In un incontro pubblico sul Piano della mobilità ciclistica (21 aprile 2016), l’assessore alla Mobilità del Comune di Modena, Gabriele Giacobazzi, ne ha richiamato i due obiettivi salienti: collegamento delle ciclabili in una rete più funzionale e realizzazione di zone a moderazione di velocità. Tutte ottime cose, certo, ma saranno sufficienti a far calare i veleni immessi dalle automobili nell’ambiente, come richiesto dalla Regione Emilia Romagna ai Comuni?
L’assenza di indicatori di risultati con cui valutare l’efficacia della ‘cura del pedale’ prevista dal Piano ne ridimensiona le iniziali ‘ambizioni’ (ridurre gli spostamenti automobilistici a favore di quelli ciclistici), proclamate dal sindaco, Giancarlo Muzzarelli, al momento della sua formulazione, oltre un anno fa.
Una politica della mobilità lungimirante non può che fondarsi su un ampio mix di misure coerenti e di medio-lungo periodo: messa in sicurezza delle strade per pedoni e ciclisti, contrasto ai furti di bici, zone a moderazione di velocità, agevolazioni per i sistemi di trasporto ecologici, disincentivi all’uso delle auto e incentivi all’uso della bicicletta.
Su quest’ultimo fattore, giungono good news dai ricercatori di UniMoRe: grazie ad un’applicazione per cellulari (We-City), è possibile calcolare la CO2 non emessa in atmosfera in relazione alla modalità di spostamento ecologica scelta dall’interessato (a piedi, in bici, col car-pooling e i mezzi pubblici).
Potendo disporre di tale informazione, la Fiab lancia al Comune di Modena, all’Ausl, ad Hera e a tutte le organizzazioni pubbliche e private disponibili una proposta concreta: impiegando We-City, potrebbero concordare incentivi (economici, di tempo libero, di servizi) da offrire ai propri dipendenti per gli spostamenti ecologici. D’altronde, già varie città e società premiano i collaboratori con denaro o giorni di congedo. A problemi concreti (l’inquinamento da traffico) si deve rispondere con soluzioni concrete e appetibili per i destinatari.
E così, dopo due anni di progetti, contestazioni, ripensamenti, bocciature delle Circoscrizioni, mozioni integrative in Consiglio Comunale, una spesa di oltre 650.000 euro, la ciclabile della discordia è quasi pronta, sotto gli occhi di tutti.
La più improbabile pista mai concepita si presenta in tutta la sua incongruità, con la larghezza a fisarmonica e le misure irregolari, le filette-bunker, le vezzose (e costose) preziosità della pavimentazione di porfido e granito, le intersezioni raccapriccianti e, soprattutto, con l’ormai famoso “spezzatino”, metà di qua, metà di là. E, per finire, dopo l’intersezione con Viale Corassori, la confluenza sulla pista preesistente, vecchia come il cucco, sopra il marciapiede, fino a Viale Amendola.
L’Amministrazione comunale ha portato a termine con impavida determinazione un’infrastruttura lungamente richiesta bocciando qualsiasi suggerimento tecnico della Fiab, delle altre associazioni ambientaliste di Modena, delle due Circoscrizioni interessate, di alcune forze presenti in Consiglio.
Il tracciato della ciclabile, un vero e proprio percorso di guerra per i ciclisti da Piazzale Risorgimento a Viale Corassori, ha scontentato tutti, compresi il pugno di commercianti scesi in trincea fin dall’inizio in nome degli interessi di bottega, mai come in questa circostanza confliggenti con le esigenze di sicurezza dei ciclisti e della riduzione dell’inquinamento in città.
I suggerimenti della Fiab restano tuttora validi e attuabili: due ciclabili di 1,5 m per entrambi i lati, separati dai pedonali, senza soluzione di continuità da Piazzale Risorgimento a Viale Corassori, attuati con materiali economici, riqualificazione del tratto esistente fino a Viale Amendola.
