La strada è per tutti: la campagna Carpi 30 e il diritto di tutti a muoversi (ma anche a bighellonare) in sicurezza

A Carpi la Fiab, insieme a molte altre associazioni operanti sul territorio, ha iniziato una campagna per chiedere l’abbassamento dei limiti di velocità in ambito urbano a 30 km/h, che è la norma consolidata in molte città europee. Le obiezioni non si sono fatte aspettare: un cittadino ci ha scritto che dovremmo smetterla (testuali parole) di “rompere le balle a chi con la mobilità ci lavora” perché “le strade sono piene di ostacoli umani, privi di qualsiasi motivazione per circolare”.

Sono affermazioni curiose. Per prima cosa, il cittadino dà per scontato che chi lavora usi solo l’auto per recarsi sul posto di lavoro. Non è così: una breve ricerca nella cronaca sulle vittime della violenza stradale a Carpi negli ultimi anni riporta di un operaio in bici travolto da un camionista nella rotonda tra Via dell’Industria e Via Guastalla mentre rientrava dal lavoro e di un quarantenne in bici investito sulle strisce pedonali di Via Cattani mentre andava a lavorare. Quindi c’è anche chi “con la mobilità ci lavora” ma in bici. Una sparuta minoranza? Se ci fossero meno rischi di essere investiti, probabilmente quella minoranza aumenterebbe di numero (considerato anche quel che costa oggi il carburante): proprio il limite dei 30 orari ridurrebbe di un quarto il rischio di incidenti, e della metà quello di ferimenti gravi.

Non è tutto. Il cittadino insiste sugli “ostacoli umani” che a suo parere sarebbero in strada per futili motivi, suggerendo due cose: che chiunque usa l’auto lo fa per motivazioni serie e probabilmente produttive, mentre chi si sposta a piedi o in bici ha solo del tempo da perdere e da far perdere agli altri. Eppure, un sacco di persone usano l’auto per andarsi a comprare le sigarette, o il gelato, o andare a trovare un amico dall’altro lato della città, che sono ragioni valide per spostarsi anche se non “produttive”.

Dall’altro lato, non si capisce perché gli spostamenti di uno studente che va in bici a scuola, della signora che va a piedi dalla parrucchiera o dell’operaio che dopo otto ore di turno esce per una pedalata siano meno legittimi di quelli di chi va a lavorare.

Il limite dei 30 orari non impedisce alle auto di circolare ma tutela tutti, perché le persone che non usano l’auto non sono certo “ostacoli” ma sono quello che rende vive, vibranti e umane le città. Come sarebbe una città in cui si può uscire solo in auto, e solo per andare al lavoro? Viva il diritto di bighellonare in sicurezza.

E’ nata prima la ciclabile o la gallina?

Un classico: ogni volta che affermiamo che in città vanno premiati i cittadini che provano a muoversi con modalità sostenibili ed invece penalizzati quelli che usano sempre l’auto privata, ci viene contestato che è sbagliato perché mancano le alternative. La controdeduzione sembra sensata: prima si costruisce una bella rete di ciclabili ed un trasporto pubblico efficiente e rapido, e solo a quel punto possiamo chiedere ai cittadini di abbandonare le auto.

Purtroppo, non funziona così almeno per due motivi. Il primo è proprio perché lo spazio che serve per costruire ciclabili e corsie riservate per i mezzi pubblici è occupato dalle auto. Con 65 auto ogni 100 abitanti (compresi i neonati) ed una occupazione media di 1,2 persone per auto, le città italiane sono imballate da auto in movimento e parcheggiate. Perché un’auto sta ferma per il 92% della giornata, ma anche da ferma occupa tanto prezioso spazio pubblico, e vediamo bene le battaglie per togliere qualche posteggio tutte le volte che una amministrazione prova a costruire qualche metro di ciclabile. Ogni cittadino sa bene che se vuole andare al lavoro e lasciare ferma la sua auto otto ore in strada, ha assoluto bisogno di quello spazio libero (e gratuito possibilmente).

