Giornata del Bike to Work: consigli per aziende

Venerdì 16 settembre sarà giornata Bike To Work, siamo tutti invitati da Fiab a recarci al lavoro in bicicletta.

Affinché una campagna Bike to Work in azienda possa attuarsi con successo è consigliabile: installare rastrelliere custodite; meglio ancora prevedere parcheggi per le bici all’interno dell’azienda. Il lavoratore deve essere sicuro di ritrovare la bicicletta all’uscita del lavoro; questo permette anche l’utilizzo di biciclette di qualità migliore o di bici-elettriche che consentono di coprire distanze maggiori.

Allestire uno spazio adibito a spogliatoio/officina per chi ha necessità di cambiarsi prima del lavoro e assicurare qualche attrezzo per piccole manutenzioni.

Garantire una certa flessibilità nell’orario di entrata e uscita al lavoratore “ciclista”.

Le aziende, inoltre, possono offrire ai dipendenti, come incentivo, la polizza RC per spostamenti in bici. Un’interessante soluzione è l’adesione a CIAB-Club Imprese Amiche della Bicicletta che prevede la copertura assicurativa RC per tutti gli spostamenti in bici dei dipendenti. In alternativa, l’azienda può assicurare ciascun dipendente mediante il tesseramento individuale a FIAB, che include la copertura assicurativa RC Bici per danni a terzi provocati in bicicletta. Il tema della sicurezza è fondamentale e l’impegno di FIAB negli anni ha portato ad esempio, nel 2016, al riconoscimento INAIL dell’infortunio in itinere per chi sceglie di andare al lavoro in bicicletta.

Ma soprattutto verificare gli accessi al posto di lavoro; come sono i percorsi ciclabili in prossimità dell’azienda? Ci sono dei punti critici da risolvere? Ad esempio un attraversamento ciclo-pedonale non sicuro, un semaforo troppo lungo, divieti di parcheggio bici all’interno del cortile.

Offrire un servizio di consulenza sull’individuazione del percorso casa-lavoro (il più semplice, diretto e sicuro), anche utilizzando una app che consenta di memorizzare i percorsi casa-lavoro, conteggiare i km fatti in bici e relativo risparmio di CO2 e consumo di calorie.
Organizzare corsi di manutenzione bici e sicurezza, ma anche gite aziendali in bicicletta, o un gruppo ciclistico aziendale con divisa personalizzata (bella pubblicità!).

Individuare un responsabile della mobilità all’interno dell’azienda, in caso che non sia previsto il ruolo del mobility manager e somministrare ai lavoratori un questionario sugli spostamenti casa-lavoro per conoscerne meglio le esigenze, le abitudini di spostamento e trovare le giuste risposte.

Prevedere incentivi aziendali per l’acquisto di biciclette da parte dei singoli lavoratori o in gruppi di acquisto e, non ultimo, un incentivo economico in ore di permessi retribuiti o addirittura in busta paga, come quelli previsti dai progetti BikeToWork attivati dalla Regione Emila Romagna in collaborazione con le amministrazioni comunali.

Elezioni 2022, decalogo FIAB per le forze politiche. Tra i punti la “piena attuazione del Piano Generale della Mobilità Ciclistica”

LETTERA APERTA DI FIAB alle candidate e ai candidati alle elezioni politiche 2022, alle/ai leader delle forze politiche

Pubblichiamo la lettera aperta scritta dal Presidente FIAB, Alessandro Tursi, e rivolta a candidati e candidate alle elezioni Politiche del 25 settembre.

In questi mesi è balzato in cima alle preoccupazioni di famiglie e imprese italiane il doppio tema del caro energia e del rischio razionamento gas per il prossimo imminente inverno. Nello scenario emergenziale da economia di guerra, e che proprio dalla guerra trae origine, in cui è indispensabile e urgente ridurre la spesa energetica e risparmiare combustibili per non fermare le aziende e il lavoro e per non restare al freddo nei mesi invernali, FIAB torna a proporre il tema della mobilità alternativa in bicicletta come una soluzione necessaria.