Il rilievo primaverile dei flussi ciclistici attuato dalla Fiab nei 17 principali punti di transito della città ha confermato il trend in calo dell’uso della bicicletta: negli ultimi 3 anni i ciclisti censiti dall’associazione sono calati del 15% circa. Gli interventi come quello della ciclabile di Via Giardini non contribuiranno certo a convincere i cittadini a usare maggiormente la bici. Ma forse questo non è un problema per l’Amministrazione comunale, più preoccupata di non disturbare i commercianti e gli automobilisti oltranzisti che di attuare politiche di contenimento dei veleni emessi tutti i santi giorni da 115.000 autoveicoli che circolano in città come se nulla fosse.
Da oltre un anno si aggira per la città il fantasma di un Piano della mobilità ciclistica che, al suo preannuncio, aveva suscitato attese e curiosità nei cittadini. Sostenuto a spada tratta dal nuovo sindaco modenese, Giancarlo Muzzarelli, che ne vedeva lo strumento per ridimensionare gli spostamenti automobilistici a favore di quelli ciclistici, è stato a lungo presentato come risolutivo per adeguare la realtà cittadina agli obiettivi ambiziosi del Piano dell’Aria della Regione Emilia Romagna, che richiede una decisa promozione dei mezzi ecologici nell’intento di ridurre l’inquinamento da traffico.
Elaborato nelle segrete stanze dell’Assessorato alla Mobilità, sventolato nelle pubbliche riunioni come il nuovo vademecum della mobilità sostenibile, vagliato nelle Commissioni istituzionali, il Piano continua tuttavia ad apparire inafferrabile e, soprattutto, non si capisce quando approderà in Consiglio comunale per la definitiva approvazione e messa in opera.
In concreto, cosa prevede?
Nell’ultima riunione pubblica di presentazione del Piano (giovedì 21 aprile 2016, presso la sala conferenze del Windsor Park), presenti numerosi rappresentanti delle associazioni ciclistiche e ambientaliste, l’assessore alla Mobilità, Gabriele Giacobazzi, ha indicato in due i punti salienti dello strumento di programmazione: riconnessione delle ciclabili in una rete più organica e funzionale e realizzazione di alcune zone a 30 km/h (moderazione della velocità).
Qualche chilometro di ciclabile in più e qualche limitato intervento di limitazione delle velocità nei quartieri residenziali davvero consentiranno di conseguire i risultati ‘ambiziosi’ indicati dalla Regione, vale a dire un deciso calo dei veleni immessi dalle automobili nell’ambiente?
Fra i tanti commenti al Piano, sono apparsi particolarmente indicativi quelli di Legambiente, della Fiab e di alcuni cittadini.
Legambiente: il programma presentato dall’Amministrazione appare senza una direzione strategica a favore della mobilità sostenibile e non è sostenuto da intenti adeguati alla gravità della situazione.
Fiab: il Piano è un insieme scoordinato di interventi, non indirizzati da obiettivi chiari e incisivi per la promozione della mobilità sostenibile, anche perché non sostenuto da un’analisi della situazione attuale e dei risultati che si intendono conseguire.
Cittadini: evidenziati i problemi della sicurezza stradale e dei furti delle bici, che ne limitano l’uso nelle quotidianità.
Nella sua replica, l’assessore Giacobazzi ha ribadito una serie di NO: no a investimenti cospicui sulla ciclabilità, no ai doppi sensi di circolazione per le bici nei sensi unici per le auto, no alla diffusione delle Zone a 30 km/h in tutti i principali quartieri della città, no allo storno di qualche milione di euro dai 2,9 miliardi di euro destinati alle autostrade progettate, compresa l’inutile bretella Campogalliano-Sassuolo, no a tutti gli altri interventi sollecitati dai rappresentanti delle associazioni intervenute.
L’assessore non si è addentrato nella discussione sugli obiettivi reali da conseguire, né tanto meno su come misurarli. Per lui queste sono quisquilie puramente burocratiche. Lui è un uomo del fare: se avrà i soldi, farà, se non avrà i soldi non farà.
Alla fine, tutti hanno capito che -ben che vada- il Piano sarà approvato a fine mandato dell’Amministrazione comunale, che quindi non si sente minimamente impegnata a porre in essere alcuna delle azioni in esso previste.