Per i mezzi pubblici la tensione è ancora maggiore: se non ci sono corsie riservate, il mezzo pubblico ha velocità e tempi di percorrenza non competitivi, proprio perché frenato dall’enorme traffico privato cittadino. Nelle grosse città ci sono i numeri per costruire metropolitane sotterranee, ma è una soluzione non praticabile nelle piccole medie città. E la riprova che il mezzo privato non ha alcuna possibilità di risolvere i problemi delle città sta nei numeri: a Milano, ad esempio, il 56,7% della popolazione utilizza l’ottima rete di trasporto pubblico, eppure la rimanente minoranza di chi si sposta in auto intasa regolarmente la città.

Il secondo motivo è che per cambiare le dinamiche della mobilità le politiche devono essere selettive e non addizionali: se si aggiungono nuove modalità di transito, senza togliere parcheggi e priorità al traffico privato, i cittadini continueranno per comodità ad usare l’auto. Se i cittadini possono transitare e parcheggiare ovunque davanti ad ogni destinazione, perché dovrebbero cambiare le loro abitudini?

In ogni città europea che ha fatto con successo queste operazioni, i marciapiedi, le piste ciclabili e corsie bus hanno tolto spazio a parcheggi e corsie di transito. Solo così può funzionare.

Nasce “Carpi30” per una città più vivibile e sicura

Nasce oggi “Carpi30”, una campagna per la sicurezza stradale finalizzata a ridurre la velocità massima nelle aree urbane di Carpi a 30 km/h, sulla scorta della campagna #Bologna30, della risoluzione del Parlamento Europeo e della campagna #Love30 dell’OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità; ma, soprattutto, in risposta agli ottimi risultati che le “città 30” stanno ottenendo in tutta Europa, dove sono già realtà.

“Carpi30” è promossa da Fiab Modena Sezione Carpi e sostenuta da diverse organizzazioni carpigiane (lista in calce*).

Il primo obiettivo di “Carpi30” è organizzare una raccolta firme per presentare al Sindaco una Petizione in cui si chiede di realizzare Carpi Città30, prevedendo l’istituzione e il controllo del limite dei 30 km/h come velocità massima per le aree urbane, con la sola eccezione del limite di 50 km/h sulle strade principali, e di impegnarsi a proporre sul tema una proposta di deliberazione al Consiglio Comunale.

L’idea di una città a 30km/h non nasce nel territorio di Carpi, ma è l’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite) che pone la Città30 come pilastro alla lotta contro le vittime della strada, con il preciso obiettivo di ridurre i morti e i feriti causati dagli incidenti stradali di almeno il 50% al 2030, ed a questo scopo ha lanciato tramite l’OMS la campagna #Love30 per ottenere strade più sicure #StreetsforLife.

Anche per l’Unione Europea il grande obiettivo è quello di arrivare a Zero morti nel 2050 (#visionzero) (a Helsinki ci sono riusciti: zero morti nel 2020, mentre nel 1970 sono stati 50), con un obiettivo di medio periodo di ridurre del 50% il numero di morti e di feriti gravi sulle strade entro il 2030. A tal scopo a settembre 2021 il Parlamento Europeo ha chiesto alla Commissione Europea di adottare le misure necessarie ad introdurre questa norma (città30) in tutti i paesi.

La Spagna nel maggio 2021 ha anticipato in tutte le città, indipendentemente dal numero di abitanti, il limite dei 30km/h sulla stragrande maggioranza delle strade urbane; e in Europa le città, grandi e piccole, a 30 km/h sono già da tempo una realtà come in Francia, Belgio, Austria, Svizzera, Olanda, Finlandia, Norvegia. In Germania 96 città di ogni grandezza e colore politico hanno chiesto al governo federale di poter introdurre questo limite.

In Italia la città di Olbia dal 1 giugno 2021 ha istituito il limite massimo di velocità di 30 km/h nel centro abitato del Comune.

A Bologna nel luglio 2021, l’associazione Salvaiciclisti assieme a numerose altre realtà del territorio ha lanciato la campagna “Bologna30” per moderare la velocità del traffico motorizzato in città e rendere le strade più sicure e vivibili. “Carpi30” si ispira e si collega alla campagna “Bologna30”, di cui utilizza anche materiale e loghi gentilmente concessi. #Bologna30 è stata premiata in Europa come miglior iniziativa dal basso dagli organizzatori della Settimana Europea della Mobilità Sostenibile #MobilityAction of 2021.

