Ciclisti maleducati o cittadini che cercano di sopravvivere?

I pedoni e ciclisti sono sicuramente le specie urbane più adatte all’habitat cittadino, perché non inquinano e non ingombrano lo spazio pubblico, ma questo non li autorizza a comportarsi in modo maleducato. Anzi il comportamento poco rispettoso di alcuni diventa il pretesto per demonizzare l’intera categoria e serve a nascondere le responsabilità di una gestione della mobilità centrata solo sulle auto.

Vi sono tuttavia alcuni comportamenti “al limite” dei ciclisti che non possono essere confusi con la maleducazione stradale, perché consentono loro di sopravvivere in un territorio ostile. Come si possono biasimare i ciclisti che: pedalano un po’ distante dal bordo strada per evitare i pozzetti stradali e gli sportelli delle auto aperti sbadatamente; vanno sul marciapiede lungo strade a scorrimento veloce per salvarsi dalle auto; superano le auto ferme ai semafori per partire davanti all’arrivo del verde; attraversano in bicicletta i passaggi pedonali che uniscono due piste ciclabili; vanno in entrambi i sensi di marcia nelle strade urbane a senso unico per le auto, per evitare di raddoppiare le distanze. Tutti questi casi, più che rappresentare comportamenti scorretti dei ciclisti, denunciano una errata gestione della mobilità urbana, centrata solo sulle esigenze delle auto.

Sono infatti situazioni facili da superare con provvedimenti ormai diffusi in molte altre città europee e ampiamente collaudati: tracciatura di fasce protette al lato destro della strada; dotazione di pista ciclabili sulle strade principali di accesso alla città; tracciatura di passaggi ciclabili negli attraversamenti e negli incroci semaforizzati per dare continuità ai percorsi ciclabili; previsione di “sensi unici eccetto bici” dove le dimensioni delle strade lo consentono.

Vi è una responsabilità ancora maggiore se, dichiarando di aiutare i ciclisti, si sceglie di rubare lo spazio dei marciapiedi per inserire un pista ciclabile striminzita e promiscua o, peggio ancora, stalli di sosta per le auto. Sono i ciclisti i maleducati o i gestori irresponsabili della vita e della salute dei propri cittadini?

Giorgio Castelli
www.modenainbici.it

C’è chi sceglie di pedalare

Quando ero un ragazzino mio padre prendeva la bicicletta e salutava mia madre con un classico “a vagh a Modna”, che usavano i residenti fuori da quella che una volta era la cerchia delle mura, quando andavano in centro. Seguivo mia madre con la mia biciclettina blu quando andava a fare la spesa al mercato, l’Albinelli, dove c’era uno dei tanti depositi custoditi; sono andato a scuola con la ciclo e a zonzo con gli amici, spingendomi spesso fuori città.

Usare la bicicletta era normale, molti l’usavano tutti i giorni, ma poi qualcosa è cambiato. Forse abbiamo creduto di essere più ricchi e che l’automobile fosse più comoda. Una cosa è sicura abbiamo letteralmente intasato con le nostre auto la città, ammorbandone l’aria e deturpando molte belle vie e piazze del centro, trasformandole in parcheggi.

Certamente negli anni Modena è cresciuta con nuovi quartieri residenziali e nuove zone produttive e commerciali. Rimane però vero, almeno per i residenti in città, che difficilmente le distanze percorse per andare al lavoro non superano i 5 o 6 chilometri.

Nella Modena di oggi, molti lavoratori che usano la bicicletta lo fanno perché convinte della maggior comodità della stessa, nei piccoli e medi spostamenti quotidiani in città; qualcuno neppure possiede un automobile perché ha scoperto che non gli serve. C’è chi arriva in città in treno, con una bici pieghevole, per poi proseguire. C’è chi lascia la bici in deposito, usandola per gli spostamenti cittadini una volta lasciata l’auto in parcheggio. C’è chi usa la bicicletta perché ha solo quella. Chi della bici fa un mezzo di lavoro; corrieri in bicicletta che fanno consegne in città, compresa la spesa a domicilio. Una famiglia con tre bimbi ha perfino scelto di vendere l’auto per muoversi esclusivamente con una cargo bike.