Ricordiamo che fu proprio durante una crisi energetica – quella petrolifera del 1973 – che l’Olanda decise, come Sistema Paese, di cambiare modello di mobilità, iniziando quel percorso che l’ha resa il paese che conosciamo oggi: puntando sulla bicicletta non sono certo tornati all’era pre-industriale, ma al contrario questa scelta ha contribuito a rendere il Paese più ricco, moderno e turisticamente attraente, dove si usa il mezzo più efficiente a seconda degli spostamenti.

In Italia la gran parte degli spostamenti avviene in ambito urbano e periurbano, quindi su distanze di una manciata di chilometri, agevolmente percorribili in bicicletta. Oggi poi le biciclette a pedalata assistita elettrica, che consumano una quantità di energia infinitesima rispetto all’auto elettrica, permettono quasi a tutti di scegliere il pedale come alternativa intelligente al volante, anche in età avanzata e/o in presenza di dislivelli.

Vi è poi il tema sempre più sentito della crisi climatica, non più un problema di domani da prevenire, ma un’emergenza già oggi, come ci hanno ricordato questa estate le immagini del Po in drammatica secca e la tragica implosione del ghiacciaio della Marmolada: pesanti ricadute sui nostri agricoltori e sull’industria, sulla qualità della vita e sull’incolumità delle persone. La bicicletta è una soluzione energetica e climatica al tempo stesso e gli italiani hanno dimostrato in questi ultimi anni di volerla usare sempre di più.

Vi è poi il turismo, fondamentale per l’economia italiana, che ormai non può più prescindere dalla bicicletta. Il Ministero del Turismo, infatti, ha di recente mostrato grande interesse al tema: permettere ai turisti di tutto il mondo di poter fruire del nostro ineguagliabile patrimonio artistico e paesaggistico in bicicletta, non solo lungo gli itinerari extraurbani ma anche nelle nostre città, così ricche di storia e cultura, ci darebbe una straordinaria marcia in più, quanto mai utile in questo momento di difficoltà.

La bicicletta è una soluzione perla salute dei cittadini. È acclarato che fin da piccoli la mobilità attiva previene molte patologie, dall’obesità infantile alle malattie cardiovascolari, facendo inoltre risparmiare miliardi di euro al sistema sanitario nazionale, e per questo occorre consentire ai nostri bambini e ragazzi finalmente il diritto a percorrere in sicurezza i percorsi casa-scuola con le proprie gambe, a piedi e in bicicletta, al pari dei loro coetanei del resto d’Europa.

La bicicletta è una soluzione win-win e bipartisan, in cui vinciamo tutti come Sistema Paese e come comunità, a cominciare proprio da coloro che continueranno a dover guidare quotidianamente per lavoro e necessità, come ad esempio tassisti, autotrasportatori, agenti di commercio, che potranno così finalmente avere a disposizione strade meno congestionate e più sicure.

Per questi motivi FIAB vi chiede di mettere al centro della vostra proposta politica anche la transizione intelligente della mobilità, basata sull’offrire ai cittadini la libertà di poter scegliere anche la bicicletta per i più vari spostamenti, in maniera facile e sicura.

In allegato il DECALOGO delle PROPOSTE FIAB.
Proposte della Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta alle candidate e ai candidati alle elezioni politiche 2022 e alle/ai leader delle forze politiche.

1. La piena attuazione del Piano Generale della Mobilità Ciclistica, di recente approvato in modo bipartisan in Conferenza Stato-Regioni, anche e soprattutto mediante finanziamenti costanti e non occasionali, per un’adeguata programmazione pluriennale da parte degli enti e degli amministratori locali.

2. L’integrazione delle politiche sanitarie e sociali con quelle della mobilità attiva – ciclistica e pedonale – che va favorita quale strumento di prevenzione e cura delle diverse patologie legate alla sedentarietà, incluse obesità infantile e patologie derivanti dall’invecchiamento della popolazione.

3. L’integrazione delle politiche e delle azioni legate alla scuola e all’istruzione di ogni ordine e grado con quelle della mobilità attiva, in particolare ciclistica e pedonale.

