e ciclisti, perché l’inattività fisica costa al Regno Unito 7,4 miliardi di sterline all’anno.

Insomma, salute e vivibilità valgono bene un cambio di stili di mobilità.

Se questa è una ciclabile

Un percorso ciclabile per essere davvero fruibile deve avere tre caratteristiche: deve essere sicuro, deve essere continuo e deve essere diretto.

Una pista ciclabile che all’inizio, alla fine o in mezzo ha paletti o transenne non è una vera ciclabile – è pericolosa soprattutto per chi ha più difficoltà di manovra, cioè bambini e anziani.

Una pista ciclabile che non rispetta il minimo di ampiezza consentito (2,50 metri più cordolo per una ciclabile bidirezionale) non è una vera ciclabile – non permette il passaggio agevole di carrellini per bambini, tricicli e bici cargo che pure hanno diritto di circolare.

Una pista ciclabile che termina nel nulla o che d’improvviso si trasforma in un percorso pedonale non è una vera ciclabile – chi pedala si trova disorientato (e adesso dove vado?) e si crea una discontinuità.

Una pista ciclabile che si interrompe ad ogni passo carraio e in corrispondenza di ogni immissione secondaria, costringendo chi pedala a dare precedenza, non è una vera pista ciclabile – pedalare “a singhiozzo” non solo non è piacevole, ma è pericoloso (di nuovo) soprattutto per anziani e bambini.

Una pista ciclabile che, causa cantieri, diventa per un tratto inutilizzabile senza che vengano predisposti percorsi alternativi non è una pista ciclabile – nessuna strada viene interrotta senza predisporre deviazioni per gli automobilisti.

Una pista ciclabile come si deve prevede attraversamenti ciclabili, dove chi pedala può restare in sella senza ombra di dubbio e ha il diritto di precedenza rispetto a chi sopraggiunge in auto.

Una pista ciclopedonale, va ribadito con forza, non è una pista ciclabile, ma dovrebbe costituire un compromesso di emergenza laddove non si può fare altrimenti – la compresenza di chi pedala e chi cammina su uno spazio angusto ostacola la mobilità attiva.

Una pista ciclabile senza indicazioni di direzione e distanza, infine, non è completa: nessuna strada viene lasciata completamente sprovvista di segnali stradali.

Per il Codice della Strada, se c’è una pista ciclabile dedicata, chi pedala è tenuto ad utilizzarla: a questo dovere, dovrebbe corrispondere il diritto a poter usufruire di un percorso continuo e ben interconnesso, con standard di ampiezza adeguati, senza ostacoli, sicuro e ben segnalato. Laddove ciò non è possibile con piste ciclabili ad hoc, le corsie ciclabili possono complementare efficacemente, in un’ottica di rete, i percorsi, purché la sicurezza sia garantita, ad esempio con un limite di 30 km/h per chi guida un’auto.

Le corsie ciclabili: un diritto-dovere in evidenza

Torna la polemica sulle corsie ciclabili in carreggiata, delimitate solo da righe dipinte sull’asfalto. In realtà il concetto non è certo nuovo: è dal 1953 che il Codice della Strada sancisce che i ciclisti possono transitare in carreggiata se non ci sono piste a loro dedicate, ma devono stare sulla destra e gli automobilisti per superarli devono osservare una “adeguata distanza laterale”.

La corsia dipinta sull’asfalto agisce da promemoria, portando in evidenza con il colore un diritto che già c’è (quello sia di chi guida sia di chi pedala di usare la carreggiata stradale) e un dovere che già c’è (quello di chi pedala di mantenersi a destra, e quello di chi guida di rispettare le due ruote). Da questo punto di vista, la corsia ciclabile non introduce in realtà alcuna limitazione rispetto a quello che già dovrebbe essere la norma.