Come volevasi dimostrare: mentre si discute di un Piano delle ciclabilità che non c’é, si realizzano autostrade a gogò in un territorio già saturo di infrastrutture per le automobili. Una ben strana accezione del concetto, ormai chiaramente logoro, di mobilità sostenibile.
A 70 anni dalla Liberazione, la bici reclama un posto di rilievo nella Storia avendo sostenuto gli sforzi di quanti si sono battuti e si battono per la libertà e la cultura.
Nel corso della Resistenza, fra il 1943 e il 1945, le staffette partigiane usavano la bici per collegare i patrioti operanti in territori diversi, comunicando notizie, indicazioni dei centri di comando, informazioni sui movimenti delle truppe nazi-fasciste. Spesso questa pericolosissima funzione era svolta dalle donne, che si affacciavano sulla scena degli eventi collettivi con un profilo dirompente rispetto alla tradizione.
Dopo decenni dalla Seconda guerra mondiale, la bici continua a rappresentare un simbolo di pace e libertà, aiutando gli uomini e le donne nella loro ribellione ai conformismi e alle violenze praticati nel mondo.
Recentemente, un gruppo di ragazze curde ha pedalato nelle strade di Amuda, nella provincia siriana di al Hasaka, per protestare contro le norme che considerano ‘indecente’ l’uso della bici per le donne. Con lo slogan ‘Comunità libera’, armate di entusiasmo e palloncini arancione, le giovani hanno gridato al mondo il loro desiderio di sentirsi libere di andare in bici senza alcuna discriminazione.
Saber Hosseini, insegnate di Bamiyan, capitale dell’omonima provincia nel centro dell’Afghanistan povero e isolato, usa la bici per consegnare libri ai bambini esclusi dal diritto di frequentare la scuola a causa della guerra. Dai 200 libri iniziali, acquistati tra mille peripezie ai confini con l’Iran, i volumi di Hosseini sono aumentati fino a 3500. Il gesto dell’educatore è al tempo stesso una forma di ribellione all’oscurantismo imposto dai Taleban nei territori occupati ed espressione di orgoglio pacifista: “I Taleban usano le biciclette per i loro attacchi. Noi vogliamo sostituire questa immagine di violenza con la cultura”.
PROGETTO PANE A VILLA SORRA – DOMENICA 10 APRILE 2016
Quante volte ci è capitato di passare da Villa Sorra o da Panzano e gettare uno sguardo distratto ai campi, agli alberi, alle opere agricole, alle infrastrutture? Ebbene, la “passeggiata in bicicletta” nelle campagne intorno a Villa Sorra ci ha aiutato, con l’aiuto di un esperto, a leggere dentro alcuni aspetti del paesaggio agrario ignoti ai più.
Grani antichi e vecchie biciclette Eugenia Coriani
Le prime ombre delle sera scendono nel bel contesto architettonico e ambientale di Villa Sorra. I numerosi partecipanti alla manifestazione promossa dal Museo Civico di Modena legata alla scoperta del paesaggio agrario della nostra zona e al progetto pane, se ne sono già andati.
Giornata intensa e per certi versi “faticosa”; accompagnare due gruppi di ciclisti, uno al mattino con partenza da Modena e l’altro al pomeriggio con partenza dalla Villa stessa non è stato semplice. Oggi si è rinnovata la collaborazione tra noi e il Museo Civico di Modena iniziata lo scorso anno in occasione dell’anniversario dello scultore Giuseppe Graziosi.
Quest’anno il progetto era quello legato al pane: dalla semina alla raccolta. Intorno al complesso Sorra vengono coltivate antiche varietà di grano da cui si ricava, attraverso una lavorazione artigianale, un pane a marchio “Villa Sorra”, acquistabile presso il mercato Albinelli di Modena.