4. La messa a sistema delle azioni di mobility management e l’obbligatorietà, con adeguato finanziamento, della figura del mobility manager e dei piani di spostamento all’interno di ogni ente e organizzazione pubblica e privata, scuole in primis.

5. La promozione e lo sviluppo del turismo in bicicletta nelle sue varie forme, con programmazione e progettazione di sistemi turistici dedicati e integrati con altre forme di turismo.

6. Il potenziamento del trasporto pubblico, in particolare su ferro, assicurando l’intermodalità sistematica treno/bicicletta e il trasporto delle biciclette su tutti i convogli regionali e nazionali.

7. L’eliminazione dell’IVA sulle biciclette a pedalata muscolare e/o assistita, di ogni tipologia, e agevolazioni per l’acquisto delle bici da carico (cargo bike) e mezzi aziendali.

8. Incentivi al risparmio di combustibili e al cambio di abitudini per contrastare il caro vita e scongiurare il razionamento, sui modelli francese e tedesco-spagnolo: bonus per l’acquisto di bici elettriche per chi rottama auto inquinanti, con priorità a redditi bassi e aree urbane, e prezzi nettamente ribassati per gli abbonamenti a treni e altri mezzi pubblici, con periodi di promozione gratuiti.

9. Sicurezza per gli utenti vulnerabili come pedoni e ciclisti che, in mancanza di misure severe nei confronti degli atteggiamenti indisciplinati di chi è alla guida di veicoli a motore, sono troppo spesso vittime ingiustamente colpevolizzate. Una misura fondamentale è l’abbassamento del limite di velocità nelle aree urbane a 30 km/h, come già avviene in molti altri paesi.

10. Una cabina di regia nazionale, interministeriale, che coordini e gestisca le azioni di cui ai punti precedenti.

6 settembre 2022

Mobilità urbana in sicurezza e Zone Scolastiche

Fra pochi giorni riapriranno le scuole in tutta la provincia che per nove mesi all’anno, saranno i più grandi generatori di mobilità urbana. Con l’unica eccezione di una scuola media di Novi, la maggioranza di tutte le altre scuole non hanno o non sono state coinvolte dalle varie amministrazioni locali a piani e progetti di percorsi casa-scuola in sicurezza a piedi e/bici.

Le scuole, ogni giorno lavorativo, promuovono lo spostamento di migliaia di studenti, genitori, insegnanti e ausiliari. Una mobilità talmente prevedibile che tranne alcune variabili demografiche e nuove localizzazioni di plessi scolastici dovrebbe essere la più facile da gestire, programmare, comprendere e mettere in sicurezza. E invece no!

In Italia oltre i 2/3 degli studenti delle scuole dell’obbligo si reca quotidianamente a scuola in automobile rispetto agli anni ’80, quando oltre l’80% dei bambini andava a scuola a piedi o in bicicletta.

L’obbligo per gli insegnanti all’uscita da scuola di consegnare gli studenti ad un adulto (prevalentemente per le elementari) e la comodità per l’adulto accompagnatore sono le cause principali, ma la verità è il senso di pericolo nei percorsi casa-scuola dovuta alla sostenuta velocità in città. Il nuovo codice della strada ha previsto l’obbligo di istituire le Zone Scolastiche, in cui deve essere garantita una particolare protezione dei pedoni e ciclisti e dell’ambiente consentendo la facoltà di limitare o escludere nelle zone scolastiche urbane la circolazione, la sosta o la fermata di tutte o di alcune categorie di veicoli in orari e con modalità definite. Ovviamente tranne agli scuolabus, ai bus nonché ai titolari di contrassegno di disabilità.

La legge è in vigore dal 2021, ma non abbiamo visto una applicazione estesa della norma anche se (dice la legge) “chiunque violi gli obblighi, le limitazioni o i divieti previsti nelle zone scolastiche urbane è soggetto a sanzione amministrativa”. La sensazione è che anche per quest’anno non vengano istituite le zone scolastiche, che continueremo a vedere rodei di auto mattutini e pomeridiani davanti alle scuole e che l’anno prossimo sarà uguale. Sperando che non scappi il freno a mano e qualcuno si faccia male.