Molti con l’uso della bici si sentono meglio fisicamente, sono meno stressati dal traffico, meno costretti, più liberi ed arrivano a destinazione più tranquilli, ottimisti e sereni…forse proprio come nella Modena di una volta.

Eugenio Carretti
www.modenainbici.it

Sorsate di libertà

Chiediamo ad un passante qualunque in che rapporto stanno, nel quotidiano, Lavoro e Libertà. Agli antipodi, sarà la risposta. Sennò perchè chiameremmo tempo libero quello che avanza dal lavoro? Invece, che libertà si associ a bicicletta non potrà negarlo: le due ruote evocano autonomia, facilità di spostamento, gambe attive e testa nell’aria.

Anche guidare l’auto è liberatorio, dice senza sosta la pubblicità in tv. Chiediamoci però come mai gli spot mostrano sempre macchine che sfrecciano solitarie in paesaggi sconfinati, mai in coda ai semafori nell’ora di punta. Inscatolati nell’ingorgo mattutino che rigurgita gas di scarico prima di essere inghiottiti dai luoghi di lavoro e di studio: che salutare inizio di giornata! Un’alternativa, almeno per molti, c’è: usare la bicicletta.

Un dono per il fisico e per l’umore. Il corpo, mortificato al chiuso per ore ogni giorno, ringrazierà, perché il bisogno di muoversi nello spazio è fisiologico, ed attivando i muscoli si ossigena anche il cervello. Ossigenare, nelle nostre città!? Sembra una beffa. Giusto, il dramma inquinamento: sacrosanto, anzi vitale far pressione perché chi ci amministra lo affronti davvero, drasticamente e in fretta. Ma fare la propria piccola parte per diminuirlo si può; tanto, non è vero che chiusi un macchina ci si difenda meglio dallo smog! È vero che ciclisti e pedoni respirano più smog di chi sta in auto, ma le ricerche mediche dimostrano che questo svantaggio è ampiamente compensato dai benefici del movimento.

Quindi ne vale la pena, da molti punti di vista. Sorrideremo di più ed emanando più benessere diventeremo, si spera, contagiosi: altri lasceranno la macchina in garage e respireremo tutti un po’ meglio. Fantasia? Allora mettiamola su un altro piano. È nota la sindrome dello “stress da vacanza”. Non è un paradosso: tutto quel tempo per se in un colpo solo dopo mesi di costrizione provoca un effetto overdose. La pedalata casa-lavoro: la nostra dose omeopatica quotidiana di libertà.

Chiara Marchiò

Modena, Carpi e Maranello premiati ComuniCiclabili

Modena, Carpi e Maranello sono i comuni dell’area modenese che portano a casa la gialla bandiera dei ComuniCiclabili, il premio che FIAB (Federazione Italiana Amici della Bicicletta) assegna ai comuni che si sottopongono ad una rigorosa valutazione del grado di ciclabilità, comparando città e cittadine di tutta Italia. Un riconoscimento importante per quelle comunità che vedono nella bicicletta la soluzione alternativa all’uso dell’auto privata negli spostamenti quotidiani, il modo per ridurre traffico e inquinamento e nel cicloturismo uno strumento di sviluppo economico per il territorio.

ComuniCiclabili dà una valutazione incrociata su: infrastrutture presenti sul territorio (ciclovie turistiche, piste ciclabili, Zone 30 di moderazione del traffico, aree pedonali e ZTL); Governance, cioè le politiche in atto che favoriscono l’uso della bici (se il comune si è dotato di PUMS (Piano Urbano della Mobilità Sostenibile) o di BiciPlan, un ufficio biciclette per le relazioni con l’utenza, programmi di bike to school o bike to work) e la comunicazione e la promozione all’uso della bici (ad es. le tante iniziative che Fiab Modena ogni anno propone alla cittadinanza, come Bimbinbici, i corsi di manutenzione della bici o per insegnare alle donne straniere ad usarla, il monitoraggio dei flussi ciclabili, gli itinerari didattici sulla bicicletta che proponiamo alle scuole).

