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Ancora con questa storia che i pedoni si buttano?
Gli ultimi dati consolidati ISTAT 2023 ci dicono che sulle strade italiane sono morti 485 pedoni, e purtroppo la stima preliminare di ASAPS per il 2024 ci riporta ancora 475 decessi (ma il numero definitivo ISTAT sarà quasi certamente peggiore).
E non è iniziato meglio il 2025: sempre secondo ASAPS, sono 43 i decessi nel mese di gennaio (di cui 23 avevano più di 65 anni) con un deciso incremento rispetto ai 31 di gennaio 2024. Di notevole sconforto il fatto che 26 investimenti mortali sono avvenuti sulle strisce pedonali. Sintetizzando, in un mese +38% di pedoni morti, di cui il 53% over65 e 60% sulle strisce pedonali: a fronte di questi numeri impressionanti, ciò che avvilisce è l’accettazione passiva di questa mattanza, a partire dall’opinione di quei cittadini che scaricano la colpa sulle vittime, nonostante i numeri certifichino essere in maggioranza persone di una certa età sulle strisce pedonali che difficilmente si “buttano” senza guardare.
Ma certo non fanno di meglio le istituzioni che non hanno ancora trovato il modo di arginare il fenomeno. Anzi, recentemente una campagna sicurezza della regione Lombardia è stata sospesa, ammettendo «passaggi fuorvianti» come «molti pedoni danno per scontato di avere sempre la precedenza, senza tenere conto che la sicurezza dipende anche dalla loro attenzione».
La realtà è che il fenomeno dei pedoni che “compaiono” sulle strisce è da addebitare principalmente a fattori legati a comportamenti di chi guida. Per primo alla distrazione: manuale (maneggiare sigarette, rasoi, trucchi, bere o mangiare), visiva (guardare il navigatore, leggere un messaggio, cercare qualcosa) o cognitiva (pensare a problemi, ripassare mentalmente un discorso, organizzare la giornata). Tutti comportamenti che dilatano tempi e spazi di frenata. Poi alla velocità: già a 50kmh il cono visivo di chi guida è la molto più stretto che a 30kmh, con l’effetto che tutti gli oggetti periferici vengono catturati dagli occhi ma rimossi dal cervello (il pedone c’è ma non si vede). Ed infine al parcheggio irregolare che riduce di molto la visibilità nelle vicinanze di attraversamenti pedonali.
D’altronde ricerche ANAS del 2023/24 concludono che il voto che gli italiani danno a sé stessi come guidatori è quasi 9, mentre il giudizio che hanno degli altri guidatori si attesta solo su una media di 5.4. Addirittura, per il 51% degli italiani non è pericoloso superare i limiti di velocità, soltanto il 34,7% ritiene utile rispettarli mentre il 16,4% ritiene che un guidatore esperto possa superarli.
Victim blaming, sopravalutazione delle proprie capacità, negazione degli effetti della velocità: è difficile sperare di avere meno pedoni morti sulle strade.
Bologna Città 30, una ricetta vincente
La Città 30 salva vite, incentiva la mobilità attiva e riduce lo smog. In sintesi non ha controindicazioni: fa solo del gran bene alle persone e all’ambiente, e a confermarlo sono i dati del primo anno di Bologna Città 30. Si dimezza il numero delle persone decedute sulla strada (10, -49% in meno), toccando su base annua il minimo storico dal 2013 a oggi (salvo il periodo Covid a mobilità limitata). Per la prima volta dal 1991 (il dato Istat più vecchio disponibile a livello cittadino), nessuna persona a piedi è stata uccisa sulle strade di Bologna: sono infatti zero i pedoni deceduti, e si riducono del 16% quelli investiti. Calano poi del 31% gli incidenti più gravi (“codice rosso”).
Come è successo nelle Città 30 di tutto il mondo, anche a Bologna è diminuito il traffico veicolare (-5%) e sono aumentati gli spostamenti in bicicletta: 1,58 milioni di passaggi ai contabici nel 2024 rispetto alla media di 1,44 milioni dei due anni precedenti, mentre il servizio di bike sharing gestito da RideMovi per la prima volta ha sfondato il muro di 3 milioni di corse in totale (1.275.558 corse in più nel 2024, +69% rispetto alla media 2022 e 2023).