Quando invece più pedoni e ciclisti (e trasporto pubblico) nei percorsi casa – scuola aumenterebbe la sicurezza stradale in maniera più che proporzionale, rasserenando i genitori, rendendo più autonomi i ragazzi e le ragazze, al loro benessere psicofisico, consumando meno gas climalteranti e combustibili fossili.

Più bici, più felici

Tante ragioni per pedalare (anche quando piove)

Perché andare in bici? Perché non si dipende dalle condizioni del traffico e si può contare su tempi di arrivo affidabili. Perchè si può arrivare esattamente dove si ha necessità di arrivare senza problemi di ZTL. Perché si trova agilmente parcheggio. Perché si risparmia sui costi del carburante. Perché anche la manutenzione di base si può facilmente imparare a farsela da soli (che dà soddisfazione e di nuovo fa risparmiare). Perché non c’è il bollo da pagare e anche l’assicurazione, che non è obbligatoria ma sempre una buona idea, costa molto meno di quella di un’auto. Perché mette i muscoli in movimento e fa sentire più in forma. Perché integra il movimento nella vita quotidiana senza bisogno di iscriversi in palestra. Perché tonifica il cuore e la circolazione sanguigna e allena il respiro senza gravare sulle articolazioni. Perché migliora la salute generale e fa ammalare di meno. Perché brucia calorie e aiuta a mantenere un peso corretto senza doversi mettere a dieta. Perché libera endorfine che mettono di buonumore. Perché pedalare libera la mente e schiarisce le idee. Perché é una forma di meditazione. Perché poi a scuola o al lavoro ci si concentra meglio. Perché non ci si stressa negli ingorghi. Perché si ha più tempo per guardarsi intorno e apprezzare le bellezze della campagna e della città, ma anche le vetrine dei negozi. Perché se in una vetrina si vede qualcosa che ci piace, ci si può fermare nell’immediata prossimità del negozio per acquistarlo. Perché aiuta il commercio locale e rende più viva la nostra città. Perché si prende il sole in faccia. Perché si sentono meglio i profumi: dei tigli in fiore, dell’erba tagliata nel parchetto vicino, dei croissant della pasticceria… Perché nel cambiamento di luce, di temperatura sulla pelle, di odori, ci si rende conto con più consapevolezza del passare delle stagioni. Perché non emette alcun fetore (salvo se si sono mangiati troppi fagioli) e non si ammorba l’aria nemmeno con le polveri sottili. Perché si scivola silenziosi senza fare rumore. Perché è un modo di spostarsi gentile e democratico, accessibile a tutti: bambini e anziani, ricchi e poveri, sportivi e diversamente abili. Perché con l’equipaggiamento giusto anche la pioggia è un’avventura. Perché non contribuisce alle emissioni che alterano pesantemente il clima. Per tutte queste ragioni, scientificamente provate, e molte altre: provare per credere, non tornerete più indietro, perché in bici si è più felici.

Che fastidio quelle bici in strada: perché le campagne contro chi pedala sono pericolose

“Ciclisti irriverenti e indisciplinati” in un “quadro piuttosto allarmante”, si leggeva qualche giorno fa nell’edizione milanese di un noto quotidiano nazionale. “Pedalatori che incuranti dei rischi, per loro e per gli altri, cambiano direzione senza guardare minimamente se alle loro spalle sopraggiunge qualche veicolo, […] se ne fregano egregiamente dei colori del semaforo o imboccano contromano qualsiasi strada. Per non parlare poi dei ciclisti in gruppo che invece di procedere in fila indiana come prevede il Codice della Strada, pedalano compatti su 4 o 5 file manco fossero alla volata finale del Giro d’Italia.” Quadro allarmante? In Italia sono 2 o 3 l’anno le morti causate da ciclisti, contro le oltre 3000 causate da mezzi motorizzati. Dove sta l’allarme?