Il ciclo-percorso ci ha consentito di leggere, con l’aiuto di una guida, i segni ancora presenti nel paesaggio agrario, che hanno caratterizzato le attività nei secoli passati nel modenese: la regimazione e lo sfruttamento delle acque, le sistemazioni agrarie e le relative coltivazioni, le infrastrutture per la trasformazione e la conservazione dei prodotti; i maceri per la canna e la successiva produzione di canapa, le piantate con la vite maritata, i numerosi mulini ad acqua per la macinazione dei cereali.
Il ciclo-turismo, adatto a tutte le età, è la forma di trasporto più adeguata per conoscere da vicino gli aspetti ambientali e culturali del territorio da valorizzare e tutelare.
E le vecchie biciclette? Qualcuno deve essere stato tratto in inganno dal titolo dell’iniziativa: grani antichi richiedono vecchie biciclette! Ecco allora il motivo per cui in molti si sono presentati alla partenza con biciclette recuperate, dopo anni di abbandono, in solaio o in cantina. Il mulino Malvasia del castello di Panzano, gentilmente aperto per l’occasione dalla famiglia Righini, era senz’altro molto meno rumoroso di alcune biciclette da battaglia!
Giovedì 7 aprile ho partecipato con interesse alla seduta del Consiglio comunale di Formigine dedicata alla celebrazione del 70° del voto alle donne. La serata è stata resa emozionante dai racconti delle donne che – entrando nella Resistenza – hanno contribuito alla nascita della libertà e alla rinascita di un Paese distrutto.
Quelle donne oggi difendono la memoria storica degli eventi fondativi della Repubblica. Non è stato facile ottenere quel diritto al voto, né superare la cultura maschilista dominante, così cara al fascismo patriarcale di Mussolini.
Mentre ascoltavo le testimonianze appassionate delle partigiane, ho pensato ad una donna di oggi, assurta agli onori della cronaca: chiamata nel 2014 a dirigere il ministero dello Sviluppo economico, come nelle soap opera brasiliane “per amore” ha ceduto alle pressioni del suo uomo e ha “regalato” alcune disposizioni della finanziaria 2016 alle potenti lobby del petrolio, non proprio in prima fila nella difesa dell’ambiente e della salute umana.
Con questi pensieri in testa, confesso di non essere riuscita a cantare l’inno d’Italia con la mano sul petto, come siamo stati invitati a fare durante il Consiglio comunale. Troppe rovine avevo davanti agli occhi, troppa corruzione, troppo cinismo, troppo malaffare, tanto da demotivare chiunque dall’impegno civile.
Poi ho ripensato all’esempio delle partigiane accanto a me e sono tornata sui miei passi. Non possiamo abbandonare il nostro magnifico Paese nelle mani delle sanguisughe che ne stanno prosciugando le ricchezze uniche. Per questo ho deciso di andare a votare il 17 aprile, ed eserciterò questo mio diritto consapevole del fatto che è stato conquistato a caro prezzo da donne e uomini che amavano la democrazia.
Andrò a votare perché vorrei tenere in vita il germe della democrazia e salvarne l’ispirazione di fondo: la partecipazione popolare alle scelte del bene comune. Trovo che sia già un buon motivo per andare a votare.
I ciclisti modenesi sono calati sensibilmente rispetto al 2015. È questa la notizia più sconcertante (e inattesa) emersa dall’ annuale rilievo dei flussi dei biker in città attuata dalla Fiab di Modena. Il calo globale è del 4,5% sull’aprile 2015; rispetto al 2013 la riduzione ammonta a circa -15%. L’uso della bicicletta appare chiaramente entrato in una fase di crisi, dopo la notevole crescita documentata fino a tre anni orsono.
I dati sono stati raccolti dai volontari Fiab in 17 punti tra i più trafficati di Modena, fra le 7.30 e le 8.45 di martedì 12 aprile, lo stesso periodo degli anni precedenti, nell’intento di favorire una comparazione valida. I ciclisti censiti sono stati in tutto 3.700, gran parte dei quali transitati fra le 7.45 e le 8.45.
La top five degli incroci più trafficati dai ciclisti conferma il primato indiscusso di Buon Pastore/Sigonio, seguito a notevole distanza da Emilia est/Menotti, Canalchiaro/Ruà Frati e Medaglie d’Oro/Muratori (ex-equo); chiude Morane/Archirola. In queste intersezioni passa oltre un terzo di tutti i ciclisti censiti nei 17 punti di rilievo.