Contrariamente ai timori di chi sosteneva che rallentando le auto sarebbe aumentato l’inquinamento, si è registrata una significativa riduzione del livello di NO2 (biossido di azoto), inquinante legato ai processi di combustione locali (veicoli a motore termico, impianti di riscaldamento domestico), che non si disperde facilmente. Nella centralina ARPAE di Porta San Felice, il valore medio orario di 29 µg/m3 registrato nel 2024 (al 30 novembre, ultimo dato disponibile), infatti, è in calo del 29,3% rispetto alla media annuale del 2022-2023 (41 µg/m3). In termini assoluti è il dato più basso degli ultimi 10 anni.
Sono dati importanti che fanno risaltare per contrasto anche la situazione di stasi asfittica di Modena: spostamenti in bici in calo da anni, una percezione di insicurezza diffusa e alimentata dai troppi pedoni e ciclisti falciati sulle strade e sulle strisce pedonali, incluse persone anziane e mamme con passeggini di cui non si può certamente dire “si sono lanciati sull’attraversamento”.
La cosiddetta Città 30 è ad oggi l’unica ricetta di provata efficacia di cui siamo a conoscenza per creare città più sicure, vivibili, sane, accessibili a tutti inclusi anziani e bambini: gli amministratori che la osteggiano o temporeggiano devono assumersi la responsabilità politica e morale delle morti che a causa di questa inazione non saranno evitate.
I danni del pensiero semplice: avremo imparato qualcosa?
Nelle ultime tre settimane vi abbiamo proposto una serie di articoli su alcune semplificazioni adottate negli ultimi decenni nelle nostre città che hanno prodotto diversi danni sul tessuto urbano, ed una preoccupante assuefazione dei cittadini a vivere in città sempre più brutte ed inospitali.
In quelle riflessioni sono stati semplicemente riportati gli effetti delle trasformazioni urbane già evidenti dapprima nelle città americane e poi in Nord Europa, ed alle quali anche i paesi mediterranei purtroppo si sono adeguati alla fine del Novecento. Zonizzazione delle funzioni delle città, separazione dei flussi degli spostamenti, marginalizzazione dei cittadini non motorizzati hanno dato il loro contribuito alla disgregazione di un tessuto sociale unico come quello italiano.
E’ interessante sapere che quegli articoli sono stati pubblicati originariamente nel 2010 sul nostro giornalino trimestrale “Infobici”, e risulta evidente che in questi 15 anni non è cambiato nulla nelle pratiche urbanistiche. E ciò è tanto più grave in quanto si deve prendere atto che i problemi della qualità dei rapporti nello spazio pubblico, nel frattempo, sono stati amplificati da fenomeni globali come la progressiva digitalizzazione del commercio e dei servizi (nonché delle relazioni umane), un turismo sempre più invadente, un crescente flusso immigratorio mal gestito, una economia da reinventare ed un cambiamento climatico sempre più repentino. Tutto passando da una pandemia che, oggettivamente, ha acuito ed esacerbato le tensioni e le diffidenze interpersonali.
Le città devono cambiare in fretta per adattarsi alle nuove sfide che vedono il bisogno di recuperare in ogni quartiere le funzioni di aggregazione e condivisione pacifica dello spazio: lo stanno facendo in tutta Europa e sembrano averne consapevolezza anche i tanti cittadini attivi modenesi che nei recenti laboratori partecipati hanno chiesto all’amministrazione luoghi pubblici più verdi, più accoglienti, puliti, più inclusivi di ogni età e fascia sociale, con un’urbanistica che unisce, facilità gli spostamenti e le funzioni di prossimità e non separa e riserva 80% dello spazio pubblico ad asfalto.