L’obbligo di procedere in fila indiana è stato recentemente anche al centro della discussa campagna di una sezione locale della Polizia Municipale. Pedalare affiancati di per sè non crea pericolo (tanto che in Spagna e Inghilterra è consigliato), ma obbliga ad un sorpasso “ponderato” come per sorpassare un’auto. Eppure, puntare il dito contro chi pedala sembra diventata una norma culturale. Perché?

I ciclisti sono una minoranza, e quindi un bersaglio facile; una minoranza che in più risulta spesso fastidiosa per chi guida un’auto, cioè la maggioranza. Fastidiosa quando non se ne sta ‘“al suo posto” sulle piste quasi esclusivamente ciclopedonali cittadine (dove peraltro per il CdS non è tenuta a stare); fastidiosa se la si incontra in un’escursione fuori porta, su una strada stretta e magari tortuosa, dove sorpassare è rischioso e accodarsi è troppo lento.

Fa pensare però che le preziose risorse in dotazione alla Polizia Municipale vengano utilizzate per stigmatizzare chi pedala quando chi guida un’auto ha un potenziale di causare danno molto più elevato e, statistiche alla mano, è spesso responsabile per le collisioni con i ciclisti. Il trattamento riservato ai “pedalatori” dai mezzi di comunicazione in realtà ha conseguenze importanti. Così viene fatto passare il messaggio, pericoloso e sbagliato, che è chi pedala che è responsabile per la propria sicurezza, mentre gli automobilisti non giocano alcun ruolo. Non solo: uno studio dell’Università di Monash ha provato che quando le campagne di informazione o comunicazione puntano il dito contro i ciclisti, chi guida si sente autorizzato ad adottare verso di loro comportamenti più aggressivi (e quindi pericolosi).

FIAB: dalla Polizia Locale una inutile provocazione

Nei giorni scorsi ha fatto notizia un tweet della Polizia Locale delle Terre dei Castelli, in cui si ricorda come il Codice della Strada imponga ai cittadini in bicicletta di viaggiare in fila indiana fuori dai centri abitati, ed informa che analogo obbligo non sussiste nell’abitato. Fino a qui nulla da eccepire, una informazione corretta che magari poteva essere completata ricordando che la regola della fila indiana non vale quando “uno di essi sia minore di anni dieci e proceda sulla destra dell’altro”, oppure che durante il sorpasso di un ciclista, gli automobilisti devono comunque mantenere una “adeguata distanza laterale”. Una norma che spesso non viene rispettata proprio quando i ciclisti sono in fila indiana, per riuscire a sorpassare senza rallentare ne valicare la mezzeria. Eppure, chi pedala sa quanto siano pericolosi il rumore e lo spostamento d’aria di una macchina che passa a poche decine di decimetri.

Invece l’account ufficiale di Polizia Locale completa l’informazione aggiungendo una espressione gratuita di dileggio, che circola da tempo nel web, sui ciclisti che non riescono nemmeno a stare in fila come (stupide) oche, di cui non vediamo la necessità in un servizio di pubblica utilità. Con l’aggravante che il tweet, nel frattempo, è stato ricondiviso da molti altri account di Polizia Locale.

Abbiamo sperato che fosse un inconsapevole scivolone estivo dettato dalla mania di essere simpatici a qualsiasi costo, e già così ci è apparso sgradevole e non consono all’ufficialità un organo di polizia. Invece in una intervista, il Comandante ne rivendica la paternità come “provocazione” all’interno di una campagna per riportare all’attenzione il problema dell’incidentalità riferita a utenti in bici, che solo negli ultimi 20 mesi ha riportato nel suo territorio 89 episodi con 4 morti. Numeri alti, ma senza indicazioni su cause, dinamiche o responsabilità.

Quanti di questi incidenti sono avvenuti con ciclisti in gruppo non rispettosi della norma in questione, e quanti invece a ciclisti singoli o regolarmente in fila indiana alla destra della carreggiata?