Anche a Modena sono state demarcate negli ultimi anni 4 corsie ciclabili. Ora una mozione in Consiglio Comunale chiede che vengano rimosse perché ritenute da alcuni pericolose. Resta da capire perché un cittadino che pedala, legittimamente, a destra della carreggiata stradale, dovrebbe essere più sicuro senza la corsia dipinta. Laddove, per questioni di spazio, non è possibile creare una pista ciclabile separata di 2,5 metri più cordolo invalicabile, la corsia ciclabile non è altro che la demarcazione visiva del corretto comportamento che chi guida e chi pedala deve comunque adottare, riga sull’asfalto o no. Certo, sempre che non si voglia vietare alle due ruote il transito nelle vie in questione.

A Modena l’incidentalità a danno dei ciclisti è molto alta, come hanno giustamente fatto notare i firmatari della mozione, ma contrariamente a quello che affermano non risulta alcun aumento degli incidenti sulle corsie ciclabili introdotte. D’altronde, le corsie ciclabili sono molto diffuse in tutti i Paesi Europei e, dati alla mano, hanno mostrato di essere efficaci per aumentare la sicurezza di tutti gli utenti della strada, semplicemente con il loro ruolo di promemoria visivo: attenzione, la strada è di tutti, va condivisa rispettandosi reciprocamente.

FIAB ribadisce che le corsie tratteggiate sono un importante strumento in più a disposizione delle Amministrazioni per ridefinire lo spazio stradale e che la loro cancellazione senza soluzioni alternative rappresenta un arretramento sul piano della sicurezza. I diritti e i doveri in strada sono fondamentali, non abbiamo paura di metterli in evidenza!

L’importante è la salute! Pedalare e camminare allunga la vita: i dati

Si sa che uno stile di vita attivo aiuta a mantenersi in salute, ma quanto attivo, e quanto in salute? Basterà montare in sella o camminare per gli spostamenti di tutti i giorni, oppure ci tocca trovare il tempo, i soldi e le energie per iscriverci in palestra? La risposta non è ovvia.

Nonostante l’aumento degli investimenti nella mobilità attiva, la valutazione dei benefici in termini di salute per chi cammina o pedala tutti i giorni sono in genere limitate all’analisi di gruppi ristretti e a un breve periodo di follow-up, e ciclisti e pedoni vengono spesso analizzati insieme. Uno studio del British Medical Journal appena pubblicato ha voluto far luce in maniera più scientifica: ha preso in considerazione 82.297 individui di età compresa tra 16 e 74 anni, seguendoli per 18 anni tra il 2001 e il 2018, e separando i dati riguardanti pedoni e ciclisti. L’analisi, che ha preso il nome di Scottish Longitudinal Studies, è stata basata sui dati del censimento, incrociandoli con ospedalizzazioni, decessi e cartelle cliniche, con un modello statistico che teneva conto anche delle condizioni di salute preesistenti e delle caratteristiche demografiche e socio-economiche.

Rispetto al pendolarismo non attivo, una volta azzerate le altre variabili, il pendolarismo in bicicletta è stato associato a un rischio inferiore di mortalità per tutte le cause (47% in meno), a un rischio inferiore di ospedalizzazione (10% in meno), a un rischio inferiore di ospedalizzazione per malattie cardiovascolari (24% in meno) o di assumere regolarmente farmaci cardiovascolari (30% in meno), a un rischio inferiore di mortalità per cancro (51% in meno) e di ospedalizzazione per cancro (26% in meno) e a un rischio inferiore di avere una prescrizione per problemi di salute mentale (20% in meno). Il pendolarismo pedonale è stato associato a un rischio inferiore intorno al 10% di essere ricoverati in ospedale per qualsiasi motivo, di soffrire di malattie cardiovascolari croniche e di dover assumere farmaci per salute mentale.

Camminare e pedalare sono scelte individuali che però possono e devono essere incoraggiate attraverso oculate scelte di pianificazione: rendere i percorsi e gli attraversamenti più fruibili e sicuri può fare una enorme differenza. I cittadini che si muovono in bici e a piedi dovrebbero essere valorizzati e tutelati anziché messi ai margini, per il benessere loro e di tutta la comunità. In fondo, l’importante è la salute, no?