Con 82 comuni italiani già valutati, alla sua seconda edizione, ComuniCiclicabili vede un exploit dell’Emilia Romagna. Ferrara e Cesena si riconfermano città altamente ciclabili (ottenendo il massimo, ben 5 bike-smile, l’unità di misura adottata per la valutazione); Parma e Piacenza se ne meritano 4  e sfiorano  5, Rimini 4,  Bologna 3 verso il 4. Anche Modena riesce a ottenere 4 bike-smiles, forte della sua dotazione infrastrutturale; dovrà però riconfermare il risultato il prossimo anno, in particolare lavorando sulla Governance, approvando il PUMS e non perdendo il finanziamento ministeriale sul progetto Bike To Work (incentivi chilometrici a chi va a lavorare in bici). Tre meritatissimi bike-smile anche a Carpi, il primo comune della provincia modenese che ha aderito a ComuniCiclabili, e a Maranello, capitale dell’auto di lusso, che è stata capace negli ultimi tempi di intraprendere politiche a favore della mobilità ciclistica trainando il resto del Distretto della Ceramica.

Paola Busani

 

 

 

 

Quando la precedenza diventa un ostacolo

Come in ogni materia la progettazione di infrastrutture ciclabili andrebbe affidata a tecnici preparati e che magari usano abitualmente la bicicletta in ambito urbano.

In molti casi invece, per la sottovalutazione delle competenze necessarie, la progettazione viene affidata a tecnici che non hanno avuto modo di approfondire la materia e, nel dubbio, abbondano con segnaletica e infrastrutturazione per “separare” il più possibile dal traffico motorizzato i percorsi per le biciclette.

Al fondo vi è una visione ingegneristica della mobilità che punta al confinamento degli utenti in luoghi separati e distinti: gli automobilisti padroni della strada, i ciclisti padroni delle piste, i pedoni padroni dei marciapiedi. Peccato che questa soluzione si scontri con la realtà di ogni incrocio che, soprattutto nelle aree urbane, interrompe tutte le diverse corsie separate.

Diventa così più facile fermare indistintamente i pedoni ed i ciclisti con barriere ed ostacoli con la scusa di proteggerli, piuttosto che fermare le auto per la sicurezza.

Un esempio concreto di questo atteggiamento negativo ed in contrasto con il Codice della Strada, riguarda la precedenza delle strade laterali che si immettono su una strada principale dotata di pista ciclabile. Spesso i segnali verticali e orizzontali di dare la precedenza vengono posti al limite della corsia stradale, escludendo la precedenza alla pista ciclabile e al pedonale.

Come se non bastasse sulla pista vengono posti i segnali di fine pista ciclabile e spesso manca la segnaletica orizzontale di attraversamento ciclabile o addirittura di attraversamento pedonale. Così le auto si fermano sulla pista e sul marciapiede per dare la precedenza alle auto in transito, impedendo il transito ai pedoni e ai ciclisti. Tutto ciò contrasta con l’art. 81 del Regolamento di attuazione del C.d.S. che precisa “i segnali dare precedenza (Art. 106) e fermarsi e dare precedenza (Art. 107) devono essere posti in prossimità del limite della carreggiata della strada (e non della corsia) che gode del diritto di precedenza”.

Vi sono molte esperienze in Italia ed Europa che testimoniano l’efficacia, sia in termini di fluidità del traffico che di sicurezza, di una mobilità della convivenza e della condivisione dello spazio pubblico e varrebbe la pena che amministratori e tecnici potessero dedicare un po’ di tempo per conoscerle ed approfondirle.

Giorgio Castelli
www.modenainbici.it

Un’altra occasione persa: il tortuoso incrocio via Luosi-Barozzi

In occasione del seminario “Mobilità in equilibrio”, organizzato lo scorso marzo da Fiab e dall’Ordine degli Architetti, è stata segnalata la tortuosità dei nuovi percorsi pedonali e ciclabili dell’incrocio di via Luosi con viale Barozzi. Il Comune infatti, nel realizzare la nuova pista di viale Barozzi, aveva ristretto e disassato la pista esistente di via Luosi, rendendola promiscua con il marciapiede.