Solo così sapremo se è un’utile provocazione o un pessimo modo di dare la colpa alle vittime scivolando nella derisione: non abbiamo peraltro notizie di analoghe ilarità su automobilisti che non rispettano i limiti di velocità, le distanze di sicurezza, il divieto di uso del cellulare, o che parcheggiano fuori dagli spazi, svoltano senza freccia ed altre mille piccole e grandi infrazioni.

Se invece dai numeri viaggiare affiancati risulta essere un comportamento marginale ai fini della sicurezza, potremmo iniziare a rivedere in luce diversa proprio quel vecchio articolo del CdS che richiede di pedalare in fila indiana. Spagna ed Inghilterra, ad esempio, hanno aggiornato il loro CdS e ora pedalare affiancati non solo è permesso, ma consigliato per la sicurezza perché i ciclisti sono più visibili da lontano e perché la manovra di sorpasso risulta più breve e più calcolata dato che comporta necessariamente lo sconfinamento nell’altra corsia.

FIAB ricorda comunque come il CdS metta in capo a chi sorpassa la responsabilità di accertarsi se ci siano le condizioni per poterlo fare in sicurezza, indipendentemente che ci trovi davanti ad un trattore, un motociclo, una fila indiana di ciclisti od un gruppo di cittadini che non meritano sicuramente il “filotto” che gli viene augurato tutte le volte che girano questi post di “ciclisti che non sanno nemmeno stare in fila come oche”.

(*) nella foto il tweet della Polizia Locale Terre di Castelli e quello della Guardia Civil spagnola che ricorda agli automobilisti che per il loro CdS i ciclisti possono pedalare appaiati, e che per sorpassarli occorre lasciare almeno 1,5 metri di distanza laterale.

Ciclabilità: abbiamo un piano!

La scorsa settimana il Mims (Ministero delle infrastrutture e mobilità sostenibili) ha ottenuto il via libera della Conferenza Stato Regioni al primo Piano Generale della Mobilità Ciclistica. È un documento importante, che definisce le risorse e contiene la programmazione di lungo periodo per i sistemi di mobilità ciclistica urbana e interurbana, in linea con quelli già adottati da molti paesi UE.

La struttura tecnica di FIAB in questi mesi ha partecipato attivamente alla stesura del piano, ed è un risultato di cui siamo molto orgogliosi. È corredato anche di un manuale operativo che consente d’ora in poi a tutti i progettisti e Comuni di realizzare infrastrutture ciclabili secondo le più avanzate tecniche europee. Ma quello che è più importante è che fissa un nuovo paradigma in cui la bicicletta diventa mezzo di trasporto con pari dignità. Non ci credete? Ne riportiamo un paragrafo:

PRINCIPI GENERALI PER LA PROGETTAZIONE DELLE RETI URBANE CICLABILI

Il primo principio ordinatore é quello di garantire la “democrazia dello spazio pubblico” che comporta una redistribuzione più equilibrata e giusta delle strade. In sintesi: va aumentato lo spazio destinato alla ciclabilità (oltre che alla pedonalità e al trasporto pubblico) e razionalizzato quello per la circolazione e sosta dei veicoli privati, evitando invece di sottrarne alle altre componenti più vulnerabili e già povere di spazio come pedoni, bambini, anziani e disabili (sono quindi da superare, salvo eccezioni, i percorsi ciclopedonali e quelli su marciapiede).

In luogo della tradizionale “separazione/segregazione”, il criterio guida è il modello della “condivisione” dello spazio stradale tra gli utenti, secondo i principi “la strada è di tutti” e “safety in numbers”. Molteplici esperienze e studi internazionali hanno dimostrato che la presenza delle biciclette sulla strada, dando visibilità e legittimazione all’uso della bici, aumenta la accessibilità, sicurezza e quantità dei ciclisti e l’attenzione e il rispetto da parte dei conducenti dei mezzi a motore.

Per accrescere il livello di sicurezza stradale, bisogna promuovere la realizzazione delle “Città 30 km/h” come regola generale in ambito urbano, lasciando i 50 km/h come eccezione per gli assi di scorrimento veloce, decisiva per ridurre l’incidentalità, rumore ed inquinamento atmosferico, favorendo gli spostamenti a piedi, in bici, con la micromobilità elettrica e i mezzi pubblici, senza significative variazioni dei tempi medi di percorrenza veicolare

La “prova costume” si supera pedalando!