Perché, come scriveva il nostro presidente Giorgio Castelli nel 2010, “certamente non si può attribuire l’attuale senso di insicurezza alle sole scelte urbanistiche, ma è altrettanto certo che strade anonime producano gente anonima ed insicura”.
I danni del pensiero semplice: la gestione residuale della mobilità ciclabile/3
Riproponiamo una serie di articoli pubblicati sulla nostra rivista Infobici nel 2010, ma che ci sembrano ancora molto attuali (*).
La sicurezza delle persone, nella circolazione stradale, rientra tra le finalità primarie perseguite dallo Stato. Le norme ed i provvedimenti (devono): ridurre i costi economici, sociali ed ambientali che deriva dal traffico veicolare, migliorare il livello di qualità della vita dei cittadini, migliorare la fluidità della circolazione.
Questo non è il manifesto della FIAB ma il 1° articolo del Codice della Strada. Chi gestisce la mobilità urbana dovrebbe quindi privilegiare i mezzi più sostenibili, meno ingombranti e inquinanti, offrendo al cittadino la possibilità di scegliere tra andare a piedi, in bici, in autobus o in auto, a seconda degli spostamenti che deve fare. Ma per poter scegliere bisogna che tutte le modalità siano equamente confortevoli, sicure e convenienti.
Il pensiero semplice, che spesso guida le scelte degli uomini “del fare”, parte invece dalla convinzione che a piedi, in bici e coi mezzi pubblici si muovano le persone che non si devono preoccupare dei tempi di percorrenza: gli anziani ed i meno abbienti oppure tutti gli altri solo nel tempo libero. Per la loro sicurezza è quindi necessario realizzare una viabilità separata, protetti da barriere, paletti o transenne, oppure portati in alto o in basso per non attraversare il traffico auto. Provate la gimcana per bici (non si può chiamare pista) che unisce Saliceta San Giuliano a Baggiovara e che contiene buona parte delle soluzioni da pensiero semplice.
Mentre nei documenti ufficiali si afferma che le priorità sono chiare: 1° trasporto pubblico in sede propria, 2° estensione delle ciclabili, e solo 3° il potenziamento della viabilità dove vi sono gravi punti di congestione (Piano Urbano Mobilità Modena 2005), poi nella realtà non si fanno investimenti coerenti. Per Modena, ad esempio, si dovrebbero spendere per pedoni ed i ciclisti più del 13% degli investimenti dedicati alla mobilità, e dovrebbero essere presi provvedimenti che facilitino prioritariamente la loro circolazione. Invece si sprecano circa 3 milioni di euro all’anno per 30 anni per realizzare e mantenere il parcheggio del Novi Sad.
Il pensiero semplice non persegue l’armonizzazione della mobilità attraverso l’abbassamento delle velocità assolute, il freno all’uso dell’auto e l’incentivo verso gli altri mezzi e non riesce a comprendere che la qualità della vita e la fluidità del traffico urbano passa da un riequilibrio con scelte coraggiose per la tutela dei bisogni reali dei cittadini.
I danni del pensiero semplice: la gestione superficiale della mobilità/2
Riproponiamo una serie di articoli pubblicati sulla nostra rivista Infobici nel 2010, ma che ci sembrano ancora molto attuali (*).
Nello scorso articolo abbiamo visto i principali danni che il pensiero semplice provoca alla sicurezza e alla qualità della vita delle nostre città. Ma altrettanto gravi sono i danni generati dalla gestione superficiale della mobilità, che mira più alla segregazione ed alla separazione, che all’integrazione e alla convivenza dei mezzi di trasporto.
Con una visione che potremmo definire “idraulica” del traffico, si pensa che gli automobilisti seguano le stesse regole dei fluidi, dimenticando che anche i comportamenti di guida sono fortemente influenzati dalla forma degli spazi urbani. Nascono così ricette per “smaltire” il traffico, inconsciamente assimilato ai rifiuti, che generano strade extraurbane in città, con lunghi rettilinei e corsie larghe tre metri e mezzo.
Così, invece di rendere più fluido e più sicuro il traffico, si aumentano le velocità di punta dei veicoli e si permette la sosta abusiva sui lati delle strade. Salvo, poi, montare i dossi rallentatori per abbassare l’intollerabile numero di incidenti che, generalmente, sono maggiori di quelli che si verificano nel centro storico, pieno di strade contorte e di incroci senza visibilità.
Il pensiero semplice confonde la percezione della sicurezza con la sicurezza reale, dimenticando che dove ci si sente sicuri si aumenta la velocità e si rischia la propria e l’altrui vita. In una visione disattenta si riducono i marciapiedi al minimo consentito, invece che limitare le corsie stradali allo spazio strettamente necessario. In cerca di consenso, si dimentica che la normativa per la costruzione delle strade recita espressamente: “nelle strade residenziali prevale l’esigenza di adattare lo spazio strada, ai volumi costruiti ed alle necessità dei pedoni” e “in queste il progettista dovrà provvedere opportuni accorgimenti, sia costruttivi che di segnaletica, per il contenimento delle velocità praticate”.
È sconfortante vedere che la nostra città, che per secoli ha realizzato portici e piazze negli spazi centrali più preziosi, favorendo la crescita del senso civico, ora spreca territorio e risorse per far correre ed immagazzinare le automobili. Una gestione attenta richiederebbe invece una migliore integrazione tra le modalità di spostamento, per offrire ai cittadini scelte più consapevoli, centrate sulla sicurezza e sulla convivenza civile. (-continua)
I danni del pensiero semplice: il riflesso dello spazio pubblico e della mobilità sulla qualità della vita/1
Riproponiamo una serie di articoli pubblicati sulla nostra rivista Infobici nel 2010, ma che ci sembrano ancora molto attuali.(*)
Da alcuni anni il tema della sicurezza domina le campagne elettorali. Per combattere il senso di insicurezza, la politica propone in genere due rimedi: più agenti e più telecamere negli spazi pubblici. E poi ronde, con agenti mandati per le strade come placebo populista, costretti a trascurare le vere attività di contrasto alla criminalità.
Gli abitanti delle città vivono la loro giornata in luoghi specializzati: dormono in quartieri residenziali deserti durante il giorno, mangiano vicino al luogo deputato al lavoro, comprano nei grandi centri commerciali, sudano nelle palestre e si svagano nei cinema multisala.
Così la città, sempre più illuminata dai lampioni, perde gli occhi del controllo sociale. Scompaiono tutte le funzioni tipiche della strada, quali sostare, incontrarsi, sorseggiare una bibita, passeggiare e guardare le vetrine. In nome di una supposta sicurezza si perde gran parte della vita sociale che si è sempre sviluppata nella strada. Si perde il rapporto pubblico che unisce persone, tra le quali non esiste una conoscenza intima o privata. Quel tipo di conoscenza che in una città supporta la fiducia reciproca, che nasce col tempo da una infinità di piccoli contatti, sguardi e saluti che si incrociano sui marciapiedi. È la fiducia che non si può organizzare dall’alto e che costituisce la risorsa nei momenti di bisogno individuale o collettivo e che non implica alcun impegno privato.
È questa conoscenza pubblica si sviluppa solo tra cittadini che si muovono a piedi, in bicicletta o con i mezzi pubblici, mentre diventa impossibile il rapporto tra persone in auto, spinte più all’aggressività che al contatto. Non a caso i contatti tra automobilisti sono sinonimi di liti o incidenti stradali.
Tuttavia, l’urbanistica progetta nuove strade fiancheggiate da recinzioni e da spazi verdi di contorno. Sono quelle barriere che limitano la libertà, prima di tutto dei residenti. La vita sociale si restringe alle amicizie intime ed ai contatti di lavoro.
Certamente non si può attribuire l’attuale senso di insicurezza alle sole scelte urbanistiche, ma è altrettanto certo che strade anonime producano gente anonima ed insicura. Se si ristrutturano e si costruiscono pezzi di città privi di quei caratteri minimi che permettano alle persone estranee di convivere e di avere qualche cosa in comune, costringeremo gli abitanti all’insicurezza permanente. (-continua)
Dai laboratori partecipati una richiesta chiara di mobilità
Un’ ampia partecipazione ha contraddistinto i laboratori “Sei la mia città”, un percorso che l’Amministrazione modenese ha avviato per raccogliere contributi per migliorare la qualità delle aree urbane pubbliche.
È stato molto istruttivo ascoltare i bisogni dei singoli cittadini: tante proposte per il verde, dotazioni sportive all’aperto, nuovi spazi di aggregazione, strade scolastiche e tutto incardinato in una sistematica richiesta di collegare le funzioni pubbliche della città con una infrastruttura moderna di mobilità pedonale e ciclabile, finalmente alla portata delle esigenze dei cittadini di tutte le fasce di età, condizione fisica e sociale.
Per FIAB, che da sempre ha posto il tema della scarsa qualità degli spazi per chi si muove senza motore, è rincuorante sapere che esiste una ampia fascia di cittadini che avverte la necessità di un cambio di destinazione d’uso dello spazio stradale. Perché a sentire solo le lamentele sui giornali o sui social, sembra sempre che marciapiedi e ciclabili siano una spesa inutile o peggio dannosa per la fluidità della mobilità automobilistica.
Queste consultazioni segnalano che già da tempo c’è una prateria di bisogni urbani di almeno due generazioni di cittadini insoddisfatti. Cittadini che vogliono una città diversa, che non si trasformi in un semplice “omile”, termine con il quale Danilo Dolci indicava la degenerazione della città che si verifica quando le persone non stanno davvero insieme ma semplicemente si ammassano in un uno stesso luogo, e si perde lo spazio pubblico, la democrazia, la gentilezza, la civiltà, la bellezza, la forza dei legami interpersonali.
A questo scopo, riequilibrare gli spazi e le modalità di spostamento non è sufficiente, ma è una svolta necessaria che passa dal coinvolgimento delle persone sulle scelte in attuazione di piani come il PUMS ed il PUG, nonché del programma di governo che ha vinto ampiamente le recenti elezioni: per questo ci aspettiamo coerenza, urgenza e soprattutto investimenti e progettualità adeguate ai bisogni espressi.
Purtroppo, anche l’ultima finanziaria prevede una serie di tagli al capitolo «mobilità sostenibile e sicurezza stradale», tra i quali spiccano 47 milioni in meno per le ciclabili urbane: in questo quadro bisognerà fare delle scelte su dove indirizzare le risorse disponibili per la mobilità, e non c’è dubbio che in queste giornate i modenesi abbiano chiesto un’azione urgente e decisa in favore di ciclabili e marciapiedi.
Le Zone 30: regole per un buon funzionamento
La “Città 30” è un approccio che va ben oltre l’installazione di cartelli di limitazione di velocità, ma che vede nella condivisione dello spazio urbano la chiave avere città più vivibili e sicure. Ma a Modena ad oggi siamo solo ancora nella situazione di “zone 30” diffuse a macchia di leopardo, a volte invisibili.
Ma a quali condizioni una zona 30 è funzionale e rispettata dalla più ampia maggioranza dei cittadini? In quelle meglio progettate, senza troppi segnali, gli elementi architettonici dovrebbero indurci ad un rallentamento, rendendo naturale adeguare i nostri comportamenti a quelli degli altri utenti della strada.
Ad esempio, in questi giorni abbiamo letto di un incidente a Modena in una zona 30 in vicinanza di una scuola, dove l’automobilista ha invaso un marciapiede, distrutto qualche cassonetto, fino a terminare la corsa contro un furgoncino. Oltre al segnale stradale, la strada era dritta, larga quasi 4 metri per senso di marcia, e non erano presenti altre forme di limitazione della velocità: solo il caso ha voluto che non ci siano state conseguenze più gravi.
Proprio perché una zona 30 è ancora una eccezione in città, l’automobilista deve avere subito netta la sensazione di entrare in casa altrui: è il benvenuto ma deve usare le buone maniere. Per farlo si usano elementi di traffic calming già dall’ingresso dove un “portale” fatto anche solo da fioriere o da grandi pannelli laterali ci avvisa del cambio di ambiente. E poi una diversa pavimentazione e rialzi negli incroci, dove i marciapiedi vanno allargati per rendere i pedoni più visibili e l’angolo di sterzo più marcato, e rettilinei spezzati con restringimenti, sensi unici alternati, chicane o parcheggi in linea sfalsati sui due lati della strada per creare un effetto ottico che induce a rallentare.
Poi in ogni “zona 30” che si rispetti, i marciapiedi diventano ad uso esclusivo dei pedoni, mentre biciclette e monopattini tornano ad essere mezzi che devono stare in strada dove tutti i mezzi devono rispettare la semplice regola di dare la precedenza a chiunque venga da destra.
Se andiamo a vedere le “zone 30” modenesi facciamo fatica a riconoscere tutti questi accorgimenti: passi per quelle anni ‘90 (alcune delle quali ben fatte tra l’altro), ma deludono anche quelle nuove come il Cialdini, Torrenova, o Vaciglio. Eppure, anche a Modena sono previsti, sia nel PUMS che nel programma elettorale premiato dai cittadini, i principi della “slow city”: se non avremo una “città 30” ci aspettiamo almeno che tutte le “zone 30” lo siano anche nei fatti.
La sicurezza di chi va in bici
Le piste ciclopedonali non tutelano la sicurezza di chi pedala, e nemmeno quella di chi cammina: confinando in uno spazio spesso estremamente limitato chi si muove in maniera attiva, creano situazioni di conflitto in cui pedoni e biciclette si ostacolano a vicenda.
Ciò che le piste ciclopedonali ottengono quindi è di scoraggiare chi le usa: ci si sente più tranquilli prendendo l’auto. E’ per questo che secondo il Codice della Strada andrebbero limitate a brevi tratti, mentre nella pratica a Modena e provincia sono la modalità normale di pianificazione dei percorsi di mobilità attiva.
Un percorso ciclabile che si interrompe (con segnale di fine pista ciclabile, e il solo attraversamento pedonale) ogni volta che si incrocia una strada secondaria (o un accesso privato), non tutela la sicurezza di chi pedala. Secondo alcune interpretazioni, imporrebbe a chi è in bici di smontare di sella per attraversare, una manovra che non è agevole né sicura soprattutto per bambini e anziani (che dovrebbero essere maggiormente tutelati). Di certo, si interrompe la continuità del percorso, facendo l’opposto di quanto indicato dalle linee guida regionali 2017, e si trasmette un senso di minaccia costante, “Fermati che qui passano le auto”. Ciò che si ottiene quindi è di rendere così scomoda la percorrenza a chi pedala, da scoraggiarlo: meglio prendere l’auto.
Una transenna messa di traverso su un percorso ciclopedonale in corrispondenza di una intersezione con una strada secondaria, con l’obiettivo di portare chi pedala a rallentare o a smontare addirittura dalla bici, non tutela la sicurezza di chi pedala: ne ostacola il percorso, costringe anziani e bambini a manovre disagevoli e rovescia le responsabilità, poiché secondo il Codice della Strada dovrebbe essere chi si immette con un veicolo dalla strada secondaria a rallentare e dare precedenza, non viceversa.
E’ un circolo vizioso: nella pianificazione si prediligono certe interpretazioni del Codice della Strada pensando magari che vadano “a tutela della sicurezza” di chi pedala, quando invece è vero il contrario. Con la conseguenza che l’uso della bici risulta disagevole e pericoloso, quindi sempre meno persone sceglieranno di spostarsi in bici e sarà sempre più facile giustificare la carenza o l’inadeguatezza delle infrastrutture dicendo che “manca la cultura della bicicletta”.
E’ solo puntando sulla creazione di infrastrutture ciclabili sicure, adeguate per tutti (anche bambini e anziani) e invitanti che i ciclisti aumentano. Non ci sono scorciatoie.