Gli incroci dove sono stati censiti i cali maggiori sono stati Medaglie d’Oro/Muratori, Canalchiaro/Ruà Frati, Emilia est/Menotti. All’opposto, Buon Pastore/Sigonio è risultato nettamente in crescita, seguito da Emilia ovest/Aldo Moro, Vignolese/Marzabotto.
A settembre la Fiab effettuerà il secondo rilievo annuale programmato. Si vedrà allora se il trend negativo colto negli ultimi anni sarà confermato o meno. Sta di fatto che la sensibile riduzione dei flussi ciclistici in città apre necessariamente la questione dell’efficacia delle politiche di promozione attuate dall’ente locale nelle legislature recenti, riproponendo seri interrogativi anche sul Piano della mobilità ciclistica, di prossima approvazione da parte dell’Amministrazione comunale, su cui si sono appuntate numerose critiche della Fiab.
15 aprile 2016
(Fiab Modena)
Anche quest’anno, si parte: le volontarie Fiab prendono le vecchie grazielle, tolgono i pedali e le offrono alle donne straniere. Sono di diversa nazionalità, età, religione, costituzione fisica, sposate e non, con figli e non, con il velo e non. Sono diverse ma rese uguali dall’essere donne, sostenute tutte dall’entusiasmo, dalla caparbietà, dalla resistenza.
Per ora non vanno lontano: dopo alcuni giorni le più brave riescono a fare il giro del parcheggio dove si esercitano. D’altronde, alcune di loro prendono la bicicletta per la prima volta e devono familiarizzare con il mezzo, sostenute dalle volontarie che fanno “le ruotine”. Quando se la sentono, iniziano a pedalare da sole. Quello è il momento magico per tutti.
Sono ormai cinque anni che la Fiab di Modena propone ‘Donne in bici’ alle nuove “cittadine” straniere di Modena, con il patrocino del Comune e la collaborazione di ARCI, Casa delle Donne, UISP e Centro Territoriale Permanente.
L’associazione organizza due corsi l’anno, in primavera ed in autunno, articolato in sei lezioni, in cui la teoria si fonde con la pratica, finalizzate ad evidenziare l’importanza delle luci, del giubbotto catarifrangente, del campanello, dei freni efficienti, dei cartelli stradali. L’ultimo giorno vengono guidate in un’escursione nel traffico vero sulle strade cittadine. È il battesimo delle neo-cicliste.
Ad ogni corso partecipano circa dieci “allieve” supportate da altrettante volontarie, a volte ex allieve. In effetti, condividere, partecipare e accogliere sono le parole chiave di questa originale esperienza, perché per tutte le donne, allieve e volontarie, la bici spalleggia, fiancheggia e sostiene nella quotidianità.
Modena-Parma in treno, con qualche disavventura. E poi via in bicicletta verso Fontanellato, tra stradine basse e ciclabili lungo il fiume Taro, per arrivare infine al Labirinto della Masone, un parco culturale progettato da Franco Maria Ricci, che ospita la sua collezione d’arte (circa 500 opere dal Cinquecento al Novecento), nonché la collezione storica di tutti i libri curati da Franco Maria Ricci in cinquant’anni di attività editoriale.
Imperdibile l’attraversamento del labirinto, realizzato interamente con piante di bambù di specie diverse. Dentro il labirinto è bello perdersi e ritrovarsi.
Ritrovo alle 7.50 alla stazione di Modena. Dopo una settimana di tempo incerto, caldo e freddo che si alternano con un’escursione di 20 gradi, gli amici della Fiab di Modena passano i primi 10 minuti a spiegare perché alcuni hanno le braghette corte e altri tre pile più piumino più antivento! Immersi tra saluti e commenti sull’abbigliamento ecco la nostra magnifica capogruppo Emanuela nonché organizzatrice con la prima notizia terribile: un treno è guasto e avrà ben 35 minuti di ritardo. Sarà mica il nostro? Ovviamente sì! Ma cosa sono 35 minuti per un gruppo pieno di voglia di pedalare e divertirsi? Niente… se non fosse che avevamo un appuntamento con un altro socio Fiab che doveva salire a Rubiera e altri 20 amici soci Fiab che ci accoglievano all’arrivo di Parma.
Emanuela non si lascia prendere dal panico. Decisa e con le mani nei fianchi si presenta davanti al capostazione e spiega che non possiamo accettare una situazione del genere. Prontamente le Ferrovie dello Stato che capiscono le esigenze di un folto gruppo di ciclisti ci indica un nuovo treno che con soli 20 minuti di ritardo rispetto al programma ci avrebbe portati a Parma. Agilmente sul binario 2 fitto di gente si vedono 12 biciclette pronte a salire sul treno. Emanuela nomina un responsabile di logistica per la sistemazione delle bici e due responsabili al carico. Il loro intervento è stato talmente professionale che abbiamo ricevuto i complimenti non solo dalla gente attorno, ma anche dal capotreno. Il complimento più bello è stato quello di una coppia che ha detto: si vede che questi girano molto insieme, guarda che affiatamento!
In realtà c’erano persone che uscivano la prima o la seconda volta. Ma in quel gruppo non v’era differenza, si era tutti uniti. Il viaggio dura mezz’oretta e a Parma il personale della stazione, allertato da Silvia, capogita degli amici Fiab di Parma, ci accoglie prontamente e ci fa passare sopra i binari, tutti compatti!
Davanti alla stazione di Parma troviamo un gruppo di una ventina di amici di Parma, allegri nonostante il nostro ritardo, attendiamo il membro che doveva salire a Rubiera e finalmente ci siamo tutti, con un ritardo che recupereremo sicuramente ma che abbiamo già compensato con un sacco di risate e simpatia. Intanto anche la temperatura è salita e la giornata si prospetta veramente bene.
Partiamo in fila emiliana verso quel di Fontanellato. Usciamo dal centro e costeggiamo per un bel tratto il fiume Taro sulla sua bella ciclabile. Tutte stradine pochissimo trafficate, lontane da statali, passando da Vicofertile, Collecchio, Fontevivo. Una sana biciclettata con chiacchiere e sorrisi tra i membri, senza differenza tra chi si conosce da sempre e chi partecipa per la prima volta. Quasi senza accorgercene, giungiamo in centro città di Fontanellato dopo circa 30 km di pedalata. E qui 40 minuti di libertà per pranzare o visitare la rocca o il santuario. Ci sparpagliamo liberamente tra la gran folla presente per il mercato domenicale per ritrovarci 5 minuti dopo sulle mura della Rocca circondata dal fossato di acqua. Meraviglioso tutto, il paesaggio, la compagnia, le condizioni meteo e la nostra forma fisica e mentale.
Puntualissimi rispetto alla tabella di marcia imbocchiamo tutti compatti la strada che ci avrebbe portato attraverso la frazione Priorato con la sua bellissima Abbazia fino al labirinto della Masone.
Anche qui ci aspettavano già le guide che ci avrebbero, purtroppo, guidato solo per la parte del Museo con le collezioni d’arte di Franco Maria Ricci e non per il labirinto, dove dovevamo perderci da soli.
Molto interessante conoscere il grafico editore che inizia la sua attività a Parma nel 1963. Un editore molto particolare che segue determinate peculiarità nella realizzazione dei suoi raffinati tomi, come i caratteri in oro zecchino sulle copertine e la pregiata carta azzurra di Fabriano. La nostra guida, un bellissimo giovane ragazzo molto bravo a spiegare le opere, ci riempie di affascinanti curiosità su ogni opera esposta. Tra le sculture e i dipinti di epoche estremamente diverse, falsi riprodotti nelle epoche passate e interessanti informazioni sui materiali e le tecniche adottate, tutti gli amici della bicicletta erano a bocca aperta, coinvolti dai racconti e trasportati in un passato mai immaginato.
Poi la gentile e bella guida ci accompagna all’ingresso del labirinto, ci mostra una piantina che non possiamo avere, ci indica dei numeri che non sono in fila, ci dice che non ci sono teorie da seguire per uscire e ci augura buon divertimento. Seguono 40 minuti di cammino in un labirinto fatto di canne di bambù con di tanto in tanto un numero grandissimo, li vediamo tutti, si presentano a sorte, e ogni volta c’è qualche esperto che guardando il sole o la direzione delle foglie indica, sicuro di sé, una via che immancabilmente ci porta in un vicolo cieco. Tutte le varie soluzioni alternative (passiamo in mezzo ai canneti, saltiamo, ci arrampichiamo)… non sono fattibili, ma ci fanno un sacco divertire. E visto che esiste un Dio anche per i ciclisti, abbiamo trovato l’uscita, divertiti con un’ultima salita su una torretta da dove si presentava una vista infinita sull’impareggiabile bellezza del luogo e sul labirinto inghiotti-ciclisti.
Riunitici e spogliatici dagli ultimi strati di vestiti che ancora avevamo addosso ci prepariamo al ritorno. La temperatura era salita a quasi trenta gradi, incredibile. Silvia ci fa ritornare da una meravigliosa stradina che si sviluppa tra alberi di frutta fioriti, cespugli in fiore, campagne verdissime. Troviamo anche un guardrail che ad un tratto ci blocca la strada, ma prontamente si riunisce l’equipe di logistica e, come nelle migliori organizzazioni, le bici vengono sollevate e portate dall’altra parte.
Ormai la fatica incomincia a sentirsi, ma come per magia, e come si usa a Parma, un amico parmense, durante una piccola sosta lungo la strada, passa tra gli amici con in mano un bel pezzo di Parmigiano che per la gioia di tutti sparisce in men che non si dica e ci fa recuperare tutte le energie per arrivare sani e salvi alla stazione di Parma.
Un grazie di cuore a tutta l’organizzazione, a tutti gli amici della bicicletta e un bel “aripedalarci” presto.
“I ciclisti possono salvare il mondo stando anche più a destra” è una battuta che circola sui social media per denunciare la propensione dei ciclisti a dirsi salvatori del mondo pur senza rispettare le regole stradali.
Tralascio i commenti sulla voglia di “stirare un ciclista”; mi soffermo sulle motivazioni che inducono i ciclisti a occupare il centro della strada. Anzitutto, occorre distinguere 2 ambiti: quello cittadino e quello extra-urbano. Nel primo la scelta del ciclista di non procedere sul bordo destro della carreggiata gli consente di rendersi maggiormente visibile agli autoveicoli, evitare di prendere una sportellata in faccia dall’automobilista che ha parcheggiato, o di finire sul cofano dell’auto che sporge dall’incrocio oltre la linea dello stop o dall’uscita del cancello di casa, ed infine di scansare sbrecciature dell’asfalto, caditoie, brecciolino, foglie ed altri oggetti pericolosi a bordo strada. Al loro posto chi viaggerebbe confinandosi sulla destra?
Nel traffico extra-urbano invece quelli al centro della strada sono sempre i ciclisti della domenica. Sì, quelli affiancati per 4 … E allora via con l’aggressività a suon di clacson, gesti scurrili, insulti da stadio (3 settimane fa ci è scappato il morto in Puglia!). Ma da dove viene questo astio, questo senso di lesa maestà alla vista di pacifici ciclisti che chiacchierano mentre pedalano? Non sono forse anche loro lavoratori, macellai, impiegati, benzinai che alla domenica hanno diritto di usufruire dello spazio pubblico stradale? In fondo dove dobbiamo andare di tanto importante da non poter attendere qualche secondo in più per sorpassare, come faremmo per un trattore? Siamo lì a correre in auto per salvare il mondo, o semplicemente stiamo andando dalla nonna a mangiare i tortellini? E non si dica che gli automobilisti rispettano sempre tutte le regole della strada! Ed allora solo un po’ più di tolleranza e tutti insieme potremo salvare il mondo dalla inciviltà.