Sedentarietà ed obesità diminuiscono dove vengono introdotte piste ciclabili.

Preoccupati dalla cosiddetta “prova costume” di cui immancabilmente si parla ogni estate? In effetti, i dati sono spietati: il 35% di Italiani è clinicamente in sovrappeso, con un 10% di affetti da obesità. Una tendenza che comincia da bambini, e infatti l’Italia è uno dei Paesi Europei con il tasso più alto di obesità infantile: quasi un bambino su 10 è obeso, mentre ad essere in sovrappeso è un bambino su 4. A causare questa epidemia sono soprattutto abitudini alimentari scorrette e uno stile di vita troppo poco attivo. Non è un caso forse che, secondo le ultime rilevazioni Istat 2021, la percentuale di sedentari in Italia coincide con la percentuale di persone in sovrappeso: oltre il 35% degli italiani non fa sport nè pratica attività fisica nel tempo libero. Tra I bambini, 1 bambino su 5 non svolge esercizi fisici, più del 70% non va a scuola a piedi o in bicicletta e quasi la metà trascorre più di 2 ore al giorno davanti a televisione, tablet o telefono cellulare.

Sovrappeso e vita sedentaria, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, aumentano il rischio di malattie cardiovascolari, ipertensione e diabete, osteoporosi, disturbi del metabolismo, depressione e ansia oltre che problemi all’apparato digerente. Tutti in palestra, quindi? Per mantenere un impegno come la palestra servono un tempo dedicato, una motivazione alta e costante e perseveranza, ed è difficile riuscirci con le nostre vite frenetiche.

Una soluzione ci sarebbe: incorporare l’attività fisica nella routine quotidiana, e la maniera migliore di farlo è di usare il tragitto casa-lavoro o casa-scuola per sgranchirsi le gambe a piedi o in bicicletta. Si riuscirebbero così a raggiungere i 150-300 minuti di attività moderata raccomandati dall’OMS (e si arriverebbe a scuola e al lavoro più freschi!).

Uno studio del 2021 sull’Obesity Review ha rilevato addirittura che l’assenza di piste ciclabili di qualità e l’obesità infantile sono correlate, e che laddove vengono fatti interventi che favoriscono la ciclabilità (non solo piste ciclabili ma interventi di moderazione di velocità e via dicendo), l’obesità infantile si riduce. Un esempio lampante di come il ridisegno delle città influisce sui comportamenti individuali e porta a benefici per tutti, anche in termini di salute. Altro che prova costume: con una città a misura di persona saremmo meno stressati, più in forma e molto probabilmente anche più felici.

La strada è per tutti: la campagna Carpi 30 e il diritto di tutti a muoversi (ma anche a bighellonare) in sicurezza

A Carpi la Fiab, insieme a molte altre associazioni operanti sul territorio, ha iniziato una campagna per chiedere l’abbassamento dei limiti di velocità in ambito urbano a 30 km/h, che è la norma consolidata in molte città europee. Le obiezioni non si sono fatte aspettare: un cittadino ci ha scritto che dovremmo smetterla (testuali parole) di “rompere le balle a chi con la mobilità ci lavora” perché “le strade sono piene di ostacoli umani, privi di qualsiasi motivazione per circolare”.

Sono affermazioni curiose. Per prima cosa, il cittadino dà per scontato che chi lavora usi solo l’auto per recarsi sul posto di lavoro. Non è così: una breve ricerca nella cronaca sulle vittime della violenza stradale a Carpi negli ultimi anni riporta di un operaio in bici travolto da un camionista nella rotonda tra Via dell’Industria e Via Guastalla mentre rientrava dal lavoro e di un quarantenne in bici investito sulle strisce pedonali di Via Cattani mentre andava a lavorare. Quindi c’è anche chi “con la mobilità ci lavora” ma in bici. Una sparuta minoranza? Se ci fossero meno rischi di essere investiti, probabilmente quella minoranza aumenterebbe di numero (considerato anche quel che costa oggi il carburante): proprio il limite dei 30 orari ridurrebbe di un quarto il rischio di incidenti, e della metà quello di ferimenti gravi.