Con la campagna “Carpi30” si intende divulgare i benefici che comporta una città a 30km/h; su dati e basi statistiche si è registrato:

  • riduzione sensibile degli incidenti stradali (circa -25%) con particolare efficacia sugli investimenti di pedoni, sul numero dei morti (-50%) e dei feriti gravi;
  • riduzione dei relativi costi sociali: gli incidenti stradali, a livello nazionale, costano ogni anno 33,8 miliardi di euro, ovvero l’1,89% del PIL italiano (ASAPS, 2020);
  • diminuzione del rumore percepito con vantaggi per il sonno e per lo stress (circa -50%);
  • calo dei livelli di inquinamento dell’aria;

Tutto questo senza arrecare particolari svantaggi e disagi agli automobilisti, anzi nei Paesi dov’è in vigore la Città 30 questa ha un altissimo gradimento anche fra chi va in auto; infatti la stessa carreggiata ai 30 km/h contiene il doppio delle auto in movimento rispetto ai 50 km/h e quindi si ha:
– traffico più fluido;
– meno code e meno multe;
– minore stress con tempi di percorrenza invariati.

Introdurre il limite generalizzato di 30km/h ha come finalità primaria la sicurezza stradale e la riduzione dei morti e feriti sulle strade.
A Carpi dal 2014 al 2020 ci sono stati 1885 incidenti su strade urbane con 20 morti e 2.446 feriti e 495 incidenti su strade extra urbane con 10 morti e 734 feriti, per una media che supera i 4 morti e i 454 feriti all’anno.

La riduzione dei morti e dei feriti sulla strada e la riduzione dell’inquinamento acustico ed ambientale non può che avere un riscontro positivo anche sulla qualità della vita dei cittadini. Invitiamo pertanto tutti i Carpigiani ad aderire alla campagna “Carpi30” sottoscrivendo la Petizione.

Sarà a breve disponibile un sito internet e una pagina facebook dove trovare tutte le informazioni sulla campagna Carpi30 e dove trovare i riferimenti per la firma della petizione.

Al momento per informazioni e firma petizione vi diamo appuntamento:

  • sabato mattina a Carpi al banchetto sul rialzato di Piazza Martiri dalle 09:00 alle 12:00;
  • mercoledì di agosto dalle ore 18:00 alle 18:30 al Parco delle Rimembranze nei pressi della statua di Manfredo Fanti, alla partenza degli E20 ciclici Fiab.

Il Referente Fiab per la campagna Carpi30 è Roberta Mussini – tel. 379-2547035

Testo della Petizione CARPI30

* Ad oggi hanno aderito alla campagna “Carpi30”: Fiab Modena APS, Legambiente Terre d’Argine APS, WWF Emilia Centrale, Unione Donne in Italia (UDI) Sezione Carpi, Porta Aperta Carpi, Comitato Utenti Ferrovia Modena-Carpi-Mantova, Lipu ODV Sezione di Carpi, IRCAF Centro Studi APS, Carpi Comune Associazione Culturale

Fiab Modena APS Legambiente Terre d’Argine APS
WWF Emilia Centrale Unione Donne in Italia (UDI) Sezione Carpi
Porta Aperta Carpi Comitato Utenti Ferrovia Modena-Carpi-Mantova
Lipu ODV Sezione di Carpi IRCAF Centro Studi APS
Carpi Comune Associazione Culturale

Elogio della lentezza: ciclovacanze tutte da assaporare!!

Il cicloturismo non solo è capace di generare ricavi ma soprattutto di distribuirli sui territori, che così possono rimanere vivi e non spopolarsi. È capace di far immergere in profondità chi pedala negli ambienti attraversati, in lentezza, con il tempo di godersi i panorami, i profumi, e anche di assaporare il gusto della fatica e la soddisfazione degli arrivi.

Fiab Modena ha organizzato quest’anno una ciclovacanza in Basilicata, che si è conclusa pochi giorni fa con l’arrivo a Matera. Una vacanza che ha visto muoversi insieme un gruppo eterogeneo che è riuscito a superare le difficoltà della traversata lucana, dove non è mancato il caldo e la salita è stata una costante quotidiana. Non è mancata persino la pioggia, mentre il vento ha rallentato notevolmente il passo dei cicloviaggiatori: nonostante tutto, ogni giorno ci si è svegliati presto con rinnovata voglia di partire.

La Basilicata è stata una straordinaria scoperta, un paesaggio capace di trasformazioni radicali in pochi km, dalla costa rocciosa del Tirreno, alle spiagge sabbiose dello Ionio, dai boschi di Accettura, ai Calanchi di Aliano, per arrivare alla pietra della Murgia materana. Un luogo mistico, con le sue tradizioni e superstizioni, un territorio da assaporare…il peperone crusco, il Canestrato di Moliterno, il maialino nero, il ferricello viggianese, il pane di Matera solo per citare alcune prelibatezze di un territorio che non ha nulla da invidiare al resto d’Italia.

Attraversare senza fretta questa terra è un cammino a ritroso, tra le pagine del “Cristo si è fermato ad Eboli” di Carlo Levi, tra una tradizione contadina che ancora sopravvive, nonostante la modernità.

La Basilicata è un pezzo di Italia capace di accogliere il visitatore, di contaminarsi restando sempre e comunque fedele a se stessa. E la ciclovacanza è un’esperienza unica, capace di coinvolgere tutti i sensi, mettere in gioco ogni parte del corpo…la conservi nelle gambe, la imprimi negli occhi, la custodisci nei suoni della natura, la continui a respirare per giorni e giorni.

A qualcuno piace il caldo: retaggi del passato e visioni distorte del futuro, dove sta davvero il progresso?

Quella che in cui siamo appena entrati probabilmente sarà, dicono i meteorologi, l’estate più calda di sempre (almeno da quando si è cominciato a raccogliere i dati sulle temperature): più calda dal 2003, con una siccità già potenzialmente devastante, ghiacciai mezzi sciolti, i nostri fiumi ridotti a rigagnoli, restrizioni sull’irrigazione dei campi e inviti a non sprecare l’acqua. Un caldo e una siccità “eccezionali”? Per nulla: abituiamoci, è la nuova normalità. L’estate più calda di sempre, ma più fresca di quelle che verranno, dicono i climatologi: e sarà sempre peggio se si continua ad affrontare il problema consigliando di accorciare i tempi delle docce anzichè accettare che siamo di fronte a una sfida epocale contro un cambiamento climatico che non si lascia più ignorare.

Qualcuno che abbia parlato di una potenziale “emergenza sanitaria” se la situazione delle riserve acquifere continua così? Cabine di regia straordinarie, piani strategici che affrontino il problema nelle sue tante dimensioni?

Macché. La cementificazione causa ulteriore ritenzione di calore, dilavamento delle acque piovane e perdita della funzione regolatrice del suolo? La cultura dell’abuso dell’auto privata comporta un consumo sproporzionato di combustibile per spostare una persona sola (oltre a creare congestione, rumore ecc.)? Benissimo, cosa c’è di meglio e di più lungimirante che ampliare l’autodromo, con un annesso parcheggio che, in nome del progresso, cementifica un’estensione pari a ospitare 1500 posti auto, su una falda acquifera? Altrove in provincia sono in ballo progetti analoghi: per esempio, un polo logistico da 8 ettari a Nonantola, già attanagliata dal traffico pendolare.

“C’è chi guarda al passato”, si è risposto alle critiche. Eh no, cari, siete voi che guardate al passato: noi pretendiamo un futuro dove i nostri figli possano prosperare, il suolo sia protetto per gli incommensurabili servizi ecosistemici che offre, l’acqua trattata come un bene primario senza il quale non si sopravvive, le auto private siano ridotte a scelta residuale da politiche serie di incentivo ai mezzi pubblici e di incoraggiamento e tutela di chi può scegliere la bici o una bella passeggiata per spostarsi sui tragitti casa-lavoro-scuola-spesa. Un futuro vivibile non può darsi, l’ha detto anche l’ONU a marzo, senza un aumento dell’uso della bicicletta, che è parte integrante delle strategie di lotta al cambiamento climatico ma anche di miglioramento della qualità della vita urbana.

Questo è il futuro a cui guardare.

La bicicletta è centrale nelle strategie turistiche

«Andare in bici non è fare ciclismo, perché la bicicletta è un mezzo di trasporto e, come tale, si colloca all’interno di tutte le tematiche di cambiamento climatico, inquinamento, tutela dell’ambiente, congestione del traffico, sicurezza». Antonio Dalla Venezia, referente FIAB per il progetto Bicitalia, ha spiegato in questi termini l’approccio che istituzioni, politica, aziende e in generale l’opinione pubblica dovrebbero assumere di fronte alla mobilità ciclistica.

Secondo i dati più aggiornati il numero degli italiani interessati al cicloturismo è pari a 8 milioni, circa il 16% della popolazione maggiorenne. «Fino al 2019 il mercato internazionale rappresentava il 70% del cicloturismo in Italia mentre, oggi, siamo a un 50/50 – secondo Maria Elena Rossi, direttore marketing e promozione di ENIT – e la promozione dei territori italiani deve essere rivista in chiave cicloturistica». Se qualcuno ha viaggiato in autostrada in queste settimane, avrà notato che ormai una grande maggioranza di auto caricano le bici al seguito: perché non c’è solo la vacanza in bici, ma ormai quasi tutte le vacanze integrano esperienze attive che i cittadini vogliono fare in bici.

Dal Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili filtrano notizie secondo cui l’atteso Piano Nazionale per la Mobilità Ciclistica dovrebbe finalmente essere approvato entro metà settembre. Si tratta di uno strumento fondamentale (ad esempio la Spagna lo ha già adottato) per costruire progetti e programmi per lo sviluppo della mobilità quotidiana in bicicletta e per la realizzazione della rete nazionale di percorribilità ciclistica, per la quale è stato scelto di utilizzare, come punto di partenza, la rete Bicitalia di FIAB, già mappata negli anni da nostri volontari e tecnici.

Tema chiave quando si parla di cicloturismo è quello dell’intermodalità bici+treno. I passi avanti ci sono in Italia, come dimostra anche il rinnovo completo dei treni regionali dell’ Emilia Romagna, ma ancora molto deve essere fatto, come l’estensione a tutte le regioni e la possibilità di carico sugli autobus.

Qualsiasi siano le vostre capacità ed esperienze, sono tantissime le escursioni e le gite in bicicletta verso le cascine dietro casa, nei parchi regionali, lungo l’argine di un fiume o sulle ciclabili alla scoperta di piccoli borghi e bellezze artistiche e naturali.

Mobilità provinciale: improvvisazioni sul tema

Settimane sconfortanti per la mobilità nella nostra provincia.

Da giugno Gigetto sarà sospeso per un anno tra Formigine e Sassuolo per la costruzione del sovrappasso sulla pedemontana: sarà sostituito da autobus ma è stato confermato che non ci sarà la possibilità di portarsi dietro la bici (come si poteva fare in ferrovia). Un servizio più lento, con cambi di mezzo e con buona pace dell’ intermodalità, che facilmente indurrà parte dei passeggeri a passare all’auto privata. I disagi sono inevitabili, perché non rendere gratuito l’abbonamento nel periodo dei lavori?

A Nonantola è prevista la chiusura per qualche settimana del sottopasso scatolare della SP255 su via Maestra di Bagazzano (strada secondaria che la mattina è intasata di traffico perché viene usata dagli automobilisti come bypass della Nonantolana), e allo stesso tempo ANAS ha annunciato lavori sul Ponte di Sant’Ambrogio che sembravano prospettarne la chiusura per 6 mesi dal 1 luglio, con un conseguente, devastante aggravamento di traffico su Vignolese e Nonantolana.

Pare ora che il ponte non chiuderà: almeno non tutto, almeno non subito, ma lascia sgomenti la mancanza di coordinamento, di qualsiasi analisi sugli impatti sul traffico e di pianificazione di soluzioni alternative. FIAB ha invitato le parti in causa a considerare seriamente l’opzione di un ponte Bailey che nell’immediato permetterebbe di non interrompere il transito, e un domani diventerebbe il tassello mancante della pista ciclabile Castelfranco-Modena lungo la via Emilia. Al contempo si potrebbe dare un incentivo forte all’utilizzo del treno, con abbonamenti gratuiti sulla tratta, per alleggerire il traffico automobilistico (al momento un abbonamento mensile costa 39 euro, 5 euro invece per una corsa andata-ritorno per un adulto). Finora nessun riscontro ufficiale.

Improvvisazione? “Altre priorità” che rendono la mobilità un tema di “serie b”? E non diteci che non ci sono soldi. In Germania per contrastare il caro-carburanti e l’inquinamento è stato inaugurato un abbonamento mensile che copre tutto il trasporto pubblico locale su tutto il territorio nazionale a 9 euro, per i 3 mesi d’estate: treni locali, bus, tram, traghetti, metro. Meno di due viaggi andata ritorno Modena-Castelfranco o Modena-Carpi: qui da noi sembra fantascienza. Investimento del governo tedesco: 2 miliardi di euro. Gli stessi 2 miliardi di euro di “ecobonus” che il nostro governo ha destinato a finanziare l’acquisto di automobili. I soldi ci sono, ma vengono spesi malissimo. Qui è la visione che manca.

Strade scolastiche: indispensabili, da subito

Dal 2020 è stata introdotta nel Codice della Strada la “zona scolastica” (art. 3 comma 58-bis del CdS): è sufficiente che il Sindaco emetta un provvedimento limitativo della circolazione, sosta o fermata di tutte o di alcune categorie di veicoli (art. 7 comma 11 bis del CdS).

+++

La settimana scorsa a L’Aquila un’automobile incustodita ha sfondato la recinzione di una scuola materna, uccidendo un bambino e ferendone altri cinque. È la norma davanti agli istituti scolastici di tutta Italia: mezzi a motore che sostano (spesso in doppia fila) o sfrecciano di fronte agli ingressi delle scuole di ogni ordine e grado, creando pericolo, inquinamento e cattiva educazione stradale.

Ancora una volta si sarebbe potuto evitare.

Dal 2020 infatti è stata introdotta nel Codice della Strada la “zona scolastica”: un’area in prossimità della scuola, in cui è garantita una “particolare protezione dei pedoni e dell’ambiente” (art. 3 comma 58-bis del CdS). Per istituire una strada scolastica è sufficiente che il Sindaco emetta un provvedimento limitativo della circolazione, sosta o fermata di tutte o di alcune categorie di veicoli (art. 7 comma 11 bis del CdS).

Sono trascorsi due anni dall’introduzione delle strade scolastiche nel Codice della Strada, ma questo provvedimento è stato adottato solo da poche decine di comuni su un totale di oltre 8.000. Si tratta di un numero irrisorio a fronte del valore in termini di sicurezza e salute per i nostri bambini. L’inerzia da parte dei Comuni nell’istituirle ha purtroppo conseguenze molto pesanti: la tragedia di ieri è solo l’ultimo episodio sconvolgente di uno stile di mobilità non più accettabile, non più sostenibile.

Leggiamo messaggi di cordoglio da parte di Parlamentari, Presidenti di Regione e Sindaci.

Il cordoglio non basta. Si vada oltre.

Il Coordinamento Associazioni e Movimenti Ambientalisti per la Mobilità Attiva e Sostenibile chiede che i Sindaci colmino il ritardo accumulato in questi due anni, ed emettano, già da domani, divieti di transito e parcheggio ad auto e moto di fronte ad asili e scuole: bastano un’ordinanza, un cartello e una transenna. Chiediamo che i Dirigenti scolastici liberino da subito i cortili delle scuole dal parcheggio delle auto di personale e genitori, che sono un rischio quotidiano di tragedie e privano i più piccoli di spazi di gioco ed educazione all’aperto.

Chiediamo poi che il Parlamento renda obbligatoria l’istituzione delle zone scolastiche davanti a ogni istituto, con chiusura al traffico e alla sosta delle macchine come minimo negli orari di entrata e uscita degli alunni mediante barriere fisiche: ci appelliamo ai Presidenti e Consiglieri di Regione perché facciano pressione a livello nazionale in questo senso.

Facciamolo per i nostri bambini.

Chiedi strade e parcheggi: otterrai auto e traffico

Negli ultimi giorni sui giornali locali hanno trovato ampio spazio le notizie dedicate alla invasività e pericolosità delle attuali e future strade modenesi: mentre alla Sacca continua il dibattito sull’incremento previsto del traffico pesante, il nuovo sottopasso di via Panni viene bocciato dai residenti, ed al Colombarone i cittadini dopo anni di lotte riescono a far installare gli autovelox.

Sembra che abbiamo finalmente preso coscienza come collettività che le auto in città sono la principale fonte di pericolo, inquinamento, rumore, e comportano una tale occupazione dello spazio da impedire ogni altra forma di mobilità e di vivibilità.

Peccato che dall’altro canto, con uguale veemenza, sempre i cittadini continuano a reclamare strade più larghe, sottopassi, svincoli, parcheggi. È la sindrome di Nimby (“Not in my back yard”, ossia “non nel mio giardino”): come residenti pretendiamo strade tranquille e verdi, ma quando viaggiamo vorremmo andare veloci e parcheggiare dappertutto.

Vero è che le strade in pochi decenni sono state trasformate da spazi di vita in spazi di transito che, data la velocità e l’intensità della presenza delle auto, uniscono persone lontane ma separano tra di loro i vicini di casa. Succederà anche nella zona Sud di Modena dove nuovi sottopassi e bretelline risulteranno comodi per chi transita, ma comporteranno nuove cesure per chi ci vive.

Il fatto è che se chiedi strade e parcheggi otterrai auto e traffico, se chiedi luoghi vivibili per le persone otterrai persone e una maggiore vivibilità.

Condividiamo al 100% le recenti osservazioni di Diego Lenzini quando ricorda che “le strade che oggi sono concepite solo per le auto, dovranno essere al servizio di tutti, auto, bici, pedoni e trasporto pubblico. In passato sono state fatte scelte poco coraggiose che hanno incentivato l’uso dell’auto (il 45% degli spostamenti a Modena sono sotto i 2,5km). I nostri quartieri devono tornare aree da vivere e non spazi in cui si rischia di essere investiti”.

Abbiamo bisogno di una politica coraggiosa che sappia fronteggiare la sindrome Nimby: a costo di qualche cambiamento di abitudini, è fondamentale che ci si schieri con decisione dalla parte dei cittadini che chiedono spazio per le persone e non per le loro auto. Chiarendo che l’unica alternativa sarebbero finte soluzioni poco lungimiranti, che spostano il problema del traffico 5 km (e 5 anni) più in là.

Il diritto di andare a lavorare in bici

Il 1 maggio è stato l’occasione per fermarsi e riflettere sul significato del lavoro, sul diritto a svolgerlo (qualsiasi lavoro) con la giusta e riconosciuta dignità e nelle condizioni di massima sicurezza possibili. Noi di FIAB da anni ci impegniamo perché questa stessa dignità e sicurezza vengano estese e garantite a chi sceglie, al lavoro, di andarci in bici.

Uno potrebbe pensare che abbiamo tutti il diritto di andare al lavoro col mezzo che riteniamo opportuno: in effetti, nessuno ce lo vieta, ma nei fatti questo diritto è davvero garantito? Le cronache di Modena e provincia evidenziano che tra le (troppe) vittime della violenza stradale non ci sono tanto ciclisti della domenica in tutine di lycra ma soprattutto pendolari in bicicletta. Provate poi a chiedere a un residente di Nonantola se si sente tutelato nel suo diritto di usare la bicicletta per andare a lavorare a Modena.

Il diritto di andare a lavorare in bici è negato nei fatti da un sistema perverso di mobilità in cui gli unici ad avere garantita la possibilità di spostarsi verso la loro sede di lavoro senza rischiare quotidianamente la vita sono le persone alla guida di un’auto. E’ un sistema che esclude: taglia perfidamente fuori chi non ha le capacità economiche per acquistare e mantenere un’auto, o chi non vorrebbe spendere a questo scopo una buona fetta del proprio stipendio. La rivista Ecological Economics ha stimato che, con 15.000 km percorsi all’anno, una utilitaria come una Opel Corsa viene a costare tra carburante e spese di mantenimento oltre 6700 euro l’anno: si va a lavorare per mantenere l’auto per poter andare a lavorare. Sensato, no?

Non solo, ma ad essere tagliati fuori sono anche tutti coloro che non hanno le capacità fisiche di guidare un’auto. Persone con una limitata mobilità agli arti, con uno o più arti mancanti, con problemi di equilibrio, persone affette da tetraplegia, paraplegia: per ognuna di queste categorie, il sito inglese Cyclescheme suggerisce una tipologia di bici. Secondo un sondaggio del Transport for London, il 70% delle persone con condizioni invalidanti alla guida di un’auto possono in realtà andare autonomamente in bici.

Tutelare il diritto ad andare in bici al lavoro esige una revisione radicale delle infrastrutture dedicate alla mobilità. Significa tutelare l’inclusione, l’ambiente, la salute individuale e pubblica, il benessere e il diritto all’autonomia e alla felicità.