Il giorno successivo il Comune, con una nota stampa, ha precisato che i lavori erano ancora in corso e che questi problemi sarebbero stati risolti. A nove mesi di distanza i percorsi sono rimasti gli stessi e l’isola spartitraffico per i pedoni e ciclisti è diventata un “arcipelago” di isolette di cemento, cosparso di nuove “palme” semaforiche. Sicuramente non sono state rispettate le dimensioni minime “inderogabili” per le piste ciclabili bidirezionali e per i percorsi pedonali, fissate rispettivamente in 2,5 e 1,5 metri.

Come se non bastasse, è stato regolato con semaforo anche l’incrocio tra la pista esistente di via Luosi con la corsia stradale che da via Luosi svolta in direzione di via Giardini. Così i pedoni ed i ciclisti devono attendere due diverse fasi semaforiche per attraversare viale Barozzi e se provengono da via Luosi devono stringersi su un angusto marciapiede per attendere il verde al nuovo semaforo. Per contro le auto sono obbligate a rimanere ferme anche quando non passano pedoni e ciclisti.

Si può immaginare cosa succede in questi angusti spazi negli orari di ingresso di uscita degli studenti dell’Istituto Fermi o quando passano le biciclette col carrellino per bambini, cargo bike o carrozzine elettriche per anziani, sempre più diffuse.

Abbiamo attentamente osservato in questi mesi l’incrocio e succede di tutto: auto che non rispettano il nuovo semaforo sullo svincolo, biciclette che provengono da via Riccoboni e affiancano a destra l’isola spartitraffico in contromano, pedoni che non sanno dove stare, auto che imboccano via Riccoboni sulla pista ciclabile, priva di ogni protezione o segnale verticale.

C’è da chiedersi quale logica abbia guidato la progettazione di questo incrocio che, usando in modo discutibile le risorse pubbliche, ha irrigidito i flussi di traffico, ha aumentato l’insicurezza dei passanti ed ha sacrificato pedoni e ciclisti.

Giorgio Castelli
www.modenainbici.it

Una bella notizia: rimosse le transenne sulla ciclabile di via Divisione Acqui

Finalmente una buona notizia: sono state rimosse le transenne che interrompevano il marciapiede e la pista ciclabile di via divisione Acqui, all’altezza dell’ingresso della Maserati.

Era una pressante richiesta che la Fiab aveva già avanzato nel 2015 all’assessore Giacobazzi, alla quale non aveva neppure dato risposta. A nulla erano servite le argomentazioni che avevamo portato:

  • non è né ragionevole, né giusto, fermare tutti i pedoni ed i ciclisti che transitano in uno spazio pubblico per non “disturbare” un accesso privato;
  • chi proviene da un accesso pedonale o carraio privato deve comunque dare la precedenza a chi transita sulla pubblica via;
  • il Codice della strada, all’art. 45, afferma che “sono vietati la fabbricazione e l’impiego di segnaletica non prevista, stabilendo le procedure per la loro rimozione e le relative sanzioni”.

Siamo fiduciosi che, dopo questo intervento, l’assessora all’Ambiente e alla Mobilità sostenibile Alessandra Filippi promuova la progressiva rimozione di tutti gli ostacoli e di tutta la segnaletica da eliminare o da sostituire negli attraversamenti ciclabili che, secondo la rilevazione del Comune del 2012, riguarda circa un terzo di quelli esistenti (784 segnali su 2400).

Sempre in via Divisione Acqui abbiamo rilevato anche un altro nuovo intervento, importante per la mobilità sostenibile: la realizzazione di un’isola salvagente centrale in corrispondenza del passaggio pedonale.

E’ un tipo di provvedimento che da tempo chiediamo di realizzare in corrispondenza degli attraversamenti stradali più frequentati, perché permette ai pedoni e ciclisti di attraversare in due tempi la strada ed impedisce il nefasto sorpasso dell’auto che si è fermata per dare la precedenza ai pedoni.

Questi interventi di riordino della segnaletica e di costruzione di strutture di protezione dei cittadini più esposti vanno sicuramente nella direzione di una mobilità più equa e più equilibrata.

Giorgio Castelli
www.modenainbici.it

Salto ad ostacoli sulle piste ciclabili

Molte piste ciclabili realizzate nella nostra Provincia sono cosparse di segnaletica paletti ed ostacoli non conformi al Codice della Strada.

Gli ostacoli artificiali installati sono dei più vari: pali di sostegno della segnaletica verticale o dei semafori posati al centro della pista, cavallotti in acciaio, transenne incrociate, fioriere e panettoni in calcestruzzo.

In alcuni casi si è arrivati perfino a “strozzare” con transenne i percorsi pedonali e ciclabili in corrispondenza di accessi privati (contravvenendo palesemente le norme del C. d S.) come nella pista in via Divisione Acqui a Modena davanti alla Maserati o in via Giardini a Ubersetto davanti all’azienda Fondovalle.

Questa abitudine sbagliata rappresenta un pericolo per tutti i ciclisti, in particolar modo per i bambini e le persone anziane, e contrasta prima di tutto con il “Regolamento recante norme per la definizione delle caratteristiche tecniche delle piste ciclabili” (Decreto 30 novembre 1999, n. 557) che, all’Art. 2, sottolinea la necessità di “puntare all’attrattività, alla continuità ed alla riconoscibilità dell’itinerario ciclabile, privilegiando i percorsi più’ brevi, diretti e sicuri”.

Nel caso di piste promiscue con i pedoni (ciclopedonali) questi ostacoli sono in contrasto anche con la normativa sull’abbattimento delle barriere architettoniche.

Quest’ultimo aspetto non va affatto sottovalutato, vista la crescente diffusione di deambulatori, carrozzine elettriche, monopattini, cargo bike, carrellini per trasporto bimbi ed altri ausili alla mobilità ciclabile e pedonale.

Negli anni ’70, agli albori della ciclabilità italiana, la posa di paletti e fioriere serviva per evitare che le piste venissero percorse dalle auto o che venissero utilizzate come spazio di sosta. Servivano in pratica a difenderle da un uso improprio.

Ma oggi si ha la netta sensazione che le scelte progettuali sulla mobilità ciclabile vengano guidate da una prospettiva tipica dell’automobilista, in pratica dal punto di vista del “cruscotto dell’automobile”.

Viene quindi da chiedersi perché progettisti ed amministratori insistano con questa cattiva abitudine che è palesemente in contrasto con la funzionalità dei percorsi, con la normativa vigente ed il buon senso.

Giorgio Castelli
www.modenainbici.it

Cavalcavia Cialdini: l’evidenza ed il buon senso forse non bastano

Un cittadino ci ha inviato copia della richiesta presentata nei mesi scorsi al Sindaco per l’adeguamento del cavalcavia Cialdini al crescente transito di persone che frequentano la numerose attività insediate a nord della ferrovia, corredata della risposta ricevuta.

Nella sostanza veniva proposta la realizzazione di un marciapiede e di una pista ciclabile sul cavalcavia per dare sicurezza ai cittadini che rinunciano ad usare l’auto per questi spostamenti urbani e contemporaneamente si chiedeva un maggior controllo della velocità dei veicoli in transito.

Nella risposta il Sindaco condivide i limiti strutturali del cavalcavia, ma ribadisce l’intenzione di realizzare, in alternativa, nuove rampe di accesso dell’attuale sottopasso di via Montecuccoli (il così detto sottopasso Fiat), per le quali sarà comunque necessaria l’acquisizione di aree ferroviarie.

La Fiab nel 2006 aveva proposto al Comune e alla Circoscrizione di realizzare un marciapiede sul lato ovest e una pista sul lato est del cavalcavia, approfittando dei lavori in corso per la realizzazione dello svincolo di collegamento del cavalcavia con il comparto del cinema Victoria.

Lo spazio necessario sarebbe stato ricavato dalla riduzione delle sezioni delle quattro corsie stradali particolarmente sovradimensionate. In tal modo questo stradone in città, che ha il limite dei 50 km/h e che finisce in un semaforo, avrebbe assunto caratteristiche urbane favorendo e condizionando positivamente i comportamenti di tutti i cittadini.

Per mesi il cavalcavia è stato ristretto a sole tre corsie ridotte, per realizzare il nuovo svincolo, senza creare particolari problemi alla circolazione, a riprova del sovradimensionamento delle sezioni stradali.

Anche in quel caso l’allora assessore Sitta aveva risposto negativamente alla proposta Fiab e il 16 novembre 2006 si era formalmente impegnato a realizzare entro il 2008 le rampe al sottopasso di via Montecuccoli, a suo dire ormai già progettate. A nulla sono valse le nostre motivazioni, anche economiche, e nemmeno è servita la continua presenza di persone che, in questi 12 anni, rischiano la vita quotidianamente a piedi ed in bicicletta sul cavalcavia, proprio sotto le finestre degli uffici comunali.

L’attuale sottopasso, oltre ad essere estremamente faticoso per chi deve trascinare la bicicletta, è anche chiuso per sicurezza nelle ore notturne, mentre una pista lungo il cavalcavia non avrebbe questo problema.

A quei tempi l’assessore parlava del Piano della mobilità ciclabile e in questa ultima risposta si parla del PUMS (Piano della Mobilità Sostenibile), ma la sostanza è che:

  • nei documenti si dichiara di incentivare la bicicletta e nei fatti si continua a vedere la mobilità dal parabrezza dell’automobile,
  • si propongono manovre anti smog, ma non si vogliono ridurre le inutili e dannose velocità nelle zone urbane,
  • si organizzano biciclettate primaverili ma non si creano le condizioni per un uso quotidiano della bicicletta e dei piedi per spostarci in città.

Forse i nostri amministratori non hanno ancora compreso che, per una città di pianura e di medie dimensioni come la nostra, se ritroviamo il giusto equilibrio nell’uso dei mezzi nei vari spostamenti quotidiani e ci stringiamo un po’ tutti, avremo più sicurezza, meno inquinamento e vivremo meglio tutti.

Giorgio Castelli
FIAB Modena

Nota sull’uso di paletti ed altri ostacoli sulle piste ciclabili

Molte piste ciclabili realizzate nella nostra Provincia sono cosparse di segnaletica paletti ed ostacoli non conformi al Codice della Strada.
Gli ostacoli artificiali installati sono dei più vari: pali di sostegno della segnaletica verticale o dei semafori posati al centro della pista, cavallotti in acciaio, transenne incrociate, fioriere e panettoni in calcestruzzo.

In alcuni casi si è arrivati perfino a “strozzare” con transenne i percorsi pedonali e ciclabili in corrispondenza di accessi privati (contravvenendo palesemente le norme del C. d S.) come nella pista in via Divisione Acqui a Modena davanti alla Maserati o in via Giardini a Ubersetto davanti all’azienda Fondovalle.

Questa abitudine sbagliata rappresenta un pericolo per tutti i ciclisti, in particolar modo per i bambini e le persone anziane, e contrasta prima di tutto con il “Regolamento recante norme per la definizione delle caratteristiche tecniche delle piste ciclabili” (Decreto 30 novembre 1999, n. 557) che, all’Art. 2, sottolinea la necessità di “puntare all’attrattività, alla continuità ed alla riconoscibilità dell’itinerario ciclabile, privilegiando i percorsi più’ brevi, diretti e sicuri”.
Nel caso di piste promiscue con i pedoni (ciclopedonali) questi ostacoli sono in contrasto anche con la normativa sull’abbattimento delle barriere architettoniche. Quest’ultimo aspetto non va affatto sottovalutato, vista la crescente diffusione di deambulatori, carrozzine elettriche, monopattini, cargo bike, carrellini per trasporto bimbi ed altri ausili alla mobilità ciclabile e pedonale.

Viene quindi da chiedersi perché progettisti ed amministratori insistano con questa cattiva abitudine che è palesemente in contrasto con la funzionalità dei percorsi, con la normativa vigente ed il buon senso.

Negli anni ’70, agli albori della ciclabilità italiana, la posa di paletti e fioriere serviva per evitare che le piste venissero percorse dalle auto o che venissero utilizzate come spazio di sosta. Servivano in pratica a difenderle da un uso improprio.
Ma oggi si ha la netta sensazione che le scelte progettuali sulla mobilità ciclabile vengano guidate da una prospettiva tipica dell’automobilista, in pratica dal punto di vista del “cruscotto dell’automobile”.
Come in ogni materia la progettazione di infrastrutture ciclabili andrebbe affidata a tecnici preparati e che magari usano abitualmente la bicicletta in ambito urbano.
In molti casi invece, per la sottovalutazione delle competenze necessarie, la progettazione viene affidata a tecnici che non hanno avuto modo di approfondire la materia e, nel dubbio, abbondano con segnaletica e infrastrutturazione per “separare” il più possibile dal traffico motorizzato i percorsi per le biciclette.

Al fondo vi è una visione ingegneristica della mobilità che punta al confinamento degli utenti in luoghi separati e distinti: gli automobilisti padroni della strada, i ciclisti padroni delle piste, i pedoni padroni dei marciapiedi.
Peccato che questa soluzione si scontri con la realtà di ogni incrocio che, soprattutto nelle aree urbane, interrompe tutte le diverse corsie separate.
Diventa così più facile fermare indistintamente i pedoni ed i ciclisti con barriere ed ostacoli con la scusa di proteggerli, piuttosto che fermare le auto per la sicurezza.
I paletti e le limitazioni servono quindi ad avvertire i pedoni e i ciclisti che “qui va bene, ma sulla strada è meglio che non ci vai, perché è pericoloso”.

Un altro esempio concreto di questo atteggiamento negativo ed in contrasto con il Codice riguarda la precedenza delle strade laterali che si immettono su una strada principale dotata di pista ciclabile. Spesso i segnali verticali e orizzontali di dare la precedenza vengono posti al limite della corsia stradale, escludendo la precedenza alla pista ciclabile e al pedonale. Come se non bastasse sulla pista vengono posti i segnali di fine pista ciclabile e spesso manca la segnaletica orizzontale di attraversamento ciclabile o addirittura di attraversamento pedonale. Così le auto si fermano sulla pista e sul marciapiede per dare la precedenza alle auto in transito, impedendo il transito ai pedoni e ai ciclisti.
Tutto ciò contrasta con l’art. 81 del Regolamento di attuazione del C.d S. che precisa “i segnali dare precedenza (Art. 106) e fermarsi e dare precedenza (Art. 107) devono essere posti in prossimità del limite della carreggiata della strada (e non della corsia) che gode del diritto di precedenza”.

Appare invece molto più ragionevole ed efficace ricercare una equilibrata convivenza dei cittadini e dei diversi flussi, che offra prima di tutto protezione ai più indifesi, al posto di perseguire la separazione degli utenti della strada attraverso il loro confinamento.

Varrebbe la pena, in ogni caso, puntare su questa visione più moderna ed efficace della mobilità, che facilita i pedoni, i ciclisti ed il trasporto pubblico, se si vuole uscire dal circolo vizioso di una mobilità centrata sull’automobile, che genera inquinamento ed incidenti, che obbliga alle manovre antismog e alle domeniche ecologiche e che si vorrebbe contrastare con le biciclettate organizzate saltuariamente per sensibilizzare i cittadini.

Vi sono molte esperienze in Italia ed Europa che testimoniano l’efficacia, sia in termini di fluidità del traffico che di sicurezza, di una mobilità della convivenza e della condivisione dello spazio pubblico e varrebbe la pena che amministratori e tecnici potessero dedicare un po’ di tempo per conoscerle ed approfondirle.

In ogni caso ai tecnici e agli amministratori va ricordato che il Codice della Strada, all’art. 45, precisa che “sono vietati la fabbricazione e l’impiego di segnaletica non prevista, stabilendo le procedure per la loro rimozione e le relative sanzioni”.