Non è tutto. Il cittadino insiste sugli “ostacoli umani” che a suo parere sarebbero in strada per futili motivi, suggerendo due cose: che chiunque usa l’auto lo fa per motivazioni serie e probabilmente produttive, mentre chi si sposta a piedi o in bici ha solo del tempo da perdere e da far perdere agli altri. Eppure, un sacco di persone usano l’auto per andarsi a comprare le sigarette, o il gelato, o andare a trovare un amico dall’altro lato della città, che sono ragioni valide per spostarsi anche se non “produttive”.

Dall’altro lato, non si capisce perché gli spostamenti di uno studente che va in bici a scuola, della signora che va a piedi dalla parrucchiera o dell’operaio che dopo otto ore di turno esce per una pedalata siano meno legittimi di quelli di chi va a lavorare.

Il limite dei 30 orari non impedisce alle auto di circolare ma tutela tutti, perché le persone che non usano l’auto non sono certo “ostacoli” ma sono quello che rende vive, vibranti e umane le città. Come sarebbe una città in cui si può uscire solo in auto, e solo per andare al lavoro? Viva il diritto di bighellonare in sicurezza.

E’ nata prima la ciclabile o la gallina?

Un classico: ogni volta che affermiamo che in città vanno premiati i cittadini che provano a muoversi con modalità sostenibili ed invece penalizzati quelli che usano sempre l’auto privata, ci viene contestato che è sbagliato perché mancano le alternative. La controdeduzione sembra sensata: prima si costruisce una bella rete di ciclabili ed un trasporto pubblico efficiente e rapido, e solo a quel punto possiamo chiedere ai cittadini di abbandonare le auto.

Purtroppo, non funziona così almeno per due motivi. Il primo è proprio perché lo spazio che serve per costruire ciclabili e corsie riservate per i mezzi pubblici è occupato dalle auto. Con 65 auto ogni 100 abitanti (compresi i neonati) ed una occupazione media di 1,2 persone per auto, le città italiane sono imballate da auto in movimento e parcheggiate. Perché un’auto sta ferma per il 92% della giornata, ma anche da ferma occupa tanto prezioso spazio pubblico, e vediamo bene le battaglie per togliere qualche posteggio tutte le volte che una amministrazione prova a costruire qualche metro di ciclabile. Ogni cittadino sa bene che se vuole andare al lavoro e lasciare ferma la sua auto otto ore in strada, ha assoluto bisogno di quello spazio libero (e gratuito possibilmente).

Per i mezzi pubblici la tensione è ancora maggiore: se non ci sono corsie riservate, il mezzo pubblico ha velocità e tempi di percorrenza non competitivi, proprio perché frenato dall’enorme traffico privato cittadino. Nelle grosse città ci sono i numeri per costruire metropolitane sotterranee, ma è una soluzione non praticabile nelle piccole medie città. E la riprova che il mezzo privato non ha alcuna possibilità di risolvere i problemi delle città sta nei numeri: a Milano, ad esempio, il 56,7% della popolazione utilizza l’ottima rete di trasporto pubblico, eppure la rimanente minoranza di chi si sposta in auto intasa regolarmente la città.

Il secondo motivo è che per cambiare le dinamiche della mobilità le politiche devono essere selettive e non addizionali: se si aggiungono nuove modalità di transito, senza togliere parcheggi e priorità al traffico privato, i cittadini continueranno per comodità ad usare l’auto. Se i cittadini possono transitare e parcheggiare ovunque davanti ad ogni destinazione, perché dovrebbero cambiare le loro abitudini?

In ogni città europea che ha fatto con successo queste operazioni, i marciapiedi, le piste ciclabili e corsie bus hanno tolto spazio a parcheggi e corsie di transito. Solo così può